Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della raccolta Edgar Allan Pöe




L’O E L’X





L’O e l’X 1 è semplicemente una bizzarria.

È un divertente duello a penna fra due giornalisti, il quale, per un originalissimo incidente, finisce in modo inaspettato.

È notevole la briosità della forma e la novità assoluta della trovata.

Probabilmente sotto questa graziosa e comica concezione doveva essere nascosta una intenzione sottile ed una satira finissima.

Senza dubbio, qualche pubblicista d’allora dovette trovar qui la propria caricatura.


L’o e l’x




È generalmente ammesso che la saggezza viene dall’Oriente.

Il signor Vaevieni Testaquadra arrivava direttamente dall’Est, dunque il signor Vaevieni Testaquadra era un saggio.

Ove poi occorresse una prova a questa dimostrazione, aggiungerò che il signor Testaquadra era un direttore di giornale e che non aveva che un solo difetto: la testardaggine, o, meglio, l’irascibilità; ma l’ostinazione di cui lo si accusava non era infine che un debole, e poichè invece naturalmente il sig. Testaquadra la teneva per fermezza, e la considerava come la maggiore delle sue virtù, così è provato che il signor Testaquadra era un saggio.

Tuttavia in una sola circostanza egli non meritò questo epiteto, e fu quando lasciò il domicilio legale della saggezza — l’Est — e venne a stabilire la sua dimora nella città di Alessandro-il-gran-donopoli, od altro luogo di simile nome, in fondo al Farwest.

E però giustizia riconoscere che se egli si decise a scegliere la città anzidetta ciò fu nella persuasione che quel paese non possedesse nè giornale, nè direttore di giornale.

Fondando la Caffettiera delle famiglie egli credeva che il campo fosse libero. Presumo anzi che non si sarebbe mai sognato di andare ad abitare Alessandro-il-gran-donopoli ove avesse potuto supporre che in quel paese viveva già un certo John Smith del Comfort (se la memoria mi è fedele), il quale, da lunghi anni, s’era impinguato pubblicando la Gazzetta Alessandro-il-gran-donopolitana.

Fu dunque in seguito a poco esatte informazioni che il signor Testaquadra si trovò un bel giorno ad Alessandro-il-gran-donopoli, o, per farla breve, ad Onopoli, e che, giuntovi, per non mancare alla sua fama di fermezza, decise di rimanervi. Anzi sballò i suoi torchi, i suoi caratteri da stampa, ecc.; prese in affitto un ufficio proprio di faccia a quello della Gazzetta e, tre giorni dopo il suo arrivo, pubblicò il primo numero della Caffettiera.

L’articolo di fondo, m’è forza confessarlo, era assai bellicoso, per non dir peggio. Diceva male di tutti in generale e del redattore della Gazzetta in particolare. Qualche passaggio era anzi così incendiario che da allora ho sempre considerato l’onorevole John Smith, il quale vive ancora, come una specie di salamandra.

Non posso trascrivere qui tutto l’articolo, ma rammento la conclusione:

«Oh! sì! Oh! noi comprendiamo benissimo! Oh! certo! Il giornalista di faccia è un genio! Oh! Dio!

«Oh! bontà divina! dove va maì a finire il mondo!

«O tempora! O mores!»

Una satira così caustica e, nello stesso tempo, così classica, piombò come un obice nella città, sino allora sonnolenta, di Onopoli. Capannelli di persone agitate si formavano agli angoli delle vie. Tutti attendevano ansiosi la risposta del degno signor Smith.

Essa apparve il mattino dopo così concepita:

«Leggiamo nella Caffettiera delle famiglie le seguenti linee: Oh! sì! Oh! noi comprendiamo; Oh! certo; Oh dove va il mondo; Oh! Dio! Oh! bontà divina; O tempora, O mores! — Ma che cosa è? ma questo signore non è che una O? Ciò spiegherebbe, del resto, il perchè i suoi ragionamenti siano così tondi, e come i suoi scritti non abbiano nè principio nè fine, nè testa nè coda.

«E davvero noi crediamo che questo signore senza luogo e senza tetto, non possa far cosa che non sia farcita di O; chi sa? Egli viene dall’est! Chi sa? forse che non fosse laggiù debitore di qualche I seguito da tanti O quanti egli ne mette nelle sue frasi? Oh! quanto ci spiacerebbe!»

L’indignazione del signor Testaquadra nel leggere questa scandalosa elucubrazione fu tale che non saprei ridirla.

Più che gli attacchi alla sua onoratezza, lo fece uscir dai gangheri la canzonatura del suo stile. Ma come? lui Vaevieni Testaquadra, non era buono a produrre uno scritto che non fosse farcito d’O? Oh! saprebbe bene, e presto, mostrare a quel bambino di Smith come s’ingannasse a partito, lo stupido! Egli s’impegnava, lui, Vaevieni Testaquadra, di far vedere a John Smith che lui, Vaevieni Testaquadra, sapeva comporre, se così gli piacesse, tutto un articolo senza che quella spregievole vocale, l’O, vi figurasse una sol volta; no! neppure una!

Calmatosi alquanto, riconobbe come il far ciò sarebbe stata una concessione al signor Smith.

Niente affatto! Vaevieni Testaquadra non cambierà il suo stile per soddisfare il capriccio di tutti quanti gli Smith della cristianità.

Egli manterrà i suoi O.

Infiammato da questa nobile determinazione il gran Testaquadra fece comparire sul seguente numero della Caffettiera questa comunicazione, semplice, ma recisa:

«Il redattore della Caffettiera delle famiglie ha l’onore di annunciare al redattore della Gazzetta di Onopoli che egli (la Caffettiera) si farà un dovere di convincerlo (la Gazzetta) nel suo numero di domani che egli (la Caffettiera) può e vuole essere padrone del proprio stile.

«Egli intende esprimere il supremo disprezzo che alberga nel suo (della Caffettiera) libero cuore per le critiche della Gazzetta, e comporrà per suo (della Gazzetta) piacere, appositamente, un articolo di una certa lunghezza, nel quale la vocale magnifica, l’emblema dell’eternità, naturalmente antipatica alla sua (della Gazzetta) squisita sensibilità non sarà certo bandita.

«E pigliati su questo!»

Per dare effetto alla terribile minaccia, che aveva oscuramente accennata piuttosto che chiaramente espressa, il gran Vaevieni Testaquadra, sordo ad ogni domanda di «originale» rimase sino allo spuntare del giorno, consumando un’enormità d’olio, immerso nella composizione dello stupefaciente articolo che segue:

«NO, JOhn! nO JOhn! nOn sOnate trOppO a triOnfO!

«QuestO nOn è giOcO buOnO per vOi, pOstO ancOra entrO al bOzzOlO.

«DiavOlO! La vOstra bOnne O il vOstrO pedagOgO dOrmOnO che vOi siete fuOri sOlO?

«NO! NO! nOn vOgliO!

«TOrnate tOstO a bOrdO, al cOvO, all’OstellO vOstrO nel bOscO di COmfOrt; nell’OrridO bOscO di COmfOrt, O piccOlO gufO!

«NOn vOlete?

«OibO’! OibO’ JOhn! NOn è questO il cOntegnO di un buOn bimbO!

«TOrnate, e pOCO chiassO, O bOttOlOttO idrOfObO!

«NiunO vi vuOle ad OnOpOli.

«Se nOn tOrnate tOstO nOn vi cOnsidererO’ più cOme un uOmO!

«NO! vi dirO’ allOccO, sciOccO, bOnO a pOcO, biffOlcO, cOcOmerO, brOccOlO brOdOlOsO, abOrtO, OrciO rOttO, OrcO, rOccOlO, cOrpO spOrcO, rOspO sOrtO dal fOssO del bOscO di COmfOrt!

«Il nOdO è al grOppO.

«NOn bOffOnchiate, nOn fate l’OcchiO tOrvO!

«BuOn DiO! Che OrrOre il vOstrO scrittO!

«COme è sciOccO! COme siete pOcO accOrtO!

«VOi vi cOntOrcete a rOtOlO cOme un’Oca in fOndO a un truOgOlO prOfOndO e pOcO OdOrOsO.

«IO nO! IO sOnO fOrte e grOssO! NOn rOmbO, e nOn bOrbOttO! SOffOcO l’OdiO di bOttO; ma nOn rOdO l’OssO, e, se vOgliO, OsO, iO!

«V’hO messO a pОstO, O cOllO tOrtO?

Sfinito dopo questo prodigioso sforzo d’immaginazione, il gran Testaquadra non potè scrivere altro.

Fermo, solenne, con un gesto di grandezza cosciente, porse il manoscritto al compositore che aspettava; rientrò lentamente in casa e si mise a letto con ineffabile dignità.

Nel frattempo il compositore, che finalmente aveva dell’«originale», si arrampicò su al primo piano, ove era la tipografia, e, fermato con uno spillo il foglio davanti a sè, si mise al lavoro.

La prima parola essendo NO, mise la mano nel cassetto delle N maiuscole e ne tolse fuori felicemente la lettera.

Rallegrato da questo successo, cercò nel cassettino degli O maiuscoli, ma chi potrà descrivere il suo stupore quando vide tornar fuori la mano senza la lettera richiesta?

Chi saprà dipingere l’espressione della sua rabbia e della sua meraviglia quando, fregandosi l’estremità delle dita, dovette convenire che egli le aveva vanamente urtate contro le pareti di un cassetto vuoto?

Gli O maiuscoli mancavano, e quando corse al compartimento degli O minuscoli scoprì con terrore che anche quello era perfettamente vuoto.

Stupefatto, il compositore corse dall’impaginatore.

— Eh! voi! — urlò — come debbo fare a comporre senza O?

— Che? — grugnì l’altro, di cattivo umore per aver dovuto vegliare tanto tardi.

— C’è che non ci sono più O, nè grandi nè piccoli, in tutta la stamperia!...

— Che?... e dove sono andati?

— E che ne so io?... però — riprese il compositore — ora che ci penso, ricordo che uno di quei dannati compositori della Gazzetta è venuto stassera a ronzare da queste parti... volete scommettere che ce li ha sgraffignati lui, tutti i nostri O?

— Che il diavolo lo porti! È stato lui certo! — riprese l’impaginatore, rosso dalla collera, — ma si piglino guardia quei birbanti perchè uno di questi giorni andiamo a portar loro via tutte le loro A e tutte le loro Z, a quei tiraborse del demonio!

— Accettato! — approvò l’altro — si farà!... Ma intanto questo articolo bisogna pur stamparlo...

— È lungo? — interruppe l’impaginatore.

— Così, così....

— Facciamo alla meglio! ... Mettete un’altra lettera al posto dell’O e che la sia finita. D’altra parte, chi mai legge le balordaggini del padrone?

Amen! — conchiuse il compositore, e si pose all’opera.

Un tale contrattempo non è per nulla raro nelle tipografie, e quando si verifica, si usa, non so bene il perchè, di sostituire la lettera mancante con una X. Forse perchè l’X abbonda sempre nel cassetto.

Quanto al nostro impaginatore, egli avrebbe creduto di commettere un’eresia se non avesse usato l’X in una congiuntura di simile genere.

— Bisognerà ben che passi quest’indiavolato articolo all’X — disse fra sè, mentre leggeva meravigliato; — ma, parola d’onore, questo è l’articolo il più pieno di O che io mi abbia mai veduto.

Mise giù le X senza misericordia e lo passò alla stampa.

Il mattino dopo, la popolazione di Onopoli, trasecolata, leggeva in capo alla Caffettiera delle famiglie le seguenti linee:

«NX, JXhn! NX, JXhn! NXn suXnate trXppX a triXnfX!

«QuestX nXn è giuXcX buXnX per vXi, pX stX ancXra entrX al bXzzXIl!

«DiavXlX! la vXstra bXnne X il vXstrX pedagXgX dXrmXnX che vXi siete fuXri sXlX?

«NX! NX! NXn vXgliX!

«TXrnate tXstX a bXrdX, al cXvX, all’XstellX vXstrX nel bXscX di CXmfXrt; nell’XrridX bXscX di CXmfXrt, X piccXlX gufX!

«NXn vXlete?

«XibX ’! XibX’! JXhn! NXn è questX il cXntegnX di un buXn bimbX!

«TXrnate, e pXcX chiassX, X bXttXlXttX idrXfXbX!

«NiunX vi vuXle ad XnXpXli.

«Se nXn tXrnate tXstX, nXn vi cXnsidererX’ più cXme un uXmX.

«NX! vi dirX’ allXccX, sciXccX, bXnX a pXcX, biffXlcX, cXcXmerX, brXccXlX brXdXlXsX, abXrtX, XrciX rXttX, XrcX, rXccXlX, cXrpX spXrcX, rXspX sXrtX dal fXssX del bXscX di CXmfXrt!

«Il nXdX è al grXppX.

«NXn bXfXnchiate, nXn fate l’XcchiX tXrvX!

«BuXn DiX! che XrrXre il vXstrX scrittX! CXme è sciXccX! cXme siete pXcX accXrtX!

«VXi vi cXntXrcete a rXttXlX cXme un’Xca in fXndX a un truXgXlX prXfXndX e pXcX XdXrXsX.

«IX nX! IX sXnX fXrte e grXssX! NXn rXmbX, nXn bXrbXttX! sXffXcX l’XdiX di bXttX, ma nXn rXdX l’XssX, e, se vXgliX, XsX, iX!

«V’hX_messX a pXstX, X cXllX tXrtX?

Nessuna umana parola può dare l’idea del tumulto causato da uno scritto così misterioso e cabalistico. Il primo pensiero che la popolazione di Onopoli concepì fu quello che sotto a quei geroglifici si nascondesse un qualche infernale sortilegio, e si precipitò come un sol uomo alla casa di Testaquadra nella lodevole intenzione di linciarlo.

Ma il grand’uomo era sparito senza che nessuno potesse dire come e quando, e da allora, ad Onopoli, nessuno lo vide più! . . . . . . . . . .

F. G.

  1. Nell’originale «The reply by X» (una replica all’X).

Note

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