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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


LA MADRE DEGLI AFFLITTI.





Monstra te esse matrem!

(Av. m. st.).



O Vergin santa, che il Signore elesse
     Per nascer dal tuo sen Uom de’ dolori,
     3Uom che modello a tutti noi splendesse!

Tu, benchè pura, non respingi i cuori
     Che a te sorgon macchiati, e come il Figlio
     6Brami scampo e non lutto ai peccatori.

Deh, volgi anco su me quel divin ciglio
     Che sempre da clemenza è intenerito
     9Verso chi prega dal suo tristo esiglio!

Io t’amai da fanciullo, indi partito
     Da te sembrai, ma spesso a te pensando,
     12De’ lunghi errori miei gemea pentito;

Ed in que’ giorni di dubbiezza, quando
     Della fallacia dell’orgoglio mio
     15Pur meco stesso mi venìa crucciando,

Un bisogno invincibile d’Iddio
     Talvolta m’assaliva e mi parea
     18Che a speranza da te mosso foss’io.

E se in un tempio allor mi ritraea,
     Cercava la tua immagine, e in quel viso
     21Virgineo e celestial fede io ponea.

E gioiva al pensar che in paradiso,
     Appo il fulgor dell’eternal bellezza,
     24Brillasse d’una femmina il sorriso!

Il sorriso di madre a pietà avvezza,
     Ed al desìo che in virtù crescan lieti
     27Quei cari figli ch’ella tanto apprezza.

Non badar, no, se troppo a’ consüeti
     Sentier d’infedeltà raddotto m’hanno
     30Miei giovenili affetti irrequïeti,

Più fermo or t’amerò, più non trarranno
     Lunge i miei passi da tua dolce via:
     33Fuor d’essa tutto vidi essere inganno.

Degna di te non è l’anima mia,
     Ma pensa ch’opra è pur del Benedetto
     36Che da te nacque, e che per me patìa.

Riconduci quest’alma al tuo Diletto,
     Digli che sempre in esso e in te sperava.
     39Digli che tu di confidar m’hai detto!

Digli che il danno mio t’addolorava,
     Digli che l’amor tuo salvo mi vuole,
     42Digli che a te dal Golgota ei mi dava!

Tai dalla madre udendo alte parole
     Arriderà, siccome ai sapïenti
     45Tuoi desiderii tutti arrider suole.

Se gli spiacquero in me cuore ed accenti,
     Cuore ed accenti mi darà novelli,
     48Sì che più caro a dritto io gli diventi.

Santificata l’arpa mia più belli,
     Più fervid’inni eleverà, dicendo
     51Come gli afflitti dal periglio svelli.

E forse allor più d’un che va fuggendo
     Sdegnosamente la tua pia chiamata,
     54Te d’illusi ignoranti idol credendo,

Fermerà il passo perch’io t’ho cantata,
     E ridirà: — Ma chi è mai costei,
     57Che pur da quell’altero è commendata?

Alzando gli occhi imparerà chi sei;
     Stupirà, t’amerà, nobil rossore
     60Avrà, qual ebbi degl’indugi rei.

Ma, deh! ti mostra madre al peccatore
     Pur se debole ei resta, e se talvolta
     63Inchinato a viltà gli scerni il core.

Poca mia possa, ma tua possa è molta;
     Per balze, per fiumane or tremo, or cado,
     66Ma, qual ch’io sia, tu le mie grida ascolta.

Spesse fïate in malagevol guado
     Mi porgesti la mano, e uscii dell’onde;
     69M’alzi tua dolce man di grado in grado
   
Da questi rischi alle celesti sponde!


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