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25 marzo 1869

Saggio, che il Verga scrisse su «La Palingenesi» di Mario Rapisardi, e che apparve su «La Scena» di Venezia del 25 marzo 1869,

Ecco alcuni brani:

«Qui vi è più che il magistero dell’arte: è il sentimento di essa; è più dell’ispirazione, è l’intuizione che fa immedesimare il poeta a ciascun atto del suo gran dramma, e con le credenze religiose, collo spirito artistico e politico dei suoi personaggi, gli fa indovinare, con gusto squisito, le forme e i colori adatti per ciascun argomento. Nella fede dell’arte il poeta trova la fede delle credenze di cui scrive.

Infatti il Rapisardi è biblico nel canto «La Tradizione»; è greco fino al midollo delle ossa nella grazia, nelle immagini, nella stessa religione voluttuosa nel secondo «Il Colosseo»; ha tutto l’entusiasmo dei primi martiri, nel terzo, «La Croce»; nel canto «Papi e Imperatori» si agita lo spirito di Dante; come in quello «I Crociati», sublime aberrazione di un secolo, spira un soffio di quell’ardente e mistico entusiasmo con cui Pietro l’Eremita sollevò l’Europa intiera al grido di «Dio lo vuole»! Nei due canti «Lutero» e «Satana», il poeta dà all’inno l’ispirata energia e l’austera fede dei riformatori; questi sono forse i più bei canti del poema: sarebbe perché l’intima credenza del vate vi si riveli e traluca? Finalmente nel canto nono, «Italia e Pio», le tradite speranze italiane al poeta italiano non strappano che la generosa parola del vate umanitario, il pianto pei destini traditi e per le deluse speranze dei popoli. L’ultimo canto «L’Avvenire», è raggiante di tutti gli splendori di un’alba serena che rompe di già le tenebre della menzogna e dell’errore. E’ il trionfo della verità, di cui la prima parola fu soffocata nel sangue, e che oggi, a sua volta, soffoca la teocrazia collo svelarne gli abusi».

«Questa è vera e potente poesia, che sgorga impetuosa e limpida dal cuore, che si veste delle prime e qualche volta delle più comuni forme che incontra, e le rende toccanti di grazia, di sentimento e di verità; che sdegna, diremmo, il magistero dell’arte, poiché scintilla e palpita in ogni verso e in ogni parola la vita rigogliosa. Una intima fibra del cuore gentile del poeta, la più ascosa forse, vibra in quei versi».

«La poesia, non più sterile pompa di affetti mentiti, si fa mezzo potente di rigenerazione morale.

La "Palingenesi" segna un nuovo periodo dell’indirizzo della letteratura in Italia. E’ la prima parola della libertà di coscienza, ultima e più difficile conquista della civiltà, che l’arte consacra».

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