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L’UOMO DELLA FOLLA
. . . questa grande sventura di non poter essere soli! |
Con molto pregievol giudizio è stato detto d’un libro tedesco: — Es laesst sich nicht lesen, non si lascia leggere.
Vi sono segreti che non si debbono dire.
Vi ha degli uomini che muoiono alla notte nei loro letti, storcendo le mani degli spettri cui si confessano, e intensamente covandoseli con occhio di pietà profonda; — degli uomini che muoiono con la disperazione nel cuore e le convulsioni alla gola in causa dell’orrore dei misteri che non vogliono punto essere disvelati. Ohimè, ohimè! non di rado la umana coscienza sopporta tale fardello di sì penoso orrore, che non le riesce alleggerirsene se non sotto le mute zolle della tomba. E così l’essenza del delitto perdura mistero inesplicabile e profondo.
Non è valico gran tempo (ed era in sul morire d’una sera d’autunno), ch’io me ne stava seduto innanzi la spaziosa arcuata finestra del caffè D..., a Londra. Duranti più mesi, una triste malattia mi avea legato a letto; ma di que’ giorni, io correva la mia convalescenza e, ritornandomi le forze, mi trovava in una di quelle felici disposizioni che sono proprio l’opposto del nero umore e della noia, — disposizioni in cui gli appetiti morali sono meravigliosamente desti e vellicati, — allorchè il velo che avvolgeva le arcane visioni dello spirito, si scinde, e lo spirito, com’ebbro, si eleva tanto prodigiosamente sopra l’ordinarie sue forze, che l’ardente e candida ragione del Leibnitz pienamente la vince sulla stolta e molle rettorica del Gorgia.
Quel solo poter respirare un po’ libero era già di per sè un godimento, ed io centellava proprio un piacere positivo anche dalle varie e reali sorgenti de’ miei stessi guai. — Misteri di uno stato in cui l’energia fisica s’accoppia alle facoltà sopraeccitate del nostro spirito! Ogni oggetto a me d’intorno m’ispirava un interesse calmo, sereno, — ma pieno di vaghissima curiosità. Uno zigaro in bocca, un giornale sui ginocchi, io me n’era stato seduto durante la massima parte del giorno ora a scorrere attentamente gli annunzi della quarta pagina, ora ad osservare la moltiforme società delle sale, ed ora a guardare a traverso i vetri appannati dai vapori del fumo quanto si passava in istrada.
La quale, essendo una delle precipue arterie della città, per tutto il giorno era stata percorsa da folla immensa: ma, al sopravvenire della notte, la folla — quasi onda crescente — di minuto in minuto s’era venuta addensando; e, tosto che tutti i fanali furono accesi, due opposte correnti di popolo, coerenti fitte e continue, fluivano dinnanzi la porta.
Io non mi era mai trovato in una circostanza simile, nella circostanza soprattutto di questo particolar momento della sera; e quel tumultuoso campo di teste umane mi colmava di un’emozione dolcissima, un’emozione anzi tutta nuova. Alla fine non prestai più veruna attenzione a quanto si passava nel caffè, e rimasi completamente assorto nel contemplare la scena del di fuori.
Dapprima, le mie osservazioni assunsero un colorito astratto, di fina e generale analisi. Osservava que’ passanti a masse, e il mio pensiero non li considerava che nei loro rapporti collettivi. Nondimeno, in breve, trassi a’ particolari, ed esaminai con minuzioso interesse le varietà innumeri delle figure, gli abiti, l’incesso, le telette, l’aria, i visi, l’espressione delle fisonomie, insomma.
Il maggior numero dei passanti ostentava un contegno convinto e proprio degli affari, e pareva unicamente preoccupato d’aprirsi un passo in mezzo alla folla. Aggrottavano eglino le sopracciglia ruotando gli occhi lampeggianti; e, ogni qual volta fossero urtati da qualche vicino, nessun segno d’impazienza si rivelava sui loro volti, ma racconciavansi pazienti le vesti, ed acceleravano i passi. Altri — una classe eziandio numerosissima — erano nelle lor mosse irrequieti, avean sanguigne faccie, e parlavan tra sè gesticolando, come se pel fatto stesso di quella moltitudine infinita ond’erano circondati, si sentissero soli. E quando in quell’andare venivano fermati, cessavan d’un tratto quei loro borbottamenti, ma raddoppiavano i gesti, e con un sorriso distratto e sgarbato attendevano il passaggio delle persone che avean lor fatto ostacolo. E, allor che venivano urlati e spinti, abbonadantemente salutavano gli urlanti, e parevano colmi di confusione.
In queste due grandi classi di uomini, tranne quanto testè notai, nulla si scorgeva di veramente caratteristico e spiccato. Gli abiti loro appartenevano a quell’ordine ch’è tanto esattamente definito da questa parola: decente. Eran eglino senza dubbio gentiluomini, mercanti, procuratori, provveditori, cambisti — gli Eupatridi1 e il servidorame dell’ordine sociale — uomini di piacere ed uomini attivamente avvolti in perpetui affari, che maneggiavano sotto la diretta loro malleveria.
Essi, però non eccitarono molto la mia attenzione.
Invece chi saltommi tosto agli occhi fu la razza dei commessi, in cui distintamente apparivano due notevoli ordini. Vi erano i piccoli commessi di case a credito, giovani signori tutti chiusi nei loro abiti, con gli stivali ben lucidi, la chioma tutta racconcia ed olezzante, e l’insolenza sulle labbra. Tacerò quel non so che di petulante nei loro modi, che riuscirebbe molto difficile rilevare in una semplice parola: il genere di queste persone mi parve esattamente simile a quello che dodici o diciotto mesi innanzi erasi tenuto come la perfezione del così detto bon ton. Discerneva in essi la nobile schiuma della feccia della gentry2, — locuzione che, a mio avviso, difinisce nella più scultoria maniera questa classe specialissima.
In quanto poi alla classe dei primi commessi, ai commessi delle così dette case solide, ossia dei vecchi colleghi stabili (steady old fellows), sarebbe proprio stato impossibile di cadere in abbaglio. I loro abiti, i calzoni bruni o perfettamente neri, quel non so che d’agiato nei modi, le cravatte, i loro stessi panciotti bianchi, le scarpe comode, sode, con calze grosse, ossia con uose ricadenti, insomma, il loro complesso li qualificava a prima vista. Quasi tutte le loro teste erano interamente calve, e il destro orecchio, sempre uso a reggere la penna, aveva contratto un po’ di piega all’infuori. Specie davvero rispettabile per uniformità di principii e di metodo; — specie privilegiata!
Io osservava ch’essi toglievansi o rimettevansi sempre i cappelli con due mani, e che portavano oriuoli a corte catene d’oro, di solido e vecchio modello. Loro affettazione la rispettabilità, — ammesso tuttavia che vi possa essere affettazione tanto onorevole.
E ci era buon numero d’individui dalle apparenze splendide, tosto, da me riconosciuti appartenere alla razza del canagliume più matricolato, di cui sono infestate tutte le grandi città. Esaminata colla massima curiosità cotale specie di gentry, riescivami difficile il comprendere com’essi potessero venir presi per gentiluomini dai veri gentiluomini. Sembravami che quell’esagerata lor mostra di manichini e quell’aria d’impudente franchezza li avrebbero dovuti smascherare a prima vista.
I giuocatori di professione, — e ne scopersi gran numero, — ancor più facilmente davano all’occhio. E’ portavan d’ogni specie telette, da quella del più perfetto mezzano, giuocatore di bossolotti, dalla sottoveste di velluto, la cravatta di fantasia, le sfarzose catene di rame indorato e i bottoni di filigrana, alla teletta del prete, semplice sino allo scrupolo per evitar ogni ombra di sospetto. Nondimeno tutti costoro, si distinguevano per un colorito abbronzato e fosco, per non so quale vaporoso offuscamento della pupilla, per la compressione e la lividezza delle labbra. Eranvi inoltre due altri indizi che me li facevano subito riconoscere: — tono basso e riservato nel conversare, e una piucchè ordinaria disposizione del pollice ad allungarsi sino a far angolo destro con le dita. — Spessissimo, accompagnato a questi bricconi, notai qualcuno che discostavasi un poco dalle loro abitudini; però erano sempre tutti uccelli dalle stesse penne. Ne volete la giusta definizione? — cavalieri d’industria. A mugnere il pubblico, e’ dividonsi in due battaglioni, — il genere dei damerini ed il genere militare. Caratteri principali del primo, le zazzere lunghe e i sorrisetti studiati; del secondo, i lunghi mantelli e il burbero aggrottare delle sopracciglie.
Discendendo la così detta scala della classe sociale, trovai soggetti di esame ancora più nero e profondo. Ivi, merciaiuoli ebrei dagli occhi di falchetto scintillanti, sulle cui fisonomie errava una umiltà abbietta e maligna; e sfacciati mendicanti di professione che sgarbatamente urtavano altri miserabili di men sinistra apparenza, sventurati che la sola disperazione aveva gettato tra l’ombre notturne a chiedere un pane; e invalidi cascanti per debolezza, simili a spettri cui la morte abbia già afferrato con avida mano, i quali avanzavano a stento, barellanti a traverso la folla, con gli sguardi supplici fissi su’ vicini, quasi in questua di un’insperata consolazione, di qualche perduta speranza; e modeste fanciulle, reduci dai prolungati lavori al meschino abituro, più dolenti che sdegnate agli sguardi degl’impertinenti e lascivi, de’ quali non era possibile evitare il contatto; e prostitute di ogni specie e d’ogni età, — l’incontrastabile bellezza nel primo fulgor della vita, che ci rammenta la statua di Lucano, la cui superficie era di pario marmo e il di dentro di schifose lordure, — la lebbrosa tutta strucia e fetente, ributtante e colma d’obbrobrio, — la vecchia strega, grinzosa, lorda di pomate e di belletti, sopraccarica di ori falsi, grottescamente studiosa di ritentare le estreme appariscenze della gioventù, — la fanciulla ancora vergine, frutto quasi acerbo, ma di già apparecchiata da’ lunghi artifici del lénocinio alle arguzie provocatrici del commercio infame, ed arsa dalla divoratrice ambizione di essere già tenuta a paro delle sue vecchie compagne di vizio. E stuolo innumerevole ed indescrivibile di ubbriachi, questi cenciosi, balenanti, slombati, dai visi della morte e gli occhi vitrei, — quelli con abiti interi, sì, ma squallidi; un chiacchierio da gradassi, grosse labbra sensuali, faccie rubizze e franche; altri con vestiti di panno, un tempo di prima qualità, ora scrupolosamente puliti, ma ed anco ragnati; — uomini dall’incesso fermo e più dell’usato ardito, le cui fisonomie però spiccavano d’un terribil pallore, gli occhi atrocemente sconvolti e rossi, ed essi, nel farsi largo tutt’impresciati, arraffavano con le tremule dita ogni oggetto cui potessero arrivare. Quinci pasticceri, commessi, carbonai, spazzacamini; quindi suonatori d’organetto, educatori di scimmie e vendistorie, venditori frammisti a cantanti: colà artigiani cenciosi ed operaj d’ogni sorta rifiniti per eccesso di lavoro, — e tutti agitati da sollecitudine rumorosa e disordinata, che feriva gli orecchi col suo frastuono, causando allo sguardo una spiacevole sensazione.
Man mano che la notte si faceva più profonda, più profondo si faceva pure in me l’interesse di quelle scene; avvegnachè non solo si andasse alterando il carattere generale della folla (le più nobili fisonomie di essa scomparendo col graduale allontanarsi della parte più saggia della popolazione, e le più rudi e strane ponendosi in un quasi grottesco rilievo a misura che l’ora più alta avvolgeva di sua ombra le moltiformi specie di tante infamie) ma i raggi dei becchi del gaz, deboli dapprima al volgere del crepuscolo, brillassero ora dovunque sprazzando sopra le cose una luce fervida e scintillante. Tutto era nero, ma tutto rilucente, — a guisa di quell’ebano a cui venne paragonato lo stile di Tertulliano3.
Gli strani effetti della luce obbligaronmi a esaminare più attentamente le figure degl’individui, e, quantunque la rapidità con cui questo mondo di luce fuggiva d’innanzi la mia finestra mi vietasse di fissarle oltre il momento, mi pareva tuttavolta che, in grazia della singolare mia attitudine morale, spesso potessi leggere in quel breve intervallo, per un’avidità intensa della pupilla, la storia terribile di lunghi e lunghi anni.....
Sempre la fronte appoggiata a’ cristalli, io me ne stava in tal modo a contemplare la folla, allorchè tutt’a un tratto ecco apparirmi la fisonomia d’un vecchio uomo da’ sessanta cinque ai settant’anni, — una fisionomia che issofatto scosse e fermò tutta la mia attenzione, in causa dell’assoluta singolarità della sua espressione. Sino a quel momento, lo confesso, di quanti n’aveva veduto, nessuno ci era stato che, pur di lontano, tenesse un cotal po’ di questa nuova apparizione. Io mi ricordo che, vedendo uomo tale, il mio primo pensiero fu che, se egli fosse caduto sotto gli occhi di Retzch, certissimamente questi l’avrebbe preferito alla immagine in cui e’ studiossi incarnare il demonio. Ma in quella che, durante il brevissimo intervallo che ’l potei vedere, io studiava farmi un’analisi qualsiasi del sentimento generale ch’egli in me aveva trasfuso, sentii elevarsi nel mio spirito, come in confuso ed in modo il più stravagante, idee proprio nuove — d’intelligenza vasta, di circospezione, di spilorceria, d’avarizia, di calma, di ribalderia, di sete sanguinaria, di trionfo, d’allegrezza, di terror panico, d’intensa e suprema disperazione. Io mi sentiva come per fascino surreccitato e côlto. — Quale strana storia, dissi meco stesso, è scritta in quel petto! — E allora mi colse un desio febbrile di non perdere più di vista quell’uomo, — di conoscere quanto più potessi di lui. In tutta fretta m’infilai il soprabito, e, preso il cappello e la mazza, mi lanciai nella via, affrettandomi ad attraversare la folla nella direzione ch’io gli aveva veduto prendere, poich’egli erami già sfuggito di vista. Con qualche difficoltà giunsi alfine a discernerlo, me gli accostai e gli tenni dietro davvicino, studiando però le maggiori cautele per tema di non attirarmene l’attenzione.
Ma ora io poteva comodamente studiare tutta la sua persona.
Era desso uomo di piccola statura, magrissimo e apparentemente assai debole. Sconci e laceri gli abiti; ma siccome di tanto in tanto e’ passava sotto la fiamma vivissima de’ fanali a gaz, mi accorsi che la camicia, quantunque assai sporca, era però di finissima qualità; e, se gli occhi non mi fecero inganno, a traverso un largo strappo del mantello, evidentemente compro di rivendita, in cui con gran cura s’era tutto ravvolto, sembrommi di scorgere lo splendore d’un diamante o d’un pugnale. Le quali osservazioni raddoppiarono la mia curiosità, e mi fecero risolvere di tenere dietro all’incognito, dovunque a lui fosse piaciuto dirigersi.
Ma oramai era notte piena, e su tutta la città distendevasi una nebbia umida e spessa, che non tardò a risolversi in acquerúgiola fastidiosa e continua; e questo mutarsi del tempo produsse un effetto bizzarro sulla folla, che fu tutta quanta sconvolta da un nuovo movimento, scomparendo sotto un’onda sterminata e fantastica di ombrelli. L’ondulamento, gli urti, ed il frastuono si fecero forti un dieci volte tanto. Quanto a me poco pensiero mi dava dell’acqua, poichè siccome erami ancora rimasto nel sangue un po’ della mia vecchia febbre, quello stesso umido mi faceva provare una specie di voluttà pericolosa. Mi annodai un fazzoletto attorno la bocca e dissi meco stesso: Avanti!
Durante una mezz’ora il vecchio incognito con gran difficoltà fecesi strada a mezzo quella massa vivente, — e, nel timore di perderlo di vista, quasi io calpestava le sue stesse orme; e poich’egli non volgevasi mai a guardare indietro, non fece neanco attenzione alcuna a me. In breve si spinse in una strada laterale, che — sebbene ingombra di popolo — non lo era però così come la principale testè lasciata. Ivi successe un cambiamento notevole ne’ suoi passi. Procedeva più lento, più indeciso, con più manifesta esitanza. Attraversò e riattraversò replicatamente la via, senza scopo, manifesto; e qui la folla era sì fitta ch’io era sempre obbligato di tenermegli su’ passi.
Era una strada stretta e lunga, in cui l’uomo aggirossi e rigirossi un’ora all’incirca, nel qual tempo la folla dei passanti andò poco alla volta riducendosi a quell’ordinaria quantità che quasi ogni giorno si vede a Broodway, presso il parco: — vedete mo’ qual differenza tra la folla di Londra e quella di una città americana più popolosa! A una seconda svolta ci trovammo sopra una seconda piazza magnificamente rischiarata e tutta piena di vita. Strano! il primitivo contegno dello sconosciuto cambiossi: abbassò il mento sul petto, e i suoi occhi rotearono per ogni verso sotto le aggrottate sopracciglia, brillando provocatori sugli astanti. Studiò il passo regolarmente, senz’interruzione. Tuttavia, allorchè egli ebbe fatto il giro della piazza, io mi accorsi con sorpresa ch’ei ritornava sulle proprie orme. Anzi, fui preso da doppio stupore, veggendo com’e’ ripetesse più volte la stessa passeggiata: e, ascoltate! avvenne che, essendosi una fiata voltato bruscamente indietro, poco mancò non fossi da lui scoperto.
Tuttavia, consumò una buon’ora in questo indefinibile esercizio, che in fin fine ci lasciò più liberi di noi e, quasi direi, soli. La pioggia cadeva sottile e fitta, l’aria diveniva diacciata e le persone rientravano tutte alle lor case. L’errante con un gesto di viva impazienza s’immise in una via oscura e quasi deserta: e, per un quarto di miglio circa, in tutta la di lei lunghezza camminò con tale agilità, ch’io non avrei certo supposto in un essere de’ suoi anni, — agilità cui durava gran fatica il tenere dietro. In pochi istanti ci trovammo di faccia a un immenso ed affollatissimo bazzarre. Lo sconosciuto mutava la sua fisionomia a seconda delle località rispettive. — E qui egli prese altra fiata il primitivo suo incesso, e, — senza scopo errando qua e là — s’aperse la via tra la calca de’ compratori e de’ venditori.
In un’ora e mezzo all’incirca che consumammo in questo nuovo sito, confesso che abbisognommi prudenza moltissima per non perderlo di vista, senza svegliare la di lui attenzione.
Per buona fortuna io portava delle soprascarpe di guttaperca, per cui andava e veniva senza destare il menomo rumore.
Nè egli s’accorse, neanche un solo istante, di essere tenuto di vista: visitò l’una dopo l’altra tutte le botteghe, ma non negoziò fil di roba, non disse ette, — gettava soltanto sopra ogni oggetto uno sguardo fisso, spaventato, vuoto. Invero io mi sentiva prodigiosamente meravigliato della sua condotta; per cui tenacissimamente risolvetti di non più abbandonarlo, se non avessi prima compiuto ogni mio studio sopra di lui.
Quand’ecco il più vicino orologio battere sonoramente undici ore, — e allora ognuno a lasciare in gran fretta quel ricco bazzarre. Sei non che, nel chiudere d’un’imposta, avendo un bottegaio urtato del gomito nell’uomo misterioso, istantaneamente notai che un brivido violento lo ebbe assalito in tutta la persona. Precipitossi nella strada, — in un baleno guardossi ansio ansio d’attorno, quindi, con incredibile, prestezza, trascorse varie strade rimote, tortuose e deserte, sino a che di nuovo ci trovammo nella via primitiva, là donde eravamo partiti, — la strada dell’albergo D.... Ma questa aveva mutato d’aspetto intieramente; però i becchi del gaz brillavano sempre, la pioggia cadeva diluviando, e solo qualche passante qua e là a sgusciare ed a correre.
Lo sconosciuto si fe’ pallido pallido, e, d’un’aria di sepolcro, procedette d’alquanti passi in quella via poc’anzi tanto popolosa; quindi, dato un profondo sospiro, piegò, nella direzione del fiume, e, ficcandosi in un labirinto di stradicciuole tristi e rimote, giunse infine sulla piazza d’uno dei principali teatri. Essendo l’ora della chiusura, le persone ne uscivano in fretta, e s’allontanavano. E l’uomo misterioso parve, aprendo la bocca, anelar fortemente, e si confuse tra la folla, ma notai che l’angoscia profonda della sua fisionomia si era un po’ calmata. Lasciò ancora cadere la testa sul petto, e mi parve precisamente tale quale l’aveva scôrto di prima sera. Osservai però che ora dirigevasi verso la parte percorsa dal pubblico, ma — a che celarlo? — mi fu proprio impossibile il poter indovinare alcun che della stravagantissima sua ostinazione.
Intanto ch’ei procedeva, la folla si dileguava; ed ecco a riassalirlo quel suo primo malessere, quelle angosciose esitanze di prima. Per qualche tempo tenne dietro ad un gruppo di dieci a dodici schiamazzatori: poco a poco però, uno alla volta, quel numero scemò e si ridusse a tre soli individui, che infilarono una stradicciuola stretta, oscura è poco frequentata. L’incognito sostò, e per alcuni istanti rimase assorto nelle meste sue riflessioni: quindi, moltissimo agitato, cacciossi rapidamente in una via che ci condusse agli estremi della città, in siti tutt’affatto differenti da quelli attraversati sin’ora. Era questo, in fatti, il quartiere, più malsano di Londra, dove ogni cosa offre l’aspetto il più funesto d’una povertà straziante e d’un vizio gangrenito. Sotto il livido riverbero d’un fanale scorgevansi molte case di legno, alte, vecchie, invase dai tarli, minaccianti rovina, e viuzze sì spesse, tortuose, remote, che a mala pena potevasi sperare di trovar una qualche uscita. Rotto qua e là l’acciottolato, lúbrico e in parte nascosto sotto discontinui strati di erba. E grandi ed orribili immondezze stagnavano negli ingombri gorelli, e tutta l’atmosfera esalava vapori pestiferi e nauseabondi. Non pertanto, via via che si procedeva, il frastuono della vita umana, quasi a gradi, ridestavasi distinto; e, infine, scorgemmo agglomeramenti grandi di persone, la feccia più infame della plebaglia di Londra, che venivano, passavano, arrestavansi e partivano balenanti. Qui il mio vecchio uomo sentì ancora infervorarsi le convulsioni del suo spirito, a guisa di lampada in agonia. Tutto a un tratto ci voltammo da un lato; quale spettacolo! Una luce rossigna ed abbagliante ci percosse la vista, e tosto ci accorgemmo di trovarci al cospetto d’uno dei più frequentati suburbani templi della dea Intemperanza — uno dei palazzi del demonio Gin4.
Si avvicinava l’alba, ma una folla di sciagurati ubbriaconi stava ancora accalcata e dentro e fuori del fatale albergo. Il mio vecchio uomo, gittato quasi un grido di gioia, aprissi il passo in mezzo alla calca, riprese la primitiva sua fisonomia, e — senza scopo deciso — posesi a solcare per ogni verso la baccanella. Ma, passati appena pochi minuti che s’ebbe preso tal libertà, un violento sbattere di porte ci rese avvertiti che l’oste, per l’ora avanzata, stava finalmente per chiudere. Ciò che io osservai sulla fisionomia di quest’essere singolare, da me tanto ostinatamente spiato, era un non so che di più forte, di più acuto, di più intenso della stessa disperazione.
E nondimeno l’uomo non esitò un attimo in quella sua fantastica corsa, e con energia disperata ritornò subitamente nella mia direzione per recarsi ancora nel centro della popolosa Londra. — E corse presto e lungamente, e sempre io gli tenea dietro con uno stupore indescrivibile, fermamente risoluto di non lasciarmi sfuggire un’investigazione che m’inspirava un interesse tanto vivo e profondo.
In quella che compivamo la nostra corsa, i primi raggi del sole salutavano il mattino; e tosto, che ebbimo un’altra volta raggiunto il centro commerciale della metropoli sterminata, — la via dell’albergo D.... — questa offriva un aspetto di attività, e di moto quasi uguale a quello da me osservato la sera innanzi. E lì ancora, in mezzo alla confusione ognor più crescente della folla, io persistetti lungamente nel tener dietro a quell’uomo. Ma, secondo il suo costume, egli andava e veniva, e per tutto il giorno intiero ei non uscì dall’agglomeramento turbinoso di quella via.
E quando le ombre della giornata, cominciarono lentamente a distendersi, mi sentii quasi annientato per mortale angoscia: — ci pensai, mi decisi, e infine piantatomi imperterrito innanzi l’uomo errante, gli sbarrai profondamente gli occhi sopra. Ma e’ non si addiede del mio atto, e calmo e solenne proseguì sua corsa: allora disperando di potergli tener dietro, rimasi assorto a contemplarlo per molto tempo, — tanto ch’ei si dileguò come nebbia, ed io più non lo scorsi....
Dippoi, destomi come esterrefatto da quello strano stupore: — Questo vecchio, esclamai meco stesso convinto, è il tipo ed il genio del più profondo delitto. La solitudine gli è sempre di peso.
Egli è l’uomo della folla. Vano il tenergli dietro, che nè ora, nè mai io potrei saperne di più di quanto ora so, e di lui e delle sue azioni. — Sì, lo ripeto: il peggior cuore del mondo è un libro più schifoso dell’Hortulus animæ5, e forse è una delle grandi misericordie di Dio che: Es læsst sich nicht lesen, - cioè, che non si lasci leggere.
- ↑ Discesi da padri nobili (Ευπατρις, ιδος). Nell’Attica, e specialmente in Corinto e in Atene i cittadini per nascita e fortuna più ragguardevoli e potenti, a cui affidavasi il maneggio della Repubblica.
B. E. M.
- ↑ In senso retto, le persone qualificate, civili, pulite, ossiano i gentiluomini.
B. E. M.
- ↑ Oscurità però di stile in cui rilevasi forza e vivacità lustro e grandezza.
B. E. M.
- ↑ Gin, Geneva; liquore distillato dalle bacche del ginepro, di cui fanno deplorevole abuso le povere plebi di Londra.
- ↑ Hortulus animæ, cum oratiunculis aliquibus superadditis, di Grünninger.
E. A. P.
B. E. M.