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ATTO I.
SCENA I.
Mitieto vecchio, Cintia sotto abito di maschio.
Mitieto. Talché, per dirvelo liberamente, Cintio mio caro, né maggior bellezza accompagnata da onestá, né maggior chiarezza di sangue congionta con umiltá trovarete, né maggior amor senza gelosia si vede in donna giamai di quello che porta ella a voi. E se in tutte le cose è qualche termine o modo, solo in amar voi ella non serva né termine né modo. Ella è non men d’opre che di nome chiara; si chiama Lidia, che è la pietra del paragone dove tutte le virtú si scuoprono e s’affinano: talché come cosa illustre e singulare, o sia in casa o sia in piazza o nelle chiese, tira a sé gli occhi e tien le lingue sospese e i pensieri di ciascheduno; e par che la natura e la fortuna l’abbiano dotata di tante grazie solo per farla vostra compagna. Onde di tanto favore voi dovreste a Dio un perpetuo rendimento di grazie; e voi sempre piú duro e ostinato in rifiutarla perseverate.
Cintia. Mitieto, io non ho visto né il piú duro né il piú ostinato uomo di te, che, avendomi ostinatamente tutt’oggi intronato il capo, ancora perseveri a molestarmi.
Mitieto. La cagione n’è Arreotimo vostro padre, il qual mi sforza a far questo ufficio con voi e pensa che il difetto venga da me, come io non sapessi persuaderlovi acconciamente, perché è rissoluto che voi abbiate ad ammogliarvi.
Cintia. Se ben a mio padre io sia stato in tutto ubidiente e abbia fermo proposito d’esser cosí sempre per l’avvenire, pur nel fatto della moglie voglio ubidire a me stesso, perché io son quello che ho da vivere e morir con lei.
Mitieto. Egli non vi obliga piú ad una che ad un’altra, ma vuol che la finiate tosto, perché molti anni vi vien dietro con diverse spose, e voi attaccandole or un difetto or un altro le rifiutate tutte, come se nel mondo non si trovassero donne di voi degne.
Cintia. Come ti sforzi di persuadere a me, perché non ti sforzi di persuadere a mio padre che faccia altro pensiero?
Mitieto. Voi sapete ch’ogni padre desia vedere i nepoti, e massime chi è padre di un solo.
Cintia. Non vedrá mai mio padre, dandomi moglie, da me generar figliuoli.
Mitieto. Che sète forse ammalato? Voi sapete che son stato vostro balio, e l’affezion grande, che v’ho portata da picciol bambino, s’ha occupato il luogo della natural creazione, che mi posso dir vostro padre: se vi nascondete da me, a chi dunque nel mondo vi palesarete?
Cintia. Mitieto, quando arai intesi i miei guai, a te dispiacerá di avergli intesi e a me d’avergli raccontati: però per tôrre all’uno e all’altro questo travaglio sará meglio ch’io taccia e soffrisca.
Mitieto. Manifestate il vostro male, ché l’infirmitá conosciuta si può rimediare, ma la taciuta va sempre di male in peggio.
Cintia. Dimmi, posso fidarmi io di te?
Mitieto. Questa domanda è un’occolta maniera di notarmi d’infedeltá, poiché dubitate se debbo tacer cosa che son tenuto per debito a tacere.
Cintia. Oimè, che tremo e mi vergogno palesare il mio secreto! Sappi, Mitieto mio caro, ch’io son femina.
Mitieto. Femina? ed è possibil questo?
Cintia. Cosí non fusse mai stato!
Mitieto. O Dio, che intendo!
Cintia. Nulla ancora delle gran cose che sei per intendere.
Mitieto. Ma come son stato io cosí cieco che, avendovi tenuto in braccio tante volte e vestito e spogliato tante volte, non mai me ne sia avveduto?
Cintia. Come volevi tu accorgertene, se la diligenza di Ersilia mia madre fu tale che né l’istesso mio padre ne fece accorgere?
Mitieto. Deh! manifestatemi di grazia la cagion del tutto.
Cintia. Stammi tu dunque ad ascoltare.
Mitieto. Ma raccontatelo di grazia come se aveste a raccontarlo in una scena.
Cintia. Sappi che quanto Ersilia, la mia madre, fu bella e nobile tanto fu poco agiata de’ beni della fortuna; abbitava qui presso ad Arreotimo mio padre, il quale invaghitosi di lei corruppe la madre, le serve e tutti di casa con danari, e si godé di lei. Ella che ben sapea l’arte di rendersi altrui soggetto, mostrandosegli grata in ogni cosa e soggiogandolo con la sua bellezza, lo ridusse in poco tempo a tale che oltra di lei non vedeva, né sentiva altro diletto che di udirla ragionare e di averla sempre in braccio. Onde ella divenne il tutto; ed egli le promise liberamente che se di lei avesse avuto un maschio, che sommamente desiderava, la sposarebbe e la farebbe erede del tutto; ma partorendogli una femina, le donarebbe quattromila ducati, e del resto lascerebbe erede Sinesio, questo vicino suo grandissimo amico. Or mia madre, che altro non bramava che uscir di peccato e restituirsi nell’onore, si voltò a Dio con i piú efficaci prieghi, con le piú ardenti lacrime che mai uscissero da cor di donna, aggiongendo voti a voti e pregandolo che le concedesse un maschio. Ecco s’ingravida e partorisce me, nel cui picciol soggetto si vede raccolto un grande apparato di formidabili accidenti. ...
Mitieto. Come dunque nascose il parto ad Arreotimo?
Cintia. ... Ella avea determinato vincer l’impresa ad ogni modo, e come prudente ch’era, s’avea preparato una comare che le trovasse un maschio, per mostrarlo quel giorno ad Arreotimo. Venne il tempo del parto, e le successe ogni cosa come desiderava; sicché Arreotimo vide in scambio di me un maschio, ed io fui mandato a battezzare, e di Cintia che si dovea, Cintio mi si pose nome. Fu tal poi la sua accortezza che non lo fe’ accorger mai ch’io fussi femina, fidandosi solo d’una mia balia. Arreotimo la sposò secondo la promessa e l’instituí erede nella sua morte; essendo anch’io bambina, passò di questa vita, restando io sola miserabil reliquia di tanti affanni. Or sia detto assai della mia madre, del mio nascimento, e torniamo a’ casi miei. ...
Mitieto. Gran meraviglie son quelle che mi raccontate.
Cintia. Maggiori ne udirai. — ... Venuta ch’io fui all’etá convenevole, Arreotimo mi mandò alla scuola con Erasto, figlio di Sinesio, acciò, per essere amendue d’una istessa etá, l’emolazione avesse me spronato agli studi. Apparai lettere, e le mani nate alla conocchia e all’aco rivolsi a maneggiar cavalli e armi e tutte quelle arti che rendono illustre un cavaliero, non lasciandomi superar da Erasto, anzi lasciandomelo dietro di gran lunga. Lodava molto mio padre quest’amicizia, veggendolo ornato di tante lettere e di tante buone creanze, anzi non voleva ch’io trattassi con altro che con Erasto; onde nacque tra noi una amicizia strettissima, trattandosi fra noi di risoluzioni onorate, di desidèri di belle imprese e d’esser compagni a gran fatti. ...
Mitieto. E in un petto di donna potea capir animo sí valoroso?
Cintia. Ascolta, di grazia.
Mitieto. Che ascolti io? e chi sarebbe quello che cosí bella storia non ascoltasse un giorno intiero? Non ascoltai mai cosa in mia vita che piú mi dilettasse.
Cintia. ... A me cominciarono a piacere i suoi modi come quelli che di tanta grazia erano pieni ch’io gli stimava l’istessa grazia, e mi s’imprimevano sí fattamente nel core che mi pareva che ivi fussero visibilmente scolpiti. E cominciai ad amarlo senza che sapessi che cosa fusse amore: e semplice e inesperta a guisa di farfalla correva al dolce lume de’ suoi begli occhi e ivi rimaneva preda della sua bellezza, sentendomi brusciar la mente e l’anima come arido legno e provando una passione non mai piú sentita. Allora opposi gli occhi della mente a quelli del corpo, ma restaron subito occecati; e la mia continenza fu vinta dalla passione, né fu mai possibile che si scancellasse quell’amorosa imagine che nel cuor s’era scolpita. Al fin, vedendo che con longa e ostinata resistenza non facea nulla, mi lasciai tutta brusciar di quel foco ardentissimo. ...
Mitieto. Voi m’avete cosí bene espresse le parti d’Erasto ch’essendo io assente le contemplo, e non vedendole le ho innanzi agli occhi.
Cintia. Ahi, pessima mutazion della mia vita!
Mitieto. Talché da una cosí virtuosa emulazione vi lasciaste cadere in cosí ardente passione?
Cintia. ... In questo foco arsi e morii gran tempo desiando sempre occasione di medicare i miei mali; ed ecco Amor la mi presenta. Conversando Erasto in casa mia, s’accese assai fieramente d’Amasia, questa mia vicina; communica meco il suo amore e mi chiede consiglio e aiuto. Io fingo con una mia balia d’adoprarmi in suo servigio; e dopo alquanti giorni gli fo intendere da parte di Amasia che, quando volesse sposarla, gli darebbe in preda se stessa e l’amor suo. Erasto accetta l’invito contentissimo: cosí cominciossi a trattar del modo. In somma, se gli fe’ intendere da parte di Amasia che, volendola Pedofilo suo padre maritar in Bologna lor patria, non arebbe mai consentito a simili nozze. Però bisognava godersi insieme di notte senza che anima se ne accorgesse per imaginazione: e voleva per patto espresso che non passasse mai per casa sua, non le mandasse ambasciate per altri che per me o per la mia balia; e che si facesse una buca nel muro, che divideva la casa sua dalla mia, per poter passar nel mio appartamento; e che mentre ella stesse con lui, io non mi fussi partito dalla buca per alcun periglio che n’avesse potuto succedere; e che in camera si fusse contentata averla con un lumicino: il che fu tutto accettato da Erasto liberamente come quello che ne spasimava di passione. ...
Mitieto. Vieni presto alla conclusione, ch’io fatico mirabilmente col cervello per saper dove siate per riuscire.
Cintia. ... La conclusione è venuta alle due ore di notte, che fu l’ora ordinata fra noi. Fingendo io d’andare alla buca a far la guardia, mi vesto de’ panni d’Amasia e me ne vengo al mio studio terreno: la balia l’introduce; egli mi sposa, mi spoglia, e ci ponemo in letto, dove stemmo tutta notte abbracciati insieme tanto stretti che parevamo una cosa medesima. ...
Mitieto. O Dio, come non morivi dalla vergogna?
Cintia. Mi vergognava tanto che ancor la memoria se ne vergogna, anzi mi vergogno ora in palesarti quello che tutte le donne devrebbono nascondere. — ... Passò la notte piú tosto che avremmo voluto, anzi volò fra quei dolci contenti, e l’aurora ci svelse l’un dal braccio dell’altro con egual cordoglio ma con disegual animo. Percioché egli, pensando aver goduto Amasia, con quella falsa opinion di dolcezza non capia nella pelle; io, se ben pensavo il mio piacere era stato infinito, tanto mi era caro quanto discaro: m’era caro perché godeva tutto quel bene che arei potuto godere qui in terra, m’era discaro perché mi mancava il meglio, ch’era l’animo, non essendo altro che un furto il mio e una rapina dell’altrui dolcezze, che non poco mi toglieva dell’intiero diletto. Anzi nel mezo del piacere era tanta la paura che non mi scoprisse chi fussi, che mi amareggiava la dolcezza presente. La mattina tantosto che fu l’alba, viene a me e mi racconta gli diletti innumerabili che avea gustato con la falsa Amasia. Godeva io che avesse trovato in me cosa che gli fusse piaciuta: dispiacevami non fusse quello in me che con l’imaginativa si pensava che fusse in Amasia. Or avendo piaciuto il gioco all’uno e all’altra, molte volte ci siamo trovati insieme e abbiamo l’un l’altro medicato gli ardori delle nostre fiamme; ma a me il ventre n’è divenuto gonfio ed è cresciuto tuttavia al colmo, e dubito esser poco lontana dal partorire. Le cose, ristrette in breve somma, sono passate di questa maniera. Ecco or la chiave di tutti i miei secreti; or dammi qualche consiglio.
Mitieto. Il consiglio me lo dovevate domandar prima.
Cintia. Se te l’avessi dimandato prima, quel che ho fatto m’avresti sconsigliato, anzi trapostovi per interrompermi il mio piacere.
Mitieto. E qual fu il vostro primo pensiero?
Cintia. Tutti i miei pensieri fûr volti a questo segno: ch’Erasto, conosciuto al fin l’inganno e adescato della dolcezza, si fusse contentato d’esser stato ingannato e si fusse mosso a compassione di me — e tu sai che la compassione è mezana alla benevolenza, — e che conosciuto lo scambievole nostro merito e l’amor mio da sposa e pudica, fusse restato mio marito. Ma or temo tutto il contrario: che vedendo beffate le sue speranze si volgerá ad odiarmi quanto m’amava; né giudicherá il mio inganno onorato; ma che quello che ho usato con lui, l’abbia usato con gli altri e che ad altri io abbia fatto copia di me; e non credendo ch’io sia pregna di lui, non mi attenderá la promessa. Eccomi infamata, odiata, scacciata e aborrita! O amarissime dolcezze, quanto care mi costate! del mio piacere ho in un tempo e il piacere e il castigo, e mi trovo al fin caduta in un mar di doloroso pentimento. Che debbo dunque accusar il cielo e le stelle perverse?
Mitieto. Che cielo? che stelle?
Cintia. Se da lor giri vengono le mie sventure.
Mitieto. Le vostre sventure vengono da voi stessa e dalle vostre cattive operazioni, perché voi stessa v’avete fabricati i vostri mali. — Orsú a’ rimedi. Io cercherò di turbar il matrimonio fra voi e Lidia, e fratanto imagineremo alcuna cosa migliore; e vo a dar effetto a quanto ho promesso.
Cintia. Ed io a trovar Erasto, che veggendolo sento qualche alleggiamento degli miei infortuni. — Ma ecco la balia di Lidia: verrá a far meco delle solite canzoni. L’uno mi caccia, l’altra mi chiama. Vedrò se potrò sfuggirla.
SCENA II.
Balia di Lidia, Cintia.
Balia. Ove fuggi, petto senza core, core senza alma, alma senza fede?
Cintia. Che petto? che alma? che fede?
Balia. Ti chiamo cosí, Cintio, angeluzzo mio polito, che se non fussi di cosí barbara e discortese natura, i tanti chiari e vivi segni, che hai conosciuti dell’affezion di Lidia, arebbono fatto teco alcun frutto.
Cintia. Deh! che la cagion d’ogni mia doglia è che fui di natura troppo piacevole e cortese che subito apprese e fece frutto.
Balia. Lidia sta aspettando se pur si raddolcisse e rammorbidisse tanta discortesia; o se vuoi perseverare nella medesima ostinazione, che una morte la togliesse da mille morti.
Cintia. Dille da mia parte che lasci d’amar me, ché tanto è amar me quanto una femina.
Balia. Ella lasciará piú tosto la vita che di amarti; e ancorché l’uccidessi, pur dopo morta lo spirito e l’ombra sua seguiteranno te, quando neanco dopo morte può star l’uno spirito dall’altro diviso.
Cintia. Balia, non è tutt’oro quello che luce: s’ella sapesse chi sono e..., basta.
Balia. E che non pensi spaventarla con tanta rigidezza: ché quanto piú l’affliggi piú gli porgi occasione di mostrarti il suo amore e la sua fede verso di te; anzi quanto piú sente mancarsi nelle pene, con tanta piú ostinata costanza si fortifica contro quelle.
Cintia. Redille che il suo male è senza rimedio, perché trovandomi innanzi a lei mi perderei affatto; e che veramente non posso.
Balia. Voi giovani non potete quando non volete, ché se voleste potreste ben sí.
Cintia. Ti dico che non voglio né posso; e ancorché intrinsecamente ci fusse il buon volere, ci mancherebbe il potere.
Balia. Dice che ha fatto chiederti per isposo a tuo padre, e l’ha risposto che ciò dipende dal voler tuo e ch’egli n’è contentissimo; ma tu l’hai recusata sempre, né può imaginarsi ond’ella meriti questo. E se non ti piace che lo sappia tuo padre, se ne fuggirá di casa e verrá teco dovunque vòi; e se ti sdegni averla per moglie, che non la schivi per una minima schiava.
Cintia. A me poco importa che lo sappia o nol sappia mio padre, ché ci sarebbe il medesmo impedimento e che essendo mia moglie non le potrei dar quella sodisfazione che sarebbe bisogno.
Balia. M’ha raccontato che questa notte s’è sognata con voi e che è stata abbracciatissima con voi, e che nel suo bel mezo de’ suoi piaceri si risvegliò e si trovò ingannata e con le man vuote.
Cintia. Quello istesso l’interverrebbe nella vegghia.
Balia. Che non le dia tanto martello.
Cintia. Io son piú atto a riceverlo che a darlo.
Balia. Al fin che in te solo è riposta la somma d’ogni suo bene, perché i cieli han riposto in te la bellezza, la grazia, la cortesia, il sapere e il tesoro di tutte le grazie, e dotatovi de’ loro favori di soverchio.
Cintia. Anzi mi manca il meglio e quello che piú l’importa.
Balia. O Dio, e che ti manca?
Cintia. Quello che manca a te e a lei.
Balia. Per dirtela, mostacion mio di zucchero, tu sei in ogni gesto grazioso, in ogni modo suave e in ogni cosa garbato e gentile, e hai un certo grazioso modo di procedere, che me ne sono innamorata anch’io: e se ben son vecchia, pur tutta mi risento e ti vorrei aver sempre innanzi, e per trastularmi un’ora teco pagherei la vita, non che la robba.
Cintia. Balia mia, se ti trovassi meco ti troveresti ingannata com’ella, ché non son buono né per te né per lei: che vuoi che ti dica piú?
Balia. O nemico delle cose belle, com’è possibile che non conoschi tanta bellezza: sei cieco, sei morto o non sei uomo?
Cintia. Proprio come hai detto.
Balia. Ché non drizzi ogni tuo pensiero verso lei?
Cintia. Io non ho pensiero da poterle drizzare.
Balia. Deh! non invidiar al mondo cosí bei figli che nascerebbon da te e da lei, ch’essendo tu cosí bello ed ella non men graziosa che tu sia, da una coppia di giovani cosí fioriti nascerebbono figli da farne piú bello il mondo.
Cintia. Se il mondo non aspettasse altri figli che da noi, tosto verrebbe meno.
Balia. Parli da femina.
Cintia. Cosí non fusse, ché non sarei in tanti guai!
Balia. Tu non sai che cosa è mondo né hai provato la dolcezza di amore, ché se l’assaggiassi una volta ti verrebbe ben voglia di tornarvi dell’altre.
Cintia. L’ho gustata tante volte che ne son stucco e pregno.
Balia. Hai fatta la faccia rossa e vergognosa come fusse una vergine.
Cintia. Potrebbe essere che la vergine l’avessi in corpo.
Balia. Lascia tanta vergogna, togli a un tratto la maschera.
Cintia. Se lasciassi la maschera, ella subito lasciarebbe di amarmi, perché mi riconoscerebbe per quel ch’io sono.
Balia. Ti priega d’un favore: di poterti narrare a bocca, da solo a solo, gli affanni suoi, perché arebbe speranza che ti moveresti a pietá di lei; e per non comportar ciò lo stato d’una donzella, vorrebbe sicurtá da te di non far alcun oltraggio all’onor suo.
Cintia. D’ogni cosa potrebbe di me temere fuorché d’esserle fatto oltraggio all’onore; e assicurala che starebbe con me come se stesse con una sua sorella. Orsú, mi parto, adio.
Balia. E io vo’ andar a chiesa a far compagnia a Lidia fin a casa. Ma veggio Amasia sua amica dalla fenestra che mi fa segno.
SCENA III.
Balia di Lidia, Amasio sotto abito di donna.
Amasio. Balia balia, dove sei avviata?
Balia. Alla chiesa: ché mentre Lidia sta ascoltando la messa, m’ha imposto che le facessi un servigio qui presso; e torno ora a lei.
Amasio. Aspetta un poco, di grazia, ch’io cali giú, che mi facci compagnia alla medesima chiesa per ragionar un poco con Lidia e per ascoltar ancor io la messa.
Balia. (Io non ho visto ancora a’ miei giorni una donna amar un’altra donna come fa costei Lidia: ché se fosse uomo, direi che fusse guasto dell’amor suo).
Amasio. Balia, se t’indovino il servigio che Lidia t’ha inviato a fare, m’accetterai tu la veritá?
Balia. Accetterò da vero.
Amasio. Qualche ambasciata a Cintio, eh?
Balia. Quello istesso.
Amasio. Ben, che buona risposta tu le rapporti?
Balia. La solita d’un insipido, d’un disamorato, d’un uomo di legno.
Amasio. O amor ingiusto, non amar Lidia che l’amarebbe l’istesso Amore! Balia mia, perché non ti adopri che amasse ella cosí me come ama Cintio?
Balia. Certo che ti ama piú che sorella assai.
Amasio. Vorrei che m’amasse altramente che da sorella.
Balia. Come dunque vorresti ch’ella ti amasse?
Amasio. Io ho tanta voglia d’esser uomo e talmente mi son persuaso d’esservi, che mi sono innamorato di lei.
Balia. Orsú facciamo che Lidia t’amasse come proprio vorresti, che sarebbe poi? che avresti fatto? sei donna come ella, come sodisfaresti a’ suoi desidèri?
Amasio. Non son state al mondo pur belle donne c’hanno amato altre donne? sarei forse io la prima? Balia mia, ho desiato molto tempo averti da sola a sola come ora: se tu vuoi aiutarmi a questo, io farò conoscere che sarò buona riconoscitrice del beneficio fattomi; eccoti questi scudi per arra, toglili per amor mio e per segno del mio buon animo.
Balia. Ti ringrazio infinitamente e del dono e del buon animo che mi porti: dammi pur occasione di poterti servire, ché l’arò caro. Ma io non so dove sia per riuscir questo tuo amore.
Amasio. Se tu prometti voler servirmi e aiutarmi, ti manifestarò cosa che forse nol pensi.
Balia. Chi non servisse a te non servirebbe all’istessa cortesia.
Amasio. Ti prego ad essermi secreta.
Balia. Giurerò, se cosí vuoi.
Amasio. Conosco la prontezza dell’animo: la tua promessa mi basta. — Balia mia, se ben ho questi panni di donna attorno, io son maschio di dentro. ...
Balia. Io arei giurato prima che me lo dicessi che cosí fossi, vedendo che incontrandoti con Lidia impallidivi, arrossivi e inspiritavi. Gli sguardi tuoi troppo erano lascivi, gli atti senza modestia, i baci troppo affettuosi, anzi basciandola le mordevi tal volta le labbra. Ma perché ingannar gli amici cosí vestito da donna?
Amasio. Anzi per ingannar gl’inimici. ... Ma accioché sii consapevole del tutto e sappi dove aiutarmi, io ti dirò in somma tutto l’esser mio. Tu sai che siamo da Bologna della famiglia de’ Malvezzi, principal in quella terra, e siamo ghibellini nemici affatto de’ guelfi; e sai pur anco che l’una fazione cerca distrugger l’altra, e principalmente ne’ Mafolti, per estirpar in tutto le famiglie. Piacque a Dio, dopo molto tempo avendolo desiderato, dar a Pedofilo mio padre me unigenito, e temendo della mia vita contro di cui fusse tessuto alcun laccio da’ guelfi, diede nome di essergli nata una femina e mi vestí da femina; né tenendosi cosí sicuro, mi mandò qui in Napoli ad allevarmi, e non potendo patir che vivesse da lui lontano, se ne è venuto a viver qui meco. Or tornando a me, io conversando con Lidia mi sono acceso fieramente di lei e la torrei volentieri per isposa, né penso ch’io sia di lei inferior di nobiltá o di ricchezza. Or a questo mio desiderio vorrei che tu mi aiutassi.
Balia. Ma perché non publicarvi per maschio e farla chiedere al suo padre legittimamente per moglie, ché son certa non vi sarebbe disdetta?
Amasio. Giá essendo acquietata e pacificata la parte guelfa lo potrei far liberamente, e mio padre ha giá deliberato di publicarlo. Ma chi sa se fratanto lo star cosí vestito da donna mi potrebbe esser giovevole in questo amore! Pur la vedo quando mi piace e raggiono con lei a mio gusto, che essendo vestito da maschio non mi sarebbe concesso; la bacio e abbraccio strettamente, né so come, tenendola cosí abbracciata, non s’accende della fiamma che vien fuori dall’infiammata anima mia.
Balia. Non mi dispiace il tuo pensiero. Ma dimmi: che ho a far io per servirti?
Amasio. Aiutar dove vedi l’occasione, porleme in grazia e Cintio in disgrazia; vorrei scoprirmi e non vorrei: in somma, io stesso non so quel che vorrei.
Balia. Saria bene di porle in disgrazia Cintio e darle ad intendere un certo altro che l’ami; ché, desiando ella di saperlo, le scopriremo all’ultimo esser tu quello, e tentiamo con qualche inganno l’animo suo.
Amasio. Cosí faremo: entriamocene in chiesa.
SCENA IV.
Pedofilo, Sinesio, vecchi.
Pedofilo. (Ho visto Amasio con la balia di Lidia che se n’entra in chiesa. Faccia Iddio che questa amistá che ha preso con Lidia non lo conduca a qualche mal passo, ché, se non m’inganno, mi par che n’arda fieramente. Ma veggio Sinesio venir verso di me, e pensa ad intronarmi la testa ch’io dia Amasio, come se donzella fusse, per isposa ad Erasto; cercherò schivarlo per questa strada).
Sinesio. Pedofilo Pedofilo! di grazia non partite cosí tosto, perché ho da ragionarvi d’un negozio.
Pedofilo. Che negozio avete voi meco degno di tanta fretta?
Sinesio. Due parole e non piú.
Pedofilo. Non ho orecchie per ascoltarne una sola.
Sinesio. Prego vi che mi doniate udienza.
Pedofilo. Ed io vi prego che non mi tratteniate.
Sinesio. Userò con voi le piú brevi parole che potrò.
Pedofilo. Orsú eccomi, con patto che la spediate tosto.
Sinesio. Fra gli amici non bisognano preamboli per guadagnarsi la volontá: però vengo liberamente all’importanza del fatto. Voi dovete sapere ch’io non son de’ minimi della mia cittá, e che tra voi e me non ci sia molta differenza. ...
Pedofilo. A che effetto cotesto?
Sinesio. ... E sapete che non ho altro figlio che Erasto, e toltone una picciol parte che darò a Lidia, le restanti mie facoltá scranno di Erasto. Le sue qualitá non bisogna che le dica, ché giá la fama con onorato grido n’ha ripiene l’orecchie di tutta la cittá. ...
Pedofilo. Niuno ve ne dice il contrario.
Sinesio. ... E sapete ancora che se i padri amano i figli naturalmente, quando sono poi virtuosi, sono sproni e stimoli alla nostra vita, che ne trapassano insino all’anima, di contentarli. Or ascoltate quanto mi detta il mio desiderio. Vorrei che deste Amasia vostra figlia per moglie ad Erasto, perché ne sta innamorato; ed io vi prometto non far molto conto della dote.
Pedofilo. Sinesio mio caro, se non compiaccio al voler vostro, molte son le cagioni, delle quali altre ne dirò liberamente altre non lece dire.
Sinesio. Oimè, negarmela cosí alla prima è un principio d’ingiuria!
Pedofilo. Non fa ingiuria chi onestamente dice le sue ragioni. Il partito è cosí buono che io nol merito: le qualitá del giovane sono veramente riguardevoli. Ma dovete ricordarvi ch’io son da Bologna e non pretendo aver a vivere o a morir in Napoli; e massime ch’ora intendo la parte guelfa nostra contraria esser giá quietata, la vo’ maritare alla patria, ché maritandola qui mi sarebbe molto discommodo.
Sinesio. Che val quell’amico che non si discommoda per un amico?
Pedofilo. Anzi che val quell’amico che cerca il discommodo del suo amico? E vi fo sapere ch’ella non vuol marito napolitano, e in questo io non son per isforzarla altrimenti.
Sinesio. I presenti mutano gli animi feminili: ricami, perle, gioie e vesti le faranno mutar proposito.
Pedofilo. Ella non stima vezzi feminili; è d’animo assai maschile, e tanto maschile che non le manca nulla di maschio.
Sinesio. Il parentado si chiama parentado perché si deve far tra pari, e fra pari ogni cosa va bene; e io non credo sia fatto parentado piú tra suoi pari come questo: sono nobili, ricchi, d’un’etá, virtuosi e belli egualmente, che par che sieno nati per esser sposi insieme; ed è un matrimonio molto proporzionato e naturale.
Pedofilo. Anzi, sproporzionato e contro natura.
Sinesio. E chi dicesse che non stessero bene insieme, meritarebbe una forca!
Pedofilo. E chi dicesse che stessero bene insieme, meritarebbe il fuoco!
Sinesio. E quando i matrimoni son ben accoppiati, ogni cosa va per suo dritto.
Pedofilo. Il qual è che ogni cosa qui andrebbe a roverscio.
Sinesio. Giovani e gagliardi nel fior dell’etá loro, non garrirebbono mai.
Pedofilo. Non giostrarebbono se non di lancia, non giocarebbono se non di pugnale.
Sinesio. Mi fo gran meraviglia che non me la concediate.
Pedofilo. Non vi sarebbe di meraviglia se ne sapeste la cagione.
Sinesio. Vi cerco cose giuste, però ne vorrei saper la cagione perché non vi contentiate.
Pedofilo. Altre ne ho dette, altre ne restano a dire: però vi conchiudo che il matrimonio sará impossibile a riuscire.
Sinesio. Avertite che le cagioni che mi spingono a pregarvene sono che non accaggia alcun scandalo fra la vostra casa e la mia.
Pedofilo. Avertite voi bene alla vostra casa, ch’io son sicuro che alla mia non sia per accadervene alcuno.
Sinesio. Voi dovete molto attribuire al vostro giudizio ed esser amico del parer vostro; ma vorrei che v’ingannaste, ché gli uomini sono piú cattivi che buoni, e riesce piú tosto il male che il bene. Il mio figlio sta innamorato della vostra figlia; e chi ama non istima periglio, poco l’avere e manco la vita. Vi passeggia tutto il giorno d’intorno la casa; tirato dal desiderio può far qualche errore, e questi errori si tirano dietro le ruine delle case. Perciò avertite di nuovo che non siate constretto patir a vostro malgrado qualche sorte d’ingiuria.
Pedofilo. Passeggi quanto vuole e faccia quanto puote, ché perde il tempo: ed io temo tutto il contrario di quello che voi temete.
Sinesio. I giovani del nostro tempo, appena spuntano fuor della buccia, che sentono cillicarsi dalle dolcezze d’amore e hanno il pizzicore, s’amano e desiano trovarsi insieme; e quando vi sono, il maschio usa la forza e le sue armi, e la femina le soffre volentieri. Non vi dico altro.
Pedofilo. Usi la forza quanto gli piace, ché l’armi non riusciranno.
Sinesio. Se voi sapeste quel che so io, pensareste a’ casi vostri.
Pedofilo. E se voi sapeste quel che so io, pensareste a’ casi vostri.
Sinesio. Se mi date licenza, v’avisarò del tutto.
Pedofilo. Tutte le licenze sieno vostre.
Sinesio. Voi stimate che vostra figlia sia vergine e io stimo che la partorirá.
Pedofilo. E io temo d’ogni altra cosa piú di questa.
Sinesio. Parlerò piú chiaro: dico che la troverete impregnata.
Pedofilo. E io dico che sará piú tosto l’impregnante che l’impregnata.
Sinesio. Il vostro umore è cosa da ridere: sète di quei matti che non vogliono guarire.
Pedofilo. E il vostro umore è da far ridere tutto il mondo.
Sinesio. Ah, ah, ah, chi non ridesse?
Pedofilo. Ah, ah, ah, chi non scoppiasse?
Sinesio. Mi duole il fianco per tanto ridere.
Pedofilo. E a me il polmone.
Sinesio. Ah, ah, ah! ti lascio, adio.
Pedofilo. Ah, ah, ah, andate con Dio! Or chi non ridesse di costui a crepacuore? fa del mastro e presume saper piú degli altri, e non è buon discepolo. Egli si pensa che Erasto suo figliuolo faccia l’amor con Amasia mia figlia, e tien per certo che l’abbi impregnata; ed io giocherei che Amasio sia tanto maschio e piú maschio del suo figlio, che se ne potrebbono far duo maschi, e dubito che Amasio non faccia l’amor con Lidia sua figlia e che un giorno me l’impregni. Or mirate come van le cose del mondo: che quello è piú sciocco che si pensa saper piú degli altri. Io l’ho vestito da donna per ischivarlo da un pericolo e l’ho fatto cader in un altro: ecco piena la scena di una falsa apparenza. Ma lo veggio che vien con Lidia: mira come la guata e come la tien stretta! L’avea vestito da donna per tenerlo ristretto sotto le leggi di donna, ma l’abito non fa l’uomo: ha un spirito — che Iddio lo dica per me — che non può capirlo l’angustia di quella donna; non ha altro di donna che l’imperfezione di correr col suo desiderio, e avengane quel che si voglia.
SCENA V.
Lidia innamorata, Amasio, Balia di Lidia.
Lidia. Siché avete pur inteso, Amasia, mia carissima sorella, dalla mia balia l’ostinata ostinazione di questo crudel di Cintio, cui né servir lungo né la gran conosciuta fede a mille segni han potuto tanto rammorbidire, che d’una finta parola mi fusse stato cortese e liberale. E’ non m’uccide per privarmi d’una giocondissima morte; né all’incontro, perché m’usi tanta impietá, scema in me punto l’infinito amor che gli porto. O Lidia, odiata da tutti e da te stessa!
Amasio. Lidia mia carissima, voi sapete giá che voglio dirvi.
Lidia. Lo so e mi rincresce saperlo: che l’abandoni affatto, eh?
Amasio. Non è peggior cosa al mondo, vita mia, che pascere il desiderio di speranze vane e di vani consigli; però vi dico alla libera che la piú lodevole cosa che potesse mai fare saria liberarvi da cosí fatto pensiero e far una ferma deliberazione di lasciar d’amarlo; e sará meglio sentir una morte in lasciarlo che patirne ben mille il giorno per seguitarlo.
Lidia. Ahi! che bisognarebbe privarmi prima della vita, bisognarebbe che non conoscessi lo splendore della sua bellezza se volessi arrestarmi d’amarlo.
Amasio. Ed io vorrei che piú tosto opponeste il giudicio e la ragione in considerar che tanto tempo l’avete servito piú dell’istessa servitú senza esser stata giamai con un sol piacevol atto guiderdonata, e non pensar a quella bellezza ch’è sol bella per chi è pietosa; ché per l’amor che vi porto e che conosco che portate a me, pato le medesime passioni che patite voi. anzi a voi non cade una minima lacrimuccia dagli occhi che tutti non sieno rivi di sangue che mi piovono dal core e m’affligono d’un’afflizione intolerabile: né posso far che non vel dica.
Balia. Non è il maggior rabarbaro, figlia, per purgar l’animo di amore che l’ingratitudine, e io non so come per tante che n’avete patite voi stiate cosí ostinata in questo amore; però scioglietevi, vi dico, da questo laccio.
Lidia. Oimè, che quante volte ho tentato di sciormene me ci sono piú strettamente aviluppata, per esser a questa guisa tessuti i lacci amorosi! O mio cuor troppo ardente, o suo troppo freddo, o sua bellezza che tanto mi piaci, o mio volto che cosí gli spiaci, o dolor insoportabile, ahi, ch’io sola li so ché sola li provo!
Amasio. Lidia mia, ascolta un consiglio.
Lidia. Amor non ascolta consiglio.
Balia. Avete dunque ad impazar per Cintio? Maladetta sia tal sorta d’amore! io non so come lo potete amare pensando che siate disamata.
Lidia. Son disamata, odiata e schivata da ciascuno.
Amasio. Non dite cosí, ché conosco persona che v’ama tanto che non so se voi cosí amate Cintio svisceratamente.
Balia. Ascolta, figlia mia, ché non è morto il mondo per te giá.
Lidia. Che miserabil uomo deve essere costui che si sia posto ad amar me?
Amasio. È nobile e ricco quanto voi; bello non dico quanto voi, ché voi avanzate l’istessa bellezza.
Lidia. Voi sète tanto bella che mi contenterei esser bella quanto voi.
Amasio. Ma è tanto bello che voi poco anzi l’avete lodato.
Lidia. Dove abita?
Amasio. Poco lungi da vostra casa.
Lidia. Sa egli che amo altri?
Amasio. Sí bene; e i suoi dolori e i cigli sono pari ad una bilancia.
Lidia. Come può amarmi se sa ch’io amo altrui?
Amasio. È tanto l’amor sviscerato che vi porta che, sapendo che voi non siate vostra ma d’altri, non lascia far cosa per liberarvi dall’amor di questo ingrato di Cintio.
Lidia. Come sapete voi che m’ami?
Amasio. Ragionamo spesso de’ vostri amori.
Lidia. L’ho veduto io mai?
Amasio. Come avete veduto me.
Lidia. Ha ragionato meco mai?
Amasio. Come avete ragionato con me.
Lidia. Di che etá egli è?
Amasio. Della mia.
Lidia. E dice che mi ama?
Amasio. Anzi arde; né ardentissima fornace nodrisce tante fiamme nel suo seno quante egli ne nudre nel cuor suo per amor vostro.
Lidia. Perché non mi si scuopre?
Amasio. Perché vede che vi struggete per altri miseramente senza speranza alcuna.
Lidia. Certo che ha ragione ed è uomo di giudizio.
Balia. Ama, figlia, chi t’ama e odia a morte chi t’odia.
Lidia. Digli che me si scuopra.
Amasio. Se promettete di amarlo, lo fará volentieri.
Lidia. Dimmi prima chi sia.
Amasio. Non è negozio questo da spedirsi cosí in fretta; né egli è tanto vile che stia buttato in mezo la strada, che si lasci raccôr da ognuno.
Lidia. Che dice dell’amor mio?
Amasio. Che Amor è cieco, non ferisce chi deve, è ingiusto, poiché patisce che non sia riamato chi ama; maledice la sua mala ventura; chiama Cintio ingrato e senza core, ché non corrisponde con amore a tanto amore.
Lidia. Dicete una bugia: c’ho lasciato d’amar Cintio.
Amasio. Non lece dir bugie.
Lidia. È vero; ma è manco male quando giova a chi la dice e non nuoce a chi l’ascolta.
Amasio. Non giova dircela, perché sa tutti i miei pensieri.
Lidia. Deve esser vostro amico.
Amasio. Tanto amico che son come egli stesso.
Lidia. E dice che m’ama molto?
Amasio. Cosí amaste voi me!
Lidia. Sappiate, Amasia, sorella cara, che non è persona al mondo che v’ami piú di me, perché vedo che veramente mi amate di cuore e compatite i miei dolori.
Amasio. Certo che se voi m’amaste mille volte piú di quello che dite, non paghereste una minima scintilla dell’amor che vi porto. Orsú, fate ferma risoluzione: lasciate d’amar Cintio e abbiate pietá di colui.
Lidia. Essendo usata tanta crudeltá contro me stessa, non posso aver pietá di niuno; ma io ho scherzato cosí con voi, Amasia mia dolcissima. Si cangiará piú tosto il mondo che cangi io voglia o pensiero, o Amasia. Lasciar io di amar Cintio? sarebbe piú possibile lasciar la vita: sarò di Cintio o della morte!
Amasio. (O miserabil effetto d’amor vano, o insuperabil pertinacia contro di me!). Certo costui v’ará ammaliato.
Lidia. Le malie che ave usate contro di me sono i suoi gentil modi, i graziosi costumi e la sua bellezza.
Balia. O immutabil petto di femina, certo che voi non parete donna! Non v’accorgete come Amasia è tutta mutata di colore e par che venghi meno?
Lidia. Amasia mia, che hai? che mutazione è questa? e che doglia t’è sovraggionta?
Amasio. Soverchia passione mi occupa il core!
Lidia. Balia balia, sostieni, ch’io stropiccerò l’orecchie.
Balia. Mordile le labbia, che cosí gli ravviverai gli spirti.
Lidia. Rivieni, Amasia mia.
Balia. I vostri baci l’han fatta rivenire.
Lidia. Sia ringraziato Iddio! Amasia mia, abbi pietá di me, aiutami con Cintio tuo vicino.
Amasio. Non convien aver pietá di chi la niega ad altri.
Lidia. Amore vuole che s’ami un solo e si schivi ogni altro.
Amasio. E però Cintio schiva voi perché ama altra.
Lidia. O infelice mio stato, che non posso arrivar chi voglio e corro dietro a chi mi fugge!
Amasio. L’ostinazione ha cosí indurito il suo cuore contro voi, come avete indurito il cuor vostro contro gli altri.
Lidia. Amasia mia, voi usate contro me le mie ragioni e mi ferite con quelle armi con che ferisco altri.
Amasio. Lidia mia, fate conto che questa sia una lite di cui è giudice Amore: quella pietá, che voi chiedete ad altri, è chiesta a voi da altri; se non date, non riceverete.
Lidia. Adopratevi prima che Cintio m’ami, ed io mi sforzerò di amar questo vostro amico.
Amasio. Fate prova d’amar prima quel mio amico, ch’io poi mi adoprarò che Cintio v’ami.
Lidia. Se non avrò presto aita mi morrò disperata, cosí è immensa la mia passione!
Amasio. L’istessa sente quel mio amico per voi.
Lidia. Ditegli che pensi in altro.
Amasio. E Cintio dice che pensiate in altro.
Lidia. Amasia, conservatrice della mia vita, Cintio è vostro amico e vicino, e volendo voi potreste aiutarmi.
Amasio. La difficultá grande mi spaventa, l’amor che vi porto è piú grande: farò ogni cosa per amor vostro, mi sforzerò far ufficio che ne restiate sodisfatta.
Lidia. Deh, non mi ponete in falsa speranza!
Amasio. Statene sicura, perché il vostro travaglio non men tiene occupato il vostro animo che il mio. Ma io farò di modo che v’ami, se vi dovessi perder la vita.
Lidia. Io non ho altro schermo contro il dolore che la vostra sofficienza e amorevolezza, e con ciò resto in vita; però vi priego per quella cosa che voi piú amate al mondo, che quando ragionarete con Cintio me lo facciate intendere, accioché con le mie orecchie ascolti la sentenza che mi condannerá a morte.
Amasio. Orsú, quando arò l’agio ve ne renderò avisata.
Lidia. Io non so altro che darvi baci in vece di preghiere, io resto piena di felici speranze; adio. Balia, falle compagnia insino a casa, ch’io son gionta, non ne ho piú bisogno.SCENA VI.
Amasio, Balia di Lidia.
Amasio. Quanto sarei felice se quei baci, che mi dá pensandosi che sia donna, me li desse nella mia forma! O dolcezza che ho gustato in quei baci! par che ancora mi siedano nelle labra, anzi mi son discesi nel cuore e mi respirano d’un infocato piacere. Ahi, che di finti baci ne raccoglio veraci pene!
Balia. La poverina si pensa trattar con pecorelle e sta in mezo di lupi arrabbiati. Oh quanto fuggirebbe da voi, se li fossero palesi i vostri secreti e sapesse quello che si nasconde sotto la gonna!
Amasio. Le carezze che mi fa mi conducono alla strada della morte. Balia mia, pensa al mio male, ché beata te!
Balia. Vivete sicuro che per amor vostro un poco il cervello ho in volta, ché son rissoluta che il vostro desio giunga a felice fine.
Amasio. Ecco dieci altri scudi: tutte le mie speranze son volte a te. Vanne in buon’ora.
Balia. Restate felice. — Se Lidia non l’amerá da vero, farò con alcun inganno che l’ami. «Chi non rubba non ha robba»; «Con arte e con inganno si vive la mettá dell’anno, con inganno e con arte si vive l’altra parte».