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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1830
LA PROVIDENZA.
È un bèr dì1 cch’a sto monno sce vò2 ssorte,
Si nnun l’hanno antro3 che bbaron futtuti.
Er cristiano ha da dì: “Cche Ddio sciaggliuti4
4E cce pòzzi5 scampà dda mala morte.„
Io té l’ho appredicato tante vorte,
Ch’a st’ora lo direbbeno li muti.
Ma ttu, ppe’ ggrattà er culo6 a sti saputi,
8Sce schiaffi in cammio:7 “S’Iddio-vò-e-la-corte.„8
So’ cc...i:9 cquaggiù ttutto è ppremissione10
Der Zignore sortanto, e nnun ze move
Fojja che Ddio nun vojja,11 in concrusione.
12Abbasta d’avè ffede e ddevozzione;
E ppoi fa’ ttirà vvento e llassa piove:12
S’Iddio serra ’na porta, òpre un portone.13
Terni, 29 settembre 1830.
- ↑ È un bel dire.
- ↑ Ci vuole.
- ↑ Altro.
- ↑ Ci aiuti.
- ↑ Ci possa.
- ↑ Per lusingare.
- ↑ Ci metti in vece.
- ↑ Se Iddio vuole e la corte (cioè i birri): riserva naturalissima in chi va soggetto a due influenze, quella del Cielo cioè, e quella del delitto che fa precaria la sua libertà.
- ↑ Sono ridicolezze; è inutile.
- ↑ Permissione.
- ↑ Non voglia. [Nun ze move ecc. Proverbio.]
- ↑ Lascia piovere.
- ↑ Proverbio. [Di cui, però, la forma più genuina e comune è questa: Se chiude una porta e s’òpre un portone.]
Note
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