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XCII.
ALLA CROCE DI SAVOIA
Già levata ne gli spaldi
De’ castelli subalpini,
Tra le selve ardue de’ pini
4Ondeggianti a l’aquilon;
De’ marchesi austeri e baldi
Fiammeggiante ne i brocchieri,
Quando i ferrei cavalieri
8Ruinaro a la tenzon;
Come bella, o argentea Croce,
Splendi a gli occhi e arridi a’ cuori
Su ’l Palagio de’ Priori
12Ne la libera città;
Dove il secolo feroce,
Posta giú l’únnica asprezza,
Rivestí di gentilezza
16La romana libertà.
Vero è ben: qui non sorgesti
A l’omaggio de i vassalli,
Giú squillando per le valli
20L’alto cenno del signor;
Né tornei ferir vedesti
Né d’amore adunar corti,
E lodar le belle e i forti
24Non udisti il trovator.
Una plebe di potenti
Qui giurossi al franco stato,
E il barone spodestato
28Si raccolse tra gli artier,
Quando sursero portenti
Da le sete e da le lane,
E le logge popolane
32Vider Giano e l’Alighier.1
Ma la luce che a te intorno
Novamente arde e sfavilla,
E da Susa fino a Scilla
36Trae le nostre anime a te,
Nel desio d’un piú bel giorno
Che, cessati i duri esigli,
La gran madre unisca i figli
40Sotto il nome del tuo re;
Quella luce tra gli orrori
De l’italica sventura
Queste tombe e queste mura
44A i dí novi la serbâr.
Tal su l’urne de’ maggiori
A la tarda etrusca prole
La favilla alma del sole
48I sepolcri tramandâr.
Qui Alighier nel santo petto2
Accogliendo pria quel raggio
Te nel triplice vïaggio
52Nova Italia, ricercò:
Tutto in faccia al gran concetto
Gli fremeva il cor presago,
E, di Roma l’alta imago
56Abbracciando, poetò.
Qui ne l’aule del senato,3
Qui de’ rei nel duro ostello,
Doloroso Machiavello
60Maturava il pio desir;
E a la forza ed al peccato,
Che l’Italia egra tenea,
Chiese aiuto a l’alta idea
64E de l’opera l’ardir.
Infelice! a la sua gente
Si volgeva altro destino,
E il buon Decio fiorentino
68La grand’anima gittò.
Ma il pensier del sapïente
Ed il sangue del guerriero
Sovra il capo a lo straniero
72Le viventi ire eternò.
E fu primo Burlamacchi,4
Dato a morte e pur non vinto,
Contro il fato e Carlo Quinto
76Il futuro ad attestar.
Poi da’ petti inermi e fiacchi
Rifuggí l’altera idea
Fra le tombe, onde solea
80Ferri e ceppi rallegrar.5
Or, desío de’ nostri morti,
De’ viventi amore e gioia,
Bianca croce di Savoia,
84Tu sorridi al nostro ciel.
Gloria a te, da che a’ tuoi forti
Filiberto aprì la strada
E su i barbari la spada
88Levò Carlo Emmanuel!6
Gloria a te quando nel grido
D’una plebe combattente
Tra le patrie armi lucente7
92Te un magnanimo portò;
E per tutto il nostro lido
Fin de l’Adria a la riviera
Da le torri di Peschiera
96La vittoria folgorò!8
Sacra a noi, te non avvolse
La ruina di Novara:
Piú terribile e piú cara
100Di memorie e di virtú,
Risorgesti: e un rege accolse
In te l’italo destino,
Quando ruppe a San Martino
104La stagion di servitú.
Chi l’ha detto che fremente
Di terrore e di corruccio
Qui su ’l popol di Ferruccio
108Un d’Asburgo regnerà?
Su, stringetevi, o possente
Gioventú de le legioni!
Su, risorgi, o Pier Capponi;
112Tocca i bronzi a libertà!
Il combattere fia gioia
Fia ’l morire a noi vittoria:
Pugnerà con noi la gloria
116Ed il nome de i maggior.
E tu, Croce di Savoia,
Tu fra l’armi e su le mura
Spargerai fuga e paura
120In tra i barbari signor.
Noi, progenie non indegna
Di magnanimi maggiori,
Noi con l’armi e con i cuori
124Ci aduniamo intorno a te.
Dio ti salvi, o cara insegna,
Nostro amore e nostra gioia!
Bianca Croce di Savoia,
128Dio ti salvi! e salvi il re!
- ↑ [p. 286 modifica]Giano della Bella fiorentino, benché uscito di antica e nobil famiglia, prese le parti del popolo contro [p. 287 modifica]i nobili e grandi; e, venuto ad esser priore nel 1292, riformò lo stato e ridusse il governo nelle mani del popolo. Di che nacquero invidie e odii contro di lui, e il popolo traeva a difenderlo; ma e’ non patí che il nome suo divenisse segno di cittadine discordie, e di sua volontà si bandí da Firenze nel 1294.
- ↑ [p. 287 modifica]Dante Alighieri, nato in Firenze l’anno 1265 morto in Ravenna nel 1321, il più gran poeta de’ tempi cristiani, fu primo a nettamente pensare e procurare efficacemente con le scritture e i consigli l’unità d’Italia nella lingua, nei pensieri e costumi, nelle leggi e nel governo, sotto il reggimento d’un principe. Ma egli concepiva l’unità italiana solo co’l risorgimento dell’impero romano, per lo che allargavasi a certe astrazioni di monarchia universale, che non fanno al caso nostro: per altro è da osservare che quel che Dante pensò, un altro italiano Napoleone i, tentò a modo suo di mettere in effetto. Belle e degnamente riferibili al Re eletto sono le parole con le quali il gran poeta annunziava la venuta d’un redentore d’Italia nella Epistola ai re, magistrati e popoli d’Italia (traduzione di P. Fraticelli).
- ↑ [p. 287 modifica]Nicolò Machiavelli, cittadino fiorentino e segretario della Repubblica, nato nel 1469 e morto nel 1527, voleva la indipendenza e unità d’Italia acquistata con le armi nazionali e assicurata sotto un principe nazionale potente. Vagheggiò questo principe prima in Cesare Borgia detto il Valentino, poi in Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino; i quali, usciti di ree famiglie ambidue, erano ambidue nefandi per tradimenti e violenze e vizii di diversa maniera: e Dio non vuole che le opere grandi e belle si compiano per mezzo di bassi e brutti istrumenti. Paiono profezia della mirabil concordia, con la quale gl’Italiani d’oggi vollero e vogliono per re loro Vittorio Emanuele, le parole del Machiavelli nel capo ultimo del Principe.
- ↑ [p. 288 modifica]Francesco Burlamacchi, artefice lucchese e gonfaloniere della Repubblica di Lucca nel 1546, aveva concepito il magnanimo e per i tempi che allora correvano non mal fondato divisamento di ritogliere i male acquistati dominii agli stranieri e il temporale al papa e riunire l’Italia sotto reggimenti repubblicani, incominciando dal chiamare a libertà le città toscane e romagnole di fresco assoggettate, poi per tutta l’Italia propagando l’incendio. Per ciò s’intese con gli Strozzi e con altri fuorusciti fiorentini e senesi; ed era per dar mano all’opera, quando scoperto per vile malignità d’un Pezzini fu con la tortura disaminato dagli stessi anziani della sua Repubblica; e quindi dato in mano a Ferrante Gonzaga, che lo richiedeva in nome dell’imperatore, fu nella cittadella di Milano nuovamente torturato e in fine decapitato. Il Governo della Toscana ha decretato che in alcuna delle piazze di Lucca gli si ponga una statua come a primo martire dell’unità italiana.
- ↑ [p. 288 modifica]Il Burlamacchi può considerarsi come l’ultimo dei grandi uomini italiani delle età repubblicane; ché dopo, al predominio straniero si accompagnò una quasi universale corruttela, e lo smarrimento d’ogni spirito generoso nel popolo d’Italia. Vero è che alcuni amarono e procurarono sempre l’indipendenza e l’unità della patria; e molti furono i tentativi a ciò dopo il 1789, e piú molti dopo il 1815; ma ebbero per fine la galera, il carcere duro, la mannaia.
- ↑ [p. 288 modifica]Dio provvide che nei bassi tempi della nostra servitú regnasse al settentrione d’Italia una forte e pura famiglia di príncipi italiani. — Emanuele Filiberto i duca di Savoia, generalissimo delle armi spagnuole in Fiandra, nel 1557 vinse sopra i Francesi la battaglia di San Quintino; onde nella pace di Castel Cambresí, che a quella battaglia successe, riacquistò i suoi dominii di Savoia e Piemonte, tenuti
- ↑ [p. 287 modifica]Quale italiano non conosce il nome e i fatti di Francesco Ferrucci, nato in Firenze il 14 agosto 1489 [p. 288 modifica]e morto a Gavinana il 2 agosto 1530 in difesa della libertà di Firenze, e, si può dire, d’Italia, contro le armi di Carlo v imperatore e di Clemente vii papa?
- ↑ [p. 289 modifica]Carlo Alberto i, di Savoia-Carignano, dopo rinnovato il Piemonte con sapienti riforme e afforzato di disciplina e d’armi il bello e florido esercito aspettava il suo astro, aspettava cioè l’occasione di romperla coll’Austria, che gli fu data dalle cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848): ond’egli il 23 passò il Ticino, sovrapposto lo scudo di Savoia alla bandiera tricolore italiana; e battuto il 30 aprile il generale D’Aspre a Pastrengo, e nel 30 maggio il maresciallo Radetzky a Goito, ebbe in quest’ultimo giorno la fortezza di Peschiera a patti. Non è del nostro proposito il narrare come riuscisse male quella guerra incominciata con tanto lieti auspicii: accenneremo come Carlo Alberto battuto a Novara nel 23 marzo 1849 abdicasse pe ’l figlio Vittorio Emanuele ii, e andasse a morire nell’esiglio in Oporto di Portogallo. Dal Senato del Regno fu con decreto aggiunta al nome di lui l’appellazione di Magnanimo.