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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
L’AFFARUCCI DE LA SERVA.
Tiè, Ppippo,1 intanto maggnete2 sto petto
De bbeccaccia in zarmì cch’è ttanta bbona.
E ecco le sarcicce3 e la fettona
De pane casareccio che tt’ho ddetto.
A ssei ora viè ppoi p’er vicoletto,
E sta’ attent’a l’orloggio quanno sona;
Ch’io, pe’ ssolito, allora la padrona
L’ho ggià bbell’e spojjata e mmess’a lletto.
Un quarto doppo io te darò er zegnale,
Tirerò er zalissceggne,4 e ttu vvia via
Sscivola5 in ner portone e ppe’ le scale.
Come sei ddrento poi, nun fà er balordo:
Va’ ddritto drittoFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte in ne la stanzia mia,
Perché la padroncina è ggià d’accordo.
12 dicembre 1834
Note
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