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La festa de San Nabborre Li dannati
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

ER BÙSCIO1 DE LA CHIAVE2

1.

     Gran nove! La padrona e cquer Contino
Scopa de la scittà, spia der Governo,
Ar zòlito a ttre ora se chiuderno
A ddì er zanto rosario in cammerino.

     «Ebbè», cominciò llei cór zu’ voscino,
«sta vorta sola, e ppoi mai ppiù in eterno».
«E cche! avete pavura de l’inferno?»,
J’arisponneva lui pianin pianino.

     «L’inferno è un’invenzion de preti e ffrati
Pe ttirà nne la rete li merlotti,
Ma nnò cquelli che ssò3 spreggiudicati».

     Fin qui intesi parlà: poi laggni, fiotti,
Mezze-vosce, sospiri soffogati...
Cos’averanno fatto, eh ggiuvenotti?4

29 aprile 1834

Note

  1. Buco.
  2. Dopo questo va subito il seguente.
  3. Sono.
  4. Giovanotti.

LA BBONA NOVA.

2.

     Dunque nun c’è ppiù inferno! alegramente.
Ecco er tempo oramai de fasse1 ricchi.
Dunque er dellà2 è un inzoggno3 de la ggente,
E nnun resta ch’er boja che cc’impicchi.

     Sgabbellato4 l’inferno, ar rimanente
Se saperà ttrovà chi jje la ficchi.
Li ggiudisci nun zò5 Ddio nipotente,
E cqui abbasta a spartì bbene li spicchi.6

     La lègge, è vvero, è una gran bestia porca;
Ma l’inferno era peggio de la lègge,
E ffasceva ggelà ppiù dde la forca.

     L’onor der monno? e cche ccos’è st’onore?
Foco de pajja, vento de scorregge.7
Er tutto è nnun tremà cquanno se8 more.

29 aprile 1834

  1. Di farsi.
  2. Il di-là.
  3. Sogno.
  4. Evitato.
  5. Non sono.
  6. Basta a far bene le porzioni.
  7. Peti (con riverenza parlando).
  8. Si.

Note

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