Questo testo è stato riletto e controllato.
Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Iacopo Allighieri


Questo capitolo fece Jacopo figliuolo di Dante Alighieri di Firenze, il quale parla sopra tutta la Commedia.

 
     O voi che sete del verace lume
Alquanto illuminati nella mente,
3Ch’è sommo frutto dell’alto volume;
     Perchè vostra natura sia possente
Più nel veder l’esser dell’universo,
6Guardate all’alta Commedìa presente.
     Ella dimostra il simile e ’l diverso
Dell’onesto piacere, e ’l nostro oprare,
9E la cagione che ’l fa bianco o perso.
     Ma, perchè più vi debbia dilettare
Della sua intenzion entrar nel senso,
12Com’è divisa in sè vi vo’ mostrare.
     Tutta la qualità del suo immenso
E vero intendimento si divide
15Prima in tre parti senz’altro dispenso.
     La prima, vizïosa dir provvide;
Però che prima e più ci prende e guida.
18E già Enea con Sibilla il vide.
     E questa in nove modi fu partida,
Sempre di male in peggio, fino al fondo
21Dove il maggior peccato si rannida.
     Con propria allegoria formata è ’n tondo,
Sempre scendendo e menomando il cerchio,
24Come conviensi all’ordine del mondo.

     Sopra di questi nove, per coperchio,
Sanza trattar di lor, fa divisione
27Di quei che son nel mondo senza merchio.
     Poscia nel primo, sanz’altra cagione
Che d’ordine di fè, mostra dannati
30Quei che hanno l’innocente offensïone:
     E quei che son più dal voler portati
De’ lor disìi che da ragione umana,
33Son nel secondo per lei giudicati:
     Nel terzo quella colpa ci dispiana
Con propri segni, c’ha dal gusto inizio,
36Da cui ogni misura sta lontana;
     E l’altre due opposizioni in vizio
Nel quarto fa parer per giusto modo,
39Che rifiutò il buon roman Fabrizio:
     Nel quinto l’altre due che son nel nodo
Del male incontinenti, ci fa certi
42Con accidioso ed iracondo brodo:
     E quei che son della malizia sperti
Con lor credenze eretiche e fiammace,
45Nel sesto dona lor simili merti:
     Seguendo, la bestial voglia fallace
Nel settimo la pon divisa in trèe:
48La prima vïolenza in altrui face,
     E la seconda offende pur a sèe,
La terza pur a Dio porge dispregio;
51E Sodoma e Gomorra con esse èe:
     Nell’ottava conclude il gran collegio
Della semplice frode, che non taglia
54Però la carta al fedel previlegio;
     E questo in diece parti cerne e vaglia,
Ruffiani lusinghieri e simonìa,
57E chi di far fatture si travaglia,
     Barattieri ed ipocrita eresìa,
Ladroni e frodolenti consiglieri,
60Commettitor di scismatica via,
     Con quei che fanno scandol volentieri,
Falsator d’ogni cosa in fare e ’n dire,
63Figurandoli a modi aspri e leggeri:

     Nel nono quella frode fa seguire
Che rompe fede; ed in quattro il diparte:
66La prima chiama Caina, tradire;
     Quei che la patria tradiscono o parte.
Nel secondo li mette, in Antinora;
69E nel terzo chi serve e fa tal arte,
     Chiamando Tolomea cotal dimora;
E la quarta, Giudecca, che riceve
72Qualunque trade chi ’l serve ed onora.
     Questo è il fondo d’ogni vizio greve,
Da lui chiamato inferno e figurato.
75E qui fo punto per parlar più breve.
     Nella seconda parte fa beato,
Purgando, per salire in fino al sito
78Che fu al nostro antico poco a grato.
     Ed ha in sette parti ancor sortito
Cotal salire in forma di un bel monte.
81Ma fuor di loro in cinque è dipartito;
     Però che cinque cose turba ’l ponte
O ver la scala da ire a purgarsi,
84Cioè diletto vïolenza ed onte;
     Onde convien di fuor da’ sette starsi:
Con queste in fine al termine lor posto
87I negghïenti officïal trovarsi.
     Nel primo ci dimostra esser disposto
Prima a purgarsi sotto gravi pesi
90Quel superbir che ’n noi s’accende tosto;
     E propriamente nel secondo ha lesi
Gl’invidïosi con giusta vendetta;
93Nel terzo gl’iracondi fa palesi;
     Nel quarto ristorar fa con gran fretta
L’amor del bene scemo; ed entro al quinto
96Con gran sospiri gli avari saetta:
     E l’appetito nostro ha sì distinto
Ciò che dimostra poi nel sesto giro,
99Che il vero è quasi da tal forma vinto:
     Nell’infiammato settimo martìro
Ermafroditi Soddoma e Gomorra
102Cantar dimostra il loro aspro desiro:

     Là su di sopra, perch’altri vi occorra,
Della felicità dimostra i segni
105A cui la sua scrittura non abborra.
     Ma or, per seguitare i suoi contegni,
Dir mi convien dell’opera divina:
108E voi assottigliate i vostri ingegni.
     La terza parte con alta dottrina
In nove parte figurata prende,
111Simil al ben che da nove declina.
     La prima con quella virtù risplende
Che con freddezza d’animo è eccellenza,
114Che carità di spirito s’intende:
     E la seconda celestial semenza
Al governo del mondo cura e guarda,
117Secondo il senso della sua sentenza:
     La terza par che ’n foco d’amor arda:
Nella quarta risplende tanta luce,
120Che sapïenza a suo rispetto è tarda:
     La quinta con feroce ardire adduce
Tanta virtù e forza corporale,
123Che solo il militar prende per duce:
     D’ogni grandezza e d’animo reale
La terza par ch’a suo parere imprenti
126La mente dove sua virtute cale:
     E la settima par che si contenti
A castità in sacerdotal manto;
129E ciò dimostran ben li suoi argomenti:
     D’ogni virtù e d’ogni abito santo
L’ottava e d’ogni ben fa esser madre
132Per le virtù che ella ha in sè cotanto;
     E la nona conchiude come padre
Mobile più che alcun moto celeste,
135E questa inchiude sincera e leggiadre.
     Poscia di sopra tutte quante queste
Vede l’essenza del primo fattore,
138Che l’universa macchina riveste:
     In lei discerne del nostro colore;
Per dimostrar che sola nostra vista
141Sensibil può veder il suo amore.

     Però vedete omai quanto s’aquista
Studiando l’alta fantasia profonda,
144Della qual Dante fu comico artista:
     Vedete come ’l suo dir si profonda
Nel bene universal per nostro esemplo,
147Acciò che ’n noi il mal voler confonda.
     Mettete l’affezione a tal contemplo,
Non vi smarrite per lo mal cammino
150Che vi distoglie dallo eterno templo;
     Nel quale ei fu smarrito pellegrino,
Finchè dal ciel non gli fu dato aita,
153La qual gli venne per voler divino,
     Nel mezzo del cammin di nostra vita.


(Dalle antiche stampe della Divina Commedia, e fu confrontato alla lezione che ne dette G. Manzi nel volume V del Dante della Minerva, 1822.)

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.