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Ce conoscemo Giusepp'abbreo
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

L’INZÒGNO.1

     Ner zoggnàmme stanotte l’esattore,
M’ero tirato a lletto in pizzo in pizzo,2
Finarmente che sscivolo, e tte schizzo
4Propio cór culo in cima ar pisciatore.

     Un coccio più ttajjente d’un rasore
M’ha sbuggiarato tutto er cuderizzo;3
E mmo mme se fa nero com’un tizzo,
8E cce sento un inferno de bbrusciore.

     Madama Squinzia,4 che a cquer zerra serra
Se svejjò ppuro lei, come una matta
11Se messe a ride de vedemme in terra.

     Io je scarico allora una ciavatta;
E llei butta er lenzolo, e me s’afferra
14Su li tre appiggionanti5 de la patta.

13 ottobre 1830.

  1. [Il sogno.]
  2. [Proprio sulla sponda.]
  3. [Il codione, il cóccige.]
  4. Nome di scherno.
  5. [Pigionali.]

Note

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