Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1889

LA ZECCA DI FANO

NEL 1797




Nel Saggio di Bibliografia Numismatica dette Zecche italiane compilato dagli egregi signori Francesco ed Ercole Gnecchi è detto, parlando della Zecca di Fano, che: “Le monete col nome di Pio VI e di questa città, degli anni 1775-1789, furono fatte coniare da questo Pontefice nell’officina di Roma.” Che io sappia non si conoscono monete col nome di Fano dell’epoca ivi accennata, forse per errore di stampa, bensì ne sono note due pubblicate anche dal Cinagli (N. 394 e 450) colla data del 1797. A queste credo abbiano voluto alludere gli egregi Autori e sono appunto della categoria di quelle che uscirono in tanta copia da quella medioevale rifioritura di zecche, e che i signori Gnecchi, seguendo in ciò il Promis ed altri, ritengono quasi tutte coniate nella zecca di Roma. Se le cose fossero andate come essi opinano non si giungerebbe a comprendere la ragione per cui venne coniata moneta col nome delle varie città nell’unica officina di Roma, mentre invece è evidente che, moltiplicando le officine monetarie, i reggitori di allora ebbero in animo, con quanto criterio si vide alla prova, di rimediare alla deficienza di numerario che affliggeva le casse pubbliche e private. Con l’ipotesi della zecca unica o quasi, non si riescirebbe nemmeno a spiegare come le monete siano state battute col nome di una piuttosto che di un’altra città, laddove tutte le città dello Stato Pontificio vi avrebbero avuto uguale diritto, o per lo meno non ne sarebbe stata esclusa alcuna di quelle che in altri tempi avevano avuto il privilegio della zecca.

Io quindi ritengo che la molteplice varietà di Madonnine, Sanpietrini, Baiocchi e Quattrini che si conoscono coi nomi delle diverse città dell’ex-Stato Pontificio siano il prodotto di vere e proprie officine monetarie e non già varietà di prodotto dell’unica officina di Roma.

In questa mia idea mi conforta il fatto che gli stessi signori Gnecchi, parlando della zecca di Sanseverino, dicono che vi si coniò effettivamente moneta, conservandone le prove il Conte Servanzi-Collio. Anche le monete di Ascoli-Piceno, delle quali pure nel Saggio succitato si dice che furono coniate nella zecca di Roma, sappiamo invece dall’opera del De Minicis sulla Numismatica Ascolana, che furono effettivamente coniate in Ascoli, dove Carlo Lenti in forza di un chirografo Pontificio aprì e condusse la zecca che continuò a lavorare anche sotto la Repubblica Romana.

Nell’operetta poi del De-Minicis in una nota è riportato l’elenco delle città dello Stato Pontificio che ebbero la concessione della zecca nel 1797. Ora ohi ci sa indicare monete col nome di Fabriano, Filottrano, Loreto e Tolentino che pure sono comprese in detto elenco? E per qual ragione di queste città non vi sarebbero, se la coniazione fosse avvenuta a Roma? Il De-Minicis dice addirittura: “Le città di Fabriano, Filottrano, Loreto e Tolentino ebbero i chirografi ma non fu in esse posta in esercizio la officina monetale.” E l’autorità del De-Minicis è grande, tanto più che scriveva nel 1853 quando erano più fresche e vive le memorie dell’epoca di cui si tratta.

Qualche ricerca negli archivi delle città di cui si conoscono monete degli ultimi anni del secolo scorso, finirà col dare la prova completa della mia asserzione e gli studiosi, sono persuaso, se ne interesseranno.

Ma lasciando di generalizzare, veniamo alla zecca Fanese.

L’Archivio Comunale di Fano di recente riordinato da Mons. Aurelio Zonghi è miniera inesauribile di preziose notizie. Da qualche tempo, quando le mie occupazioni me lo permettono, ci passo qualche ora a raccogliere tutto quanto si riferisce alla zecca di Fano. In queste ricerche appunto m’imbattei nelle carte che mi diedero occasione a scrivere questo articolo.

Dell’epoca cui accenniamo sono poche le notizie rimaste perchè negli sconvolgimenti e cambiamenti di governo improvvisi cui andò soggetta Fano, è naturale che molte memorie siano ite disperse. Però fortunatamente si è salvato tanto da darci una prova completa non solo della effettiva esistenza della zecca, ma anche della sua attività e della quantità di moneta prodotta. Da quanto finora ho rinvenuto non si rileva la cagione della chiusura della zecca stessa anche prima del periodo repubblicano, mentre diverse altre consimili continuarono a lavorare. Non dispero però che ulteriori ricerche non mi mettano in grado di chiarire anche quest’ultimo punto.

Il primo documento è una lettera che il Tesoriere Generale dello Stato, Mons. G. Della Porta, dirigeva al Governatore di Fano, Mons. Fabrizio Sceberras-Testaferrata, a proposito della concessione della zecca, nei termini seguenti:

Ill.mo e R.mo Sig. P.ne Col.mo,

”Essendosi la Santità di nostro Signore nel Chirografo a segnato com’Ella ben sa a favore di cotesto sig. Girolamo Morici per l’apertura di una Zecca di Rame in codesta Città degnata di rimettere al mio arbitrio la scelta di quattro soggetti da deputarsi al buon andamento della zecca stessa, io Ho creduto opportuno di prescegliere il sig. Filippo Cav.re Uffreducci per primo deputato, il sig. Co: Francesco Corbelli per secondo, il sig. Cav.re Andrea Galantara per terzo ed il sig. Domenico Amiani per quarto. Credo pertanto opportuno di renderne immediatamente intesa V. S. Illma, e siccome poi fra le anzi dette cautele ingiunte ad oggetto di garantire nel miglior modo possibile l’interesse, che ha la B». C. nella estrazzione delle monete battute vi è ancora quella che in ciascheduna di dette estrazzioni oltre l’intervento dei sudetti quattro Deputati vi si aggiunga ancora la presenza di V. S. Illma e del Capo dei Magistrati, così io non trascuro di rimarcarle questa particolar circostanza espressa nella Sovrana concessione persuaso, che anche in questa occasione non lascerà di dare nuovi contrassegni del di Lei zelo ed attività con portarsi unitamente al capo del Magistrato tutte le volte che verrà intimato ad assistere all’atto legale dell’estrazzione in unione degli anzidetti quattro Deputati. E perchè nel Chirografo stesso, si dispone, che per il rogito necessario dell’atto dell’estrazzione assista un Notaro in qualità di Cancelliere da me deputato specialmente le partecipo aver prescelto per questo effetto il Segretario Comunitativo di codesta stessa Città. Non lascio infine di significarle, che contemporaneamente prescrivo al predetto sig. Intraprendente, di esibirle subito copia del surriferito chirografo di concessione affinchè resti intesa degli obblighi assunti dallo stesso sig. Intraprendente, non meno che delle cautele stabilite in ordine alle ridette estrazzioni e con perfetta stima mi confermo.”

“Di V. S. Ill.ma e R.ma
Roma 26. Ag. 1797.

Dev.mo Obb.mo Serv.e

G. Della Porta Tes. G.le.


Mons. Governatore di Fano.”


Entro a questa lettera che si conserva in originale nel Vol. XXII dei Registri sono accluse le memorie, pure originali di mano del segretario Staccioni, delle varie estrazioni di monete eseguite dalla zecca e che qui riproduco:

“Adesivamente al chirografo del Sommo Pontefice in fav. del sig. Girolamo Morigi apertosi sotto il di 10 ottobre 1797 per la prima volta il cassone delle monete coniate in questa zecca di Fano consistenti in grossi Romani da baj: cinque l’uno, e mezzi grossi di baj : due e mezzo l’uno e queste pesate, si trovarono i grossi essere di libre 199, e mezzi grossi libre 98; che in ragione di libra una per scudo costituiscono in tutto scudi duecento novanta sette R. Agostino Staccioni Sec.rio dell’Ill.ma com.tà di Fano.”

“Nelle solite forme apertosi sotto il di 13 ottobre 1797 il cassone delle monete coniate in questa Zecca di Fano consistenti in grossi da baj. cinque l’uno, e pesate si trovarono essere di libre cinquecento ottantatre, che in ragione di libra una per scudo costituiscono scudi cinquecento ottantatre. In fede

Cosi è Agostino Staccioni Not.° e secr. pub.°” “Sotto il di 24 ottobre 1797 apertosi il cassone delle monete coniate in questa Zecca di Fano si trovò come siegue

Grossi di baj 5 l’uno libre 77
Mezzi Grossi bai 2 1/2 l’uno libre 607
in t.° libre 684

che in ragione di libra una p. scudo costituiscono Sc. 684.

Cosi è: Ag.no Staccioni Secr.io pub.°”

“Al Noe, ecc. Adì ult.° ott.e 1797. Alla p.nza dei Nob. Sig.i Dep.ti e di me Not.° e Secr.io si è aperto il cassone delle monete coniate in q.a zecca consistenti in grossi L.e 196 e mezzi grossi, L.e 10. 6. 4. Cbe a rag.e di una lib.a p. scudo sono Sc. 206.

TT. Ag.no Veneranda e Dom.co Sora.”

Come si vede sono gli appunti presi dal segretario sul luogo e che dovevano servire alla compilazione degli stromenti regolari di estrazione. E infatti di quelle del 10 e 24 ottobre v’è una minuta dalla quale apprendiamo la presenza alla prima estrazione di: S. Sig. Ill.ma e R.ma Mons. Fabrizio Sceberras-Testaferrata Gov.re degnissimo dell’Ill.mo sig. Pietro Gabrielli Gonfaloniere ossia capo della Magistratura, dei lodati sigg. quattro Deputati ed intimati preventivamente a quest’atto sebbene arsente il sig. Comm.re Galantara ed all’altra del Mag.co sig. Avv.to Filippo Piselli luogot.te g.le, Pietro Gabrielli Gonf.e Cav. Filippo Uffreducci e Cav. Andrea Comm.re Galantara e dei Testimoni Ag.no Veneranda e Saverio Tonucci.

Le memorie delle estrazioni non vanno oltre alla fine di ottobre por cui è a credere che la zecca non lavorasse effettivamente che un mese circa, producendo 1770 scudi di moneta. Negli stessi foglietti abbiamo quest’altra memoria pure di mano dello Staccioni in cui dice:

“Date due copie autentiche di dette estrazioni sino al 31 ottobre 1797; una cioè al sig. Cav. Filippo Uffroducci e l’altra al sig. Girolamo Morici che la richiesero, nulla avendo ritirato.”

E anche da questa parrebbe confermata la chiusura della zecca al 31 ottobre. Finalmente nei fogli medesimi abbiamo un ultimo appunto:

“Adi 14 xbre 1797.

Furono trovati nel Luogo designato alla zecca tre cilindri di madonnine e due di S. Pietrini, componenti in tt.° pezzi dieci, che vennero consegnati al sig. Ln.te p.nte e p.nte eziandio il sig. Fr.co Corbelli e alla p.nza di Luigi Eusebi e Gio. Batta Cesarini.”

Questa parrebbe la consegna definitiva del materiale della zecca, da cui apprendiamo come fossero tre i conî delle Madonnine e due dei Sampietrini. Non so se gli esemplari conosciuti di queste monete presentino le varietà corrispondenti, perchè io, assiduo ricercatore delle monete Fanesi, non ne posseggo alcuno e non se ne conserva nessuno nemmeno nell’Archivio Comunale dove pure abbiamo una piccola collezione di monete della zecca di Fano.

Prima di chiudere questo articolo mi pare opportuno ricordare, che scorrendo il minutario delle lettere scritte dal Comune in quell’epoca, ho dovuto convincermi sempre più che con la istituzione delle diverse zecche si credeva di aver trovato uno specifico miracoloso per rimediare alla mancanza di numerario e con esse si sperava di porre un argine alle cedole che inondavano le casse pubbliche. Infatti in molte lettere scritte all’Agente del Comune in Roma abate Francesco Cancellieri, si parla della urgenza di cambiare le cedole che il Comune aveva avuto in pagamento delle spese sostenute per le truppe pontificie, e finalmente si riporta dal Tesoriere Generale la promessa che il cambio sarà eseguito, almeno in parte, colla moneta che verrà prodotta dalla nuova zecca. Ma, aperta la zecca, le cedole non vengono cambiate, e il Comune li 15 ottobre 1797, così scriveva al Cancellieri:

“In altre di Lei lettere ci assicurò di avere Mons. Tesoriere dato ordine al sig. Morici intraprendente qui la zecca per il cambio alla prima di Sc. 300: almeno di quella maggior somma ritirata in tante cedole per il rimborso delle spese alla truppa pontificia per poi far lo stesso successivamente del residuo. Al momento della di lui venuta in q.ta città ne fu da noi interpellato e com’egli si dimostrò propenso alla prima in seguito si lasciò uscir di bocca non averne ricevuto l’indicato ordine ma che ove gli pervenisse si sarebbe prestato. Sono già seguite due estrazioni di moneta in più centinara di scudi e si rimane nelle stesso desiderio di prima e con le cedole in cassa senza speranza d’esitarle.”

E anche questa volta il desiderio restò inascoltato, tanto che un mese dopo, il 16 novembre 1797, c’è una lettera in cui malinconicamente si dice:

“Già prevedevamo che per parte ancora di questa zecca fosse andato a vuoto il cambio dei Sc. 300 promessi da Mons. Tesoriere per allora e quindi per il residuo già ritirato in buona fede in cedole a rimborso di altrettanti in contanti sborsati per servizio della truppa pontificia, ecc.”

E così i miracolosi effetti che si promettevano e speravano dall’istituzione delle zecche andavano in fumo.





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