< Juvenilia < Libro IV
Questo testo è stato riletto e controllato.
Libro IV - Maggio e Novembre
Libro IV - A G. B. Niccolini Libro IV - I vóti


LXVII.

MAGGIO E NOVEMBRE


I.


Ove sei, ché di Delfo in van ti chieggo
A’ fatidici lauri e tace Delo,
O re de’ canti e de la luce? Eterna
La giovinezza avesti, ed il piú bello
5Eri de’ numi. A te serenatore
De’ templi ermi de l’etra ardea la danza
De le titanie vergini, e Anfitrite
Sorridea, dal divin talamo il capo
E le braccia porgendo. A te i mortali
10Venian con preci ed inni, o re Agïeo
Da la cetera d’oro, allor che Licia
T’accogliea ne’ suoi gioghi e i patarei
Dumeti impressi dal sereno piede
Fiorian di primavera, e quando in core
15Amor prendeati di tuffar la bionda
Chioma, stupor d’ Olimpo, entro il bel Csanto

O ver ne la pudica onda castalia.
Allor non lutto innanzi a te; ma danze
E di ninfe e d’egípani, ma bianche
20Fronti di lauro inghirlandate, e vesti
Tirie ondeanti mollemente, e fiori
Che salivano a nembi, e amor soavi
Di verginelle candide: a le valli
De’ flauti il suon scendea come un sospiro.


II.


25Allor che i fiori e l’onde aveano spirto
E d’amore e di duol, quando nel fiato
De’ zefiri esultanti a primavera
Per le brune convalli e ne’ mirteti
Di Citera e di Cnido almo alïava
30Il divin bacio d’Afrodite; errando
Del lamentoso Egeo lungo la riva,
Amorosa fanciulla, e i cieli e il mare
E il molto fior de’ campi lacrimosa
Mirando, e sospirando, invocò Saffo
35La deità di Venere; e presente
Annunziò il nume un fremito diffuso
Per la selva odorata. Essa la diva,
Con le dita d’ambrosia, essa da gli occhi
Tergea de la mortal giovine il pianto;
40E dolce un canto le imparava: un dolce
Canto che ripetuto, ahi con un molto
Ansar del petto e scintillar de gli occhi,

De i neri occhi d’amore, e un batter forte
De la man su le corde, iscolorava
45Le fanciulle di Lesbo; entro l’affiso
Sguardo venendo l’alma e ne’ socchiusi
Labbri a libar le voluttà promesse.


III.



Ma or né Cipri a l’egre anime accorre
Su ’l carro tratto da gli augei, né Febo
50La cetera del duol raffrenatrice
Agita in vetta a i luminosi colli.
Or solinghe le cure, or la quïete
È inerte e bruna; e sovra i monti e al piano
E nel cielo e ne i cori il verno regna.
55O d’april nuvoletta, o ne l’aurora
Luce d’amor che di cotanto riso
L’avvenir m’irraggiavi, io te ripenso,
Fanciulletta d’un tempo. Oh quando i luoghi
Rividi sacri da la tua presenza,
60E l’aëre spirai che di tua voce
Le molli melodie vibrava a i sensi,
L’aër che dolce che voluttuoso
La persona gentil circonfluia,
Oh, ti rividi ancor! transfigurata,
65Qual l’amor mio ti fece, una suprema
Volta al seno ti strinsi. Ahi, nel mutato
Petto agghiacciar sentii la vita; e insieme
Da le braccia l’imago esil vania

Fusa per l’aure di novembre. Al core
70La man portai; che, quinci dal crescente
Flutto de le memorie assorto e quindi
Fulminato dal ver, battea l’estremo
Irrevocabil palpito d’amore.
Amore, addio, supremo inganno! addio,
75O pargoletto mentitor gentile!
In van t’adopri: in questo cuor, ch’io creda,
Né pio né con soave impeto a forza
Rientrerai. Ma cara a me ne gli anni
Sarai memoria, ed onorata; e quando
80Dal pensiero evocata al sentimento
La tua larva risorga, un canto, o amore,
Avrò ancora per te. Tal, se la luna
Da le selve appennine aurea si svolve
E su ’l toscano pelago vïaggia
85Solitaria, rifulgono al chiarore
Bianco le nude arene, e lo sfrondato
Bosco porge i suoi rami e si rallegra:
Guata le scintillanti onde il nocchiero,
Guata la fredda alta quïete, e canta.



Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.