< La figlia di Iorio
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Atto primo Atto terzo



S
i vedrà una caverna montana, in parte rivestita di assi, di stipa, di paglia, largamente aperta verso un sentiere petroso. Si discopriranno per l’ampia bocca i pascoli verdi, i gioghi nevati, le nuvole erranti. Vi saranno giacigli di pelli pecorine, deschetti di rozzo legname, bisacce, otri vuoti e pieni, un panconcello per lavorar di tornio e d’intaglio, con suvvi l’asce, il pialletto lunato, il coltello a petto, la lima, il tagliolo, altri strumenti, e da presso le cose lavorate: conocchie, fusa, mestole, cucchiai, mortai, pestelli, cennamelle, sùfoli, candellieri; un ceppo di noce che in basso apparirà ancóra informe nella sua corteccia e in alto porterà di tutto tondo la figura di un angelo appena digrossata fino alla cintola dallo scalpello ma già con le ali quasi rifinite. Una lampanetta di olio d’oliva arderà dinanzi all’imagine di Nostra Donna, in una incavatura della rupe come in una nicchia. Una cornamusa penderà quivi accanto. S’udranno i campani delle mandre nel

silenzio della montagna, declinando il giorno, poco dopo l’equinozio autunnale.


SCENA PRIMA

Malde, il cavatesori, e Anna Onna, la vecchia dell’erbe, dormiranno su le pelli di pecora, stesi nei loro cenci. Cosma, il santo, vestito d’una melote, anche dormirà, ma accosciato, con le braccia intorno ai ginocchi e su i ginocchi il mento. Aligi sarà seduto sopra un deschetto, intento a intagliare con suoi ferri il ceppo di noce. Mila di Codra sarà seduta di contro a lui e lo guarderà.

Mila
M
a stiè mutolo il patrono
ch’era di ceppo di noce,
sordo fue il legno santo,
Sant’Onofrio non rispose.
E disse allora la terza
(miserere di noi, Signore!)
e disse allora la bella:
«Ecco pronto lo mio cuore.
Se vuol sangue a medicina,
prendetelo dal cuor mio;
ma di questo ei non s’avveda,
ma di questo ei non s’addìa».
Sùbito il legno getta un ramo,
getta un ramo dalla bocca,
getta un ramo per ogni dito.
Sant’Onofrio è rinverdito!

Ella si chinerà a raccattare le schegge e i trùcioli intorno al ceppo lavorato.

Aligi
O Mila, e questo anche è un ceppo di noce.
Rinverdirà, Mila, rinverdirà?
Mila, china a terra
“Se vuol sangue a medicina,
prendetelo dal cuor mio...„
Aligi
Rinverdirà, Mila, rinverdirà?
Mila
“Ma di questo ei non s’avveda,
ma di questo ei non s’addìa„.
Aligi
M
ila, Mila, il miracolo ci assolva!
L’Angelo muto ci protegga ancóra,
ché per lui non m’adopro co’ miei ferri
ma sì m’adopro con l’anima in mano.
E tu che cerchi, là? che hai perduto?
Mila
I
o raduno le schegge; e le arderemo,
e un granello d’incenso con ognuna.
Affretta, Aligi, ché il tempo sen viene.
La luna di settembre è menomante
e i pastori cominciano a partire:
chi verso Puglia va, chi verso Roma.
E dove l’amor mio farà viaggio?
Dov’ei farà viaggio gli sien prata
dinanzi e fonti d’acque, e non sia vento,
e di me gli sovvenga quando annotta!
Aligi
V
erso Roma farà viaggio Aligi,
andrà dove si va per tutte strade,
con la sua mandra verso Roma grande,
a pigliar perdonanza dal Vicario,
dal Vicario di Cristo Signor Nostro,
perché quegli è il Pastore dei Pastori.
Non in terra di Puglia andrà uguanno:
ma a Nostra Donna della Schiavonia
ei manderà per man d’Alài d’Averna
questi due candellieri di cipresso
con due ceri mezzani in compagnia,
che di lui peccatore non si scordi
Nostra Donna che guarda la marina.
Poi quest’Angelo, come sia finito,
ei lo caricherà sopra una mula
e passo passo ei se lo porterà.
Mila
A
ffretta, affretta, ché il tempo sen viene.
Dalla cintola in giù l’Angelo è preso
ancor nel ceppo, i piedi ancor legati
ha nei nocchi, e le mani senza dita,
e gli occhi si pareggian con la fronte.
Indugiato ti sei a fargli l’ale
penna per penna, ma volar non può.
Aligi
M’aiuterà Gostanzo il dipintore,
Gostanzo di Bisegna il dipintore
che lavora d’istorie per le carra.
Accordato io mi sono già con lui
ed ei mi metterà colori fini;
e forse alla Badia m’avrò dai frati
per un agnello un poco d’oro in foglio
da mettere nell’ale e alla gorgiera.
Mila
A
ffretta, affretta, ché il tempo sen viene
e già la notte è più lunga del giorno,
e su dalla pianura monta l’ombra
all’improvviso quando non s’attende,
sì che l’occhio non guida più la mano
e al ferro cieco non soccorre l’arte.

Cosma si agiterà nel sonno e si lamenterà. Si udrà giungere di lontano la cantilena sacra dei pellegrinaggi.

Cosma si sogna. E chi sa che si sogna!
Odi odi il canto della compagnia
che varca la montagna per andare
forse a Santa Maria della Potenza,
Aligi, verso la tua terra, verso
la tua casa dov’è la madre tua:
e forse passerà poco discosto,
e la madre l’udrà, l’udrà Ornella
forse, e diranno:“Questi pellegrini
scesero dagli stazzi dei pastori
e alcun saluto non ci fu mandato!„

Aligi sarà curvo a digrossar con l’asce il basso del ceppo. Dato un colpo, abbandonerà il ferro nel legname; e si solleverà ansiosamente.

Aligi
Ah, perché tocchi dove il cuore dole?
Mila, corro e li giungo sul cammino
e fo priego al crocifero che porti
l’imbasciata... Ma come gli dirò?
Mila
G
li dirai:“Buon crocifero, ti priego,
se passi pel vallone di San Biagio,
per la contrada detta l’Acquanova,
domanda della casa d’una donna
chiamata Candia della Leonessa
e fa sosta, ché certo avrai da lei
un boccaletto per ristoro e forse
più altro avrai, fa sosta e dille:- Il figlio
Aligi ti saluta, e le sorelle
con te anche, e Vienda anche, la sposa,
e ti promette che discenderà
per essere da te ribenedetto
in pace, prima della dipartita,
e t’assicura ch’ei fu liberato
d’ogni male e periglio, liberato
della falsa nemica ultimamente,
e non sarà mai più cagione d’ira
e non sarà mai più cagion di pianto
alla madre, alla sposa, alle sorelle.-„
Aligi
M
ila, Mila, qual vento ti combatte
l’anima e te la volge? Un vento sùbito,
un vento di paura. E ti si spegne
la voce in bocca e il sangue se ne va
dalla tua faccia... Perché vuoi ch’io mandi
messaggio di menzogna alla mia madre?
Mila
I
n verità, in verità ti parlo,
o fratel mio, caro della sorella,
quant’è vero che non commisi fallo
con te ma stetti accesa come un cero
dinanzi alla tua fede e fui lucente
d’amore immacolato al tuo conspetto.
In verità, in verità ti parlo
e dico:Va, va, corri sul cammino
e cerca del crocifero che porti
il saluto di pace all’Acquanova.
Venuta è l’ora della dipartita
per la figlia di Iorio. E così sia.
Aligi
Per certo hai tu mangiato miel selvaggio
che ti turba la mente! E dove andrai?
Mila
Andrò dove si va per tutte strade.
Aligi
A
h, verrai meco, dunque, verrai meco!
Assai lungo è il cammino. Ma te anche
io metterò su la mia mula. E andremo
con la speranza, verso Roma grande.
Mila
Convien ch’io vada dall’opposta parte
co’ piè miei lesti e senza la speranza.
Aligi
vòlto alla vecchia che dorme Anna Onna, su, svégliati, su, lèvati,
e vammi in cerca d’ellèboro nero,
che il senno renda a questa creatura!
Mila
Non t’adirare, Aligi. E se t’adiri
anche tu contro a me, come vivrò
io fino a sera? Sotto il tuo calcagno
il mio cuore non lo raccoglierò.
Aligi
Nella mia casa non ritornerò
se non con te, con te, figlia di Iorio,
Mila di Codra, mia per sacramento.
Mila
A
ligi, e passerò la soglia stessa
ove fu posta la croce di cera?
E un uomo v’apparì, che sanguinava;
e disse allora il figlio di quell’uomo:
“Se il sangue è ingiusto, tu non puoi passare..„.
Era di mezzodì, nella vigilia
di San Giovanni. Era la mietitura.
Pace ha la falce appesa alla parete,
il grano si riposa nei granai,
mentre il dolore seminato s’alza.

Cosma si agiterà nel sonno gemendo.

Aligi
Ma sai tu chi ti condurrà per mano?
Cosma, gridando
Non lo sciogliere! No, no, non lo sciogliere!


SCENA SECONDA

Il santo aprirà le braccia sollevando il volto di su i ginocchi.

Mila
Cosma, Cosma, che sogni? Di’:che sogni?

Cosma si sveglierà e si leverà.

Aligi
Che hai veduto? Di’:che hai veduto?
Cosma
S
paventi si son vòlti contro a me.
Io ho veduto... Ma non debbo dire.
Ogni sogno, che vien da Dio, purgato
sarà col fuoco prima d’esser detto.
Io ho veduto, e certo parlerò.
Ma ch’io non usi indegnamente il Nome
dell’Iddio mio per giudicare, quando
la caligine è ancóra sopra a me.
Aligi
O Cosma, tu sei santo. Per molt’anni
ti sei lavato con acque di neve.
Con l’acque che traboccano dai monti
dissetato ti sei davanti al Cielo.
Oggi dormito hai nella mia caverna,
sul vello della pecora mondato
col solfo perché l’Incubo si fugga.
Nel tuo sonno hai veduto visioni.
Lo sguardo del Signore è sopra a te.
Soccorrimi del tuo intendimento.
Or io ti parlerò, e tu rispondimi.
Cosma
Imparata non ho la sapienza,
giovine, e non ho pur l’intendimento
che ha il sasso nel cammino del pastore.
Aligi
O Cosma, uomo di Dio, stammi a sentire.
Io ti priego per l’Angelo che è chiuso
in quel ceppo e non ha orecchi e ode!
Cosma
Parla parole diritte, pastore;
e la tua confidanza non in me
poni ma nella santa verità.

Malde e Anna Onna si desteranno e si leveranno sul cubito ad ascoltare.

Aligi
C
osma, questa è la santa verità.
Dal piano di Puglia mi tornai a monte
con la mia mandra il dì del Corpusdomini.
Com’ebbi preso luogo d’addiacciare,
scesi alla casa per i miei tre giorni.
E trovo nella casa la mia madre
che mi dice:“Figliuolo, voglio darti
donna„. Io le dico:“Madre, guardo sempre
il tuo comandamento„. Ella mi dice:
“Bene, è questa la tua donna„. Si fanno
le sposalizie. Il parentado viene
e m’accompagna la sposa alla porta.
Io era come un uomo all’altra riva
d’una fiumana, che vede le cose
di là dall’acqua e tra mezzo passare
vede l’acqua, che passa eternamente.
Cosma, fu la domenica. Bevuto
io non avea papavero nel vino.
Tuttavia perché mai sì grande sonno
mi venne sopra il cuore ismemorato?
Io credo che dormii settecent’anni.
Il lunedì ci alzammo a ora tarda.
E la mia madre ruppe il suo panello
sul capo della vergine che pianse.
Io non l’avea già tocca. E il parentado
venne con le canestre del frumento.
Ma io muto mi stava in gran tristezza
come fossi nell’ombra della morte.
Ed ecco d’improvviso entrare quivi
tutta tremante questa creatura.
I mietitori la perseguitavano,
cani!, che la volevano conoscere.
Ed ella ci pregava la salvezza.
E niuno di noi, Cosma, si mosse.
Sola la mia più piccola sorella
corre e s’ardisce chiudere la porta.
Ed ecco che la porta da quei cani
è percossa con ogni vitupèro.
E s’apre contro questa creatura
bocca di frode con parole d’odio.
E il parentado vuol gittarla al branco.
Ed ella trista presso il focolare
chiede pietà, che non ne faccian strazio.
Ma io stesso l’afferro e la trascino,
per odio e frode:e trascinar mi sembra
il mio cuore di quando era fanciullo.
Ed ella grida, ed io sopra di lei
levo la mazza. E le sorelle piangono.
Ed ecco, dietro a lei, Cosma, con queste
pupille vedo l’Angelo che piange!
Lo vedo, o santo! L’Angelo mi guarda
e piange, e tace. Io cado ginocchioni.
Perdóno chiedo. E, per punire questa
mia mano, prendo di sul focolare
un tizzo ardente:“No, non ti bruciare!„
grida la creatura. E poi mi dice.
O Cosma, o santo, con acque di neve
tu ti sei battezzato alba per alba;
e tu, vecchia, conosci tutte l’erbe
che sànano la carne cristiana,
sai la virtù di tutte le radici;
e tu, Malde, con quella tua forcina
tu saper puoi dove i tesori sien
nascosti a piè dei morti che son morti
or è cent’anni, or è mill’anni, è vero?:
e profonda, profonda è la montagna.
Or io vi chiederò:Voi che sentite
venir le cose di tanto lontano
quella voce di qual mai lontananza
venne e parlò perché l’udisse Aligi?
Rispondetemi voi! Ella mi disse:
“E come pascerai tu la tua mandra
se la tua mano ti s’inferma, Aligi?„
E con questa parola ella mi colse
l’anima mia di dentro le mie ossa
così, come tu, vecchia, cogli un semplice!

Mila piangerà silenziosamente.

Anna Onna
V’è un’erba rossa che si chiama Glaspi
e un’altra bianca che si chiama Egusa,
e l’una e l’altra crescono distanti;
ma le ràdiche loro si ritrovano
sotto la terra cieca e là s’annodano,
tanto sottili che neppur le scopre
Santa Lucia. Diversa hanno la foglia
ma fan l’istesso fiore, ogni sett’anni.
E questo è anche scritto nelle carte.
Cosma sa le potenze del Signore.
Aligi
A
scolta, Cosma. Il sonno d’oblianza
m’era stato mandato al capezzale,
da chi? La mano innocente aveva chiuso
la porta di salute; e m’era apparso
l’Angelo del consiglio; e una parola
di labbra s’era fatta pegno eterno.
Qual era dunque la mia donna, innanzi
al buon frumento, al pane mondo e al fiore?
Cosma
P
astore Aligi, la stadera giusta
e le giuste bilance son di Dio.
Tuttavia prendi pure intendimento
da Colui che t’ha fatta sicurtà;
prendi pegno da Lui per la straniera.
Ma quella che non fu tocca, dov’è?
Aligi
M
i partii per lo stazzo dopo vespro,
la vigilia di San Giovanni. All’alba
io mi trovai di sopra a Capracinta
e stetti ad aspettare il sole. E vidi
dentro dal cerchio sanguinare il capo
del Decollato. Poi venni allo stazzo,
ripresi a pasturare e a dolorare.
E mi parea che mi durasse il sonno
e la mandra brucasse la mia vita.
Allora il cuore mio chi lo pesò?
O Cosma, vidi prima l’ombra e poi
la sua persona, là, sul limitare.
Era il giorno di Santo Teobaldo.
Stava seduta questa creatura
sopra la pietra; e non poté levarsi
ché i piedi eran piagati. Disse:“Aligi,
mi riconosci?„ Io dissi:“Tu sei Mila„.
E non parlammo più, ché più non fummo
due. Né quel giorno ci contaminammo
né dopo mai. Lo dico in verità.
Cosma
P
astore Aligi, tu hai certo accesa
una làmpana pia nella tua notte
ma tu l’hai posta in luogo di quel termine
antico che inalzarono i tuoi padri.
Tu rimosso hai quel termine sacrato.
E se questa tua làmpana si spegne?
Il consiglio nel cuor dell’uomo è un’acqua
profonda; e l’uomo pio l’attignerà.
Aligi
Io prego Iddio che ponga sopra a noi
il suggello del sacramento eterno!
Vedi che faccio? Con l’anima in mano
lavoro questo legno, a simiglianza
dell’Angelo apparito. Incominciai
nel giorno dell’Assunta, pel Rosario
lo vo’ compire. Or ecco il mio disegno.
Calerò con la mandra verso Roma;
e porterò quest’Angelo con meco
sopra una mula. Andrò dal Santo Padre
nel nome di San Pietro Celestino
che sul Morrone fece penitenza,
me n’andrò dal Pastore dei Pastori
con questo vóto a chiedere dispensa,
perché colei che non fu tocca torni
alla sua madre, sciolta dal legame,
ed alla mia conduca io la straniera
che sa piangere senza farsi udire.
Ora domando al tuo conoscimento,
Cosma:La grazia mi sarà concessa?
Cosma
T
utte le vie dell’uomo sembran dritte
all’uomo; ma il Signore pesa i cuori.
Alte mura, alte mura ha la Città,
e gran porte di ferro, e intorno intorno
gran sepolture dove cresce l’erba.
L’agnello tuo non bruchi di quell’erba,
pastore, Aligi. Interroga la madre...
Una voce, di fuori gridando.
Cosma, Cosma! Se sei là dentro, esci!
Cosma
Chi m’ha chiamato? Avete udito voce?
La voce
Esci, Cosma, pel sangue di Gesù!
O cristiani, fatevi la croce!
Cosma
Eccomi. Chi mi chiama? Chi mi vuole?


SCENA TERZA

Appariranno alla bocca della caverna due pastori vestiti di pelli, tenendo fermo tra loro un giovinetto magro e verdastro come una locusta, che avrà le braccia constrette contro i fianchi da più giri di corda passati intorno al tronco seminudo.

L’un pastore
O cristiani, fatevi la croce!
Il Signore vi salvi dal Nemico.
Per guardarvi la bocca, dite un pater.

Tutti i presenti si segneranno.

L’altro pastore
O Cosma, questo giovine ha i demonii.
Or è tre giorni che l’hanno invasato.
E vedi vedi come lo travagliano!
Ed egli schiuma e stride e si fa verde.
Noi l’abbiamo legato con le corde
per portartelo. Tu già liberasti
Bartolomeo del Cionco alla Petrara.
Uomo di misericordia, anche questo
libera! Tu fa che escano da lui!
Tu cacciali da lui, e lo guarisci!
Cosma
Qual è il suo nome e il nome del suo padre?
L’un pastore
Salvestro di Mattia di Simeone.
Cosma
S
alvestro, vuoi tu essere sanato?
Sta di buon cuore, figliuolo. Abbi fede.
Io te lo dico:Non temere. E voi
perché l’avete legato? Scioglietelo.
L’altro pastore
C
osma, vieni con noi alla cappella.
Là noi lo scioglieremo. Qui ci fugge:
e sempre ha frenesia di rotolarsi
e di precipitare; e schiuma. Vieni!
Cosma
Verrò con Dio. Sta di buon cuore, figlio!

I due pastori trascineranno l’indemoniato. Malde e Anna Onna li seguiranno per un tratto; si soffermeranno a guatare:il cavatesori, roso dal suo pensiero di sotterra, tenendo in mano un ramo sfrondato d’ulivo terminante in forcina, fornito d’una pallottola di cera all’estremità più robusta; la vecchia dell’erbe poggiata alla sua stampella, con la sua sacca di semplici penzoloni sul ventre. In breve, anch’essi scompariranno. Il santo si volgerà dal limitare, verso l’ospite.

V
ado con Dio. Pastore Aligi, sii
rimeritato del conforto ch’ebbi
nel ricovero tuo. M’hanno chiamato
ed ho risposto. Prima che tu prenda
la via nova, considera la legge.
Chi perverte la via, sarà fiaccato.
Guarda il comandamento di tuo padre.
Segui l’insegnamento di tua madre.
Tienli sempre legati in sul tuo cuore.
E Dio guidi il tuo piè, che non sia preso
nei lacci e non incappi nella brace.
Aligi
Cosma, hai tu bene udito? Io sono puro.
Non mi contaminai ma ebbi fede.
Hai bene udito i segni che l’Iddio
altissimo ha mandati verso me?
Attendo quel che è giusto, e mi mortifico.
Cosma
Io te lo dico:Interroga il tuo sangue,
prima di condur teco la straniera.
Una voce, di fuori gridando
Cosma, non t’indugiare! Ora l’uccide.
Cosma
vòlto a Mila Pace a te, donna. Se il bene sia teco,
fa che da te si versi come il pianto,
senza che s’oda. Forse tornerò.
Aligi
Vengo, ti seguo, ché tutto non dissi...
Mila
Aligi, è vero:tutto non dicesti!
Va sul cammino e cerca del crocifero
e pregalo che porti la parola.

Il santo si allontanerà per i pascoli. Si udrà, or sì or no, il cantare dei pellegrini.

A
ligi, Aligi, tutto non dicemmo!
E meglio m’è avere nella bocca
un buon pugno di polvere o una pietra
che me la chiuda. Ascolta solo questo
da me, Aligi. Io non ti feci male;
male non ti farò. Sanàti sono
i miei piedi, e conoscono la via.
Venuta è l’ora della dipartita
per la figlia di Iorio. E così sia.
Aligi
Io non so, tu non sai l’ora che viene.
Rimetti l’olio nella nostra làmpana.
Prendi l’olio dall’otro. Ancor ve n’è.
E aspettami, che vado dal crocifero.
Bene ho pensato quel che gli dirò.

Si volgerà per andare. La donna, vinta dallo sgomento, lo richiamerà.

Mila
Aligi, fratel mio! Dammi la mano.
Aligi
Mila, il cammino è là, poco lontano.
Mila
Dammi la mano tua, ch’io te la baci.
È il sorso che concedo alla mia sete.
Aligi, appressandosi
Mila, col tizzo io la volli bruciare.
È quella mano trista che t’offese.
Mila
Non mi rammento. Io son la creatura
che trovasti seduta su la pietra,
che veniva chi sa da quali strade.
Aligi, appressandosi ancóra
Su la tua faccia il pianto non s’asciuga,
creatura. Una lacrima ti resta
nei cigli; trema, se parli; e non cade.
Mila
S’è fatto un gran silenzio. Aligi, ascolta.
Non cantan più. Con l’erbe e con le nevi,
siamo soli, fratello, siamo soli.
Aligi
Mila, tu sei come la prima volta
là su la pietra, quando sorridevi
con gli occhi e avevi i piedi sanguinosi.
Mila
E
tu, tu non sei quello inginocchiato
che i fioretti di San Giovan Battista
posò per terra? Ed una li raccolse
e se li porta nello scapolare.
Aligi
M
ila, una risonanza nella voce
tu hai, che mi consola e mi contrista
come d’ottobre quando con le mandre
si cammina cammina lungo il mare.
Mila
Camminare con te per monti e spiagge,
vorrei che questa fosse la mia sorte.
Aligi
O compagna, prepàrati al viaggio.
Lungo è il cammino, ma l’amore è forte.
Mila
Aligi, passerei sul fuoco ardente,
e che l’andare non avesse fine!
Aligi
Pei monti coglierai le genzianelle
e per le spiagge le stelle marine.
Mila
Se dovessi pontare i miei ginocchi
nelle tue péste, mi trascinerei.
Aligi
Pensa ai riposi, quando farà notte!
La menta e il timo avrai per origlieri.
Mila
N
on penso, no. Ma lascia, anche per questa
notte, ch’io viva dove tu respiri,
ch’io t’ascolti dormire anche una volta,
che anch’io vegli per te come i tuoi cani!
Aligi
T
u lo sai, tu lo sai quel che s’attende.
Con te partisco l’acqua il pane e il sale.
E così partirò la giacitura
fino alla morte. Dammi le tue mani!.

Si prenderanno per le mani guardandosi fisamente.

Mila
Ah, si trema, si trema. Tu sei freddo,
Aligi, tu ti sbianchi... Dove va
il sangue del tuo viso che si perde?

Ella si scioglierà e con le mani gli sfiorerà le gote.

Aligi
O Mila, Mila, sento come un tuono...
E tutta la montagna si sprofonda.
Dove sei? dove sei? Tutto si perde.

Anch’egli tenderà le mani verso di lei, come uno che brancoli. E si baceranno. Poi cadranno entrambi in ginocchio, l’uno di contro all’altra.

Mila
Miserere di noi, Vergine santa!
Aligi
Miserere di noi, Cristo Gesù!

Sarà grande silenzio.

Una voce
di fuori cruda Pecoraio, ti cercano all’addiaccio.
Una pecora nera s’è sciancata.

Aligi si alzerà vacillando, e andrà verso il richiamo.

Il massaro ti cerca, che tu corra.
E dice che c’è una con la còscina,
non so chi sia, che ti va dimandando.

Aligi volgerà indietro il capo a guardare la donna rimasta in ginocchio; e il suo sguardo abbraccerà tutte le cose.

Aligi, a bassa voce.
M
ila, rimetti l’olio nella làmpana
che non si spenga. Vedi ch’arde appena.
Prendi l’olio dall’otro. Ancor ve n’è.
E aspettami, che arrivo fino al giaccio.
Paura non avere. Dio perdona;
perché tremammo, Maria ci perdona.
Rimetti l’olio, e prega per la grazia.

Si allontanerà per i pascoli.

Mila
V
ergine santa, fatemi la grazia,
ch’io mi rimanga con la faccia in terra
freddata qui, ch’io sia trovata morta,
di qui rimossa per la sepoltura.
Non fu peccato, sotto gli occhi vostri.
Non fu peccato. Voi lo concedeste.
Non furono le labbra siete voi
testimone non furono le labbra.
Posso morire sotto gli occhi vostri.
Forza non ho d’andarmene, Maria.
E vivere con lui Mila non può!
Madre clemente, malvagia non fui.
Fui una fonte calpestata. E troppo
mi fu fatta vergogna innanzi al Cielo.
Ma chi mi tolse dalla mia memoria
la mia vergogna, se non voi, Maria?
Rinata fui quando l’amore nacque.
Voi lo voleste, Vergine fedele.
T
utte le vene di quest’altro sangue
vengono di lontano di lontano,
dal fondo della terra ove riposa
quella che m’allattò fate che anch’ella
ora mi vegga!, dalla più lontana
innocenza. O Maria, voi lo vedete.
Non le labbra, dianzi siete voi
testimone non furono le labbra.
E, s’io tremai, ch’io porti nel trapasso
il tremito con me nell’ossa mie.
Mi chiudo gli occhi miei con le mie dita.

Con l’indice e il medio di ciascuna mano si premerà le pàlpebre; e curverà la faccia sino a terra.

Sento la morte, me la sento appresso.
Cresce il tremito. E il cuore non si ferma.

Si leverà impetuosamente.

Ah sciagurata! Quel che mi fu detto
non feci, e per tre volte me lo disse:
“Rimetti l’olio„. Ed ecco, ora si spegne!

Correrà verso l’otro, appeso a un asse, ma vigilando con l’occhio la fiammella tremula dinanzi all’imagine e cercando di sostenerla con la preghiera mormorata.

Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum...

Spiccherà l’otro che le si affloscerà tra le mani. Cercherà la caraffa per versarvi l’olio; ma non potrà dall’otro spremuto trarre se non qualche stilla.

È vuoto! È vuoto! Vergine, tre gocce,
che mi sien sante per l’estrema Unzione,
due per le mani, l’altra per la bocca
e tutt’e tre sopra l’anima mia!
Ma se ancóra son viva, quando torna,
che gli dirò, Madre, che gli dirò?
Certo che, prima di veder me, vede
che la làmpana è spenta. E se l’amore
non mi valse a tenerla accesa, Madre,
che mai varrà per lui quest’amor mio?

Ella spremerà anche una volta l’otro, frugherà una bisaccia, capovolterà gli orciuoli, mormorando la preghiera.

F
ate che v’arda, Madre intemerata,
ancóra per un poco, ancóra quanto
dura un’Avemaria, dura una Salve
regina, Madre di misericordia!

Nella ricerca affannosa ella andrà verso il limitare, udrà un passo, scorgerà un’ombra. Si farà a chiamare, gridando.

O donna, buona donna, cristiana,
accòstati, che Dio ti benedica!
Accòstati, ché forse Dio ti manda.
Che porti nella còscina? Hai un poco
d’olio? Per carità, dàmmene un poco!
Poi entra e scegli e piglia quel che vuoi:
cucchiai mortai conocchie fusi, tutto!
Bisogno c’è per la Signora nostra,
per rimettere l’olio nella làmpana
che non si spenga; ché, se mi si spenge,
non vedo più la via del Paradiso.
M’intendi, cristiana? Me la vuoi
tu fare questa carità d’amore?

La donna apparirà sul limitare, col volto coperto dall’ammantatura nera, si toglierà dal capo lo staio di legno, senza dir parola, e lo poserà a terra; di sopra vi toglierà il pannolino, cercherà dentro, prenderà un utello pien d’olio e lo porgerà a Mila di Codra.

A
h benedetta, benedetta! Dio
ti rimeriterà in terra e in cielo.
Tu l’hai, tu l’hai! Vestita a lutto sei;
ma la Madonna ti concederà
di riveder la faccia del tuo morto
per questa carità che tu mi fai.

Ella prenderà l’utello e si volgerà con ansia per correre alla làmpana moribonda.

Ah, perdizione sopra me! S’è spenta.

L’utello le sfuggirà dalle mani e si spezzerà sul suolo. Ella rimarrà immobile per alcuni attimi, stretta dall’orrore dei presagi. La donna ammantata si chinerà con un atto rapido e tacito verso l’olio sparso, toccandolo con le dita della destra e poi segnandosi.


SCENA QUARTA

Mila guarderà la donna con una tristezza composta, e la rassegnazione disperata farà sorda e tarda la sua voce.

Mila
P
erdóno, passeggiera di Cristo.
La tua carità non mi valse.
L’olio è sparso, e rotto l’utello.
La mala ventura è su me.
Dimmi che vuoi. Queste cose
le ha lavorate il pastore.
Una conocchia nuova col fuso
vuoi? Vuoi mortaio e pestello?
Dimmi tu, ché io nulla so.
Ormai son nel mondo di giù.
L’ammantata
con la voce tremante Figlia di Iorio, venni per te,
e ti portai questa còscina,
per dimandarti una grazia.
Mila
Ah voce di cielo, nel mezzo
dell’anima mia, sempre udita!
L’ammantata
Per te venni dall’Acquanova.
Mila
Ornella! Ornella tu sei!

Ornella si scoprirà la faccia.

Ornella
Sono la sorella di Aligi,
sono la figliuola di Lazaro.
Mila
T
i bacio i tuoi piedi umilmente,
che ti portarono a me
perch’io rivedessi il tuo viso
nell’ora dell’ambascia mortale.
Tu alla pietà fosti la prima
ed ora sei l’ultima, Ornella!
Ornella
S
e la prima fui, penitenza
grande n’ho fatta. Te lo dico
in verità, Mila di Codra.
E la penitenza mi dura.
Mila
T
i trema la voce tua dolce.
Nella piaga il coltello che trema
fa più strazio, ah quanto più strazio!
E tu non lo sai, giovanetta.
Ornella
Sapessi quale ho io dolore!
Sapessi quanto male rendesti
per quel poco di bene ch’io feci!
Dalla casa mia desolata
venni, dove si piange e perisce.
Mila
Perché vestita sei a lutto?
Chi ti morì? Tu non rispondi.
Forse... forse... la cognata tua?
Ornella
Ah quella vorresti tu morta!
Mila
No, no. Dio mi vede. Ho temuto,
ho avuto spavento di dentro.
Dimmi, dimmi:Chi dunque? Rispondi,
per Dio e per l’anima tua!
Ornella
N
essuno ancor ci morì,
ma tutti il lutto si fa
del caro che andarsene volle
in ruina del capo suo.
Però se vedessi tu quella,
se tu la mia madre vedessi,
tremito ti prende. Per noi
venne la state nera, venne
l’autunno amaro intoscato,
ché più tristo l’anno bissesto
non poteva a noi essere. Pure,
quand’io chiusi la porta a salvarti,
in ruina del capo mio,
tu non parevi già dispietata,
tu che ci pregavi pietà.
E tu mi dimandasti il mio nome
per volermi in lode nomare!
E al mio nome è fatta vergogna
mane e sera nella mia casa,
e vituperata e cacciata
io sono in disparte, ché ognuno
grida:“Eccola dunque colei
che mise la spranga alla porta
perché dentro restasse il malanno
appiattato nel focolare„.
E più non posso. E dico:“Piuttosto
cavate le vostre coltella
e a pezzi stracciatemi„. Questa
è la mercé, Mila di Codra.
Mila
È giusto, è giusto che tu
mi percuota, è giusto che tu
m’abbeveri in questa amarezza,
con questo patimento accompagni
la mia colpa nel mondo di giù.
Forse per me il sasso e la stipa
e la paglia e il legno insensato
parleranno, e l’Angelo muto
che al fratel tuo è vivo in quel ceppo
e la Vergine senza il suo lume
parleranno; e non io parlerò.
Ornella
C
reatura, ora sembra che a te
l’anima tua sia vestimento
e ch’io possa toccarla stendendo
verso te la mia mano di fede.
Or come tu sai tanto male
gettare alla gente di Dio?
Se Vienda nostra vedessi,
tremi tutta. Fra poco la pelle
le si schianta su l’ossa per l’arido,
e le sue gengive più bianche
son che i denti nella sua bocca.
E, come cadeva la prima
pioggia, sabato, mamma ci disse
piangendo:“Ecco, ecco, ora sen va,
nella frescura si piega e si disfa„.
Ma non piange il mio padre:il suo fiele
ei mastica senza far motto.
Gli s’invelenì la ferita.
La resipola trista lo colse
San Cesidio e San Rocco ci guardi!
e nell’enfiagione la bocca
gli lasciò per dì e notte latrare.
Tutto un fuoco scuro eragli il capo.
E incanito le grandi biasteme
ei facea, da scuoter la casa:
e noi sbigottivamo... Tu batti
i denti, creatura. Hai la febbre,
che così ti ricorre riprezzo?
Mila
S
empre, a calata di sole,
m’entra addosso il freddo; ché usa
non sono alla sera dei monti.
A quest’ora s’accendono i fuochi.
Ma parla, parla senza pietà.
Ornella
I
eri da un motto compresi
ch’ei s’era messo in pensiero
di salire quassù allo stazzo.
Tornar non lo vidi iersera,
e il sangue mi si fermò.
Allora apprestai questa còscina.
M’aiutarono le mie sorelle;
ché tre siamo, nate di madre,
tutte e tre segnate al dolore.
E stanotte lasciai l’Acquanova,
passai il fiume alla scafa
e la montagna pigliai...
Ah, creatura di Cristo,
a questa pena non reggo.
Che posso io fare per te?
Or tu tremi più malamente
che quando eri presso il camino
e i mietitori incanivano.
Mila
E tu l’hai scontrato? Tu sai
che venuto egli è allo stazzo?
Sei certa, Ornella, sei certa?
Ornella
N
on l’ho più veduto. Né so
s’egli siasi partito per monte.
So che anco aveva faccenda
al Gionco. E forse non viene.
Non isbigottire! Ma sentimi,
sentimi. Per l’anima tua
salvare, Mila di Codra,
abbi pentimento e rimuovi
questo malificio da noi.
Ridónaci Aligi:e con Dio vatti,
che abbia misericordia di te!
Mila
S
orella d’Aligi, contenta
sempre sono a te d’ubbidire.
È giusto che tu mi percuota,
me femmina malvagia, me figlia
di mago, svergognata sortiera,
che per carità supplicai
alla viatrice di Cristo
che un poco d’olio mi desse
da nutrire una làmpana santa!
Forse dietro a me l’Angelo piange
un’altra volta; e forse le pietre
per me parleranno, ma io
non parlerò. Soltanto, pel nome
di sorella, ti dico se il vero
non dico, in questo punto sobbalzi
dalla fossa la madre mia cara
e pe’ capegli prendami e in nera
terra mi sbatta e testimonio
faccia contro la figlia bugiarda
soltanto ti dico:Io son senza
peccato inverso il fratel tuo.
Te lo dico:Innanzi al giaciglio
del fratel tuo, sono monda.
Ornella
Dio possente, miracolo fai!
Mila
E questo è l’amore di Mila,
questo è l’amor mio, giovanetta.
Altra cosa non parlerò.
Contenta sono a te d’ubbidire.
Sa le sue vie la figlia di Iorio;
e incamminata già s’era
l’anima sua, prima che tu
venissi a chiamarla, o innocente.
E non diffidare, sorella
d’Aligi, che non hai d’onde.
Ornella
F
ede ho più ferma che pietra.
Tra ciglio e ciglio t’ho vista
la verità. E il resto è caligine.
E io poverella mi sperdo.
Per ciò ti bacerò i tuoi piedi
che sanno le vie, umilmente.
T’accompagnerò nel viaggio
col mio compianto nascosto;
pregherò che ti sieno contati
tutti i tuoi passi e ti sia
rallentato il dolore ad ognuno.
E la pena che abbiamo patita
non più la metterò sopra te.
Non giudicherò la sciagura.
Non giudicherò l’amor tuo.
Poiché tu inverso fratelmo
sei senza peccato, in cuor mio
ti chiamerò la mia suora,
la mia suora sbandita; e vederti
vo’ talvolta ne’ sogni dell’alba.
Mila
A
h, coricata già fossi
su la terra nera con chiusi
già gli occhi, e fossero queste
le ultime parole da me
udite in promessa di pace!
Ornella
P
er la vita tua ho parlato.
E t’ho recato il consólo,
che almeno nel primo cammino
non ti manchi un po’ di viatico.
Per te apprestai questa còscina
col mangiare e col bere ora l’olio
è versato!; ma un fiore non misi,
perdonami, ché non sapevo...
Mila
U
n fiore turchino, l’acònito,
messo non me l’hai nella còscina:
e messo non m’hai né il lenzuolo
tagliato nella tela tessuta
in quel tuo telaio che vidi
tra il focolare e la porta!
Ornella
Mila, aspetta l’ora da Cristo.
Dov’è il fratello? Allo stazzo
non era, dianzi. Dov’è?
Mila
Tornerà, certo, prima di notte.
Bisogna ch’io m’affretti, bisogna.
Ornella
N
on vuoi tu rivederlo? parlargli?
Dove andrai tu di notte? Rimanti
e anch’io mi rimarrò nel ricetto,
e dinanzi al dolore saremo
noi tre. Poi all’alba tu andrai
per la tua via, noi per la nostra.
Mila
S
on già lunghe le notti. Bisogna
ch’io m’affretti. Non sai.
Te lo dico:Da lui anche m’ebbi
il viatico, che non si può
dare due volte. Addio. Vagli incontro,
cercalo:ora è certo allo stazzo.
Trattienilo intanto; raccontagli
quel che si soffre laggiù.
E ch’ei non m’insegua! Ma in via
nascosta sarò. Benedetta,
sempre benedetta! Sii dolce
al suo dolore come al mio fosti.
Addio, Ornella, Ornella, Ornella!

Ella così parlando si ritrarrà di continuo verso l’ombra del fondo; mentre la giovanetta, soffocata dal singulto, si allontanerà fuggendo. Riapparirà sul limitare la vecchia dell’erbe. Ancor si udrà, ma sempre più fievole, il cantare dei pellegrini giù per il valico.


SCENA QUINTA

Anna Onna entrerà, arrancando, poggiata alla sua stampella, con la sua sacca di semplici penzoloni sul ventre.

Anna Onna, affannata.
L’ha liberato, donna del piano,
l’ha liberato! Di dentro
cacciato gli ha le dimonia
Cosma, all’ossesso. Egli è santo.
Ha dato un gran grido di toro
il giovine, e caduto è di colpo
come se scoppiato gli fosse
il suo petto. Udito non l’hai
fin qui? Ora dorme su l’erba,
ora dorme profondo; e i pastori
gli stanno d’intorno a guatarlo.
Vieni, vieni e lo vedi anche tu.
Ma dove sei, che poco ti scopro?
Mila
Anna Onna, fa dormir me!
Vecchia mia, ti do quella còscina
che piena è di mangiare e di bere...
Anna Onna
Chi era colei che fuggiva?
Trafugato t’ha il cuore del petto,
che tu la chiamavi così?
Mila
V
ecchia, ascolta. Ti do quella còscina
piena, ch’è posata là in terra,
se per farmi dormire mi dài
di quei semi neri che sai...
di ioscìamo... Poi va, mangia e bevi.
Anna Onna
Non ne ho, non ne ho più nella sacca.
Mila
P
er giunta la pelle di pecora
dove oggi hai dormito ti do
e tu di quelle coccole dammi
rosse che sai... bacche di nasso...
Poi va, satòllati e cionca.
Anna Onna
Non ne ho, non ne ho più nella sacca.
Adagio un po’, donna del piano,
adagio adagio, col tempo.
Pensaci un giorno un mese e un anno.
Mila
V
ecchia mia, e per giunta ti do
un fazzoletto a saltèro
e di pannolano tre braccia,
se mi dài di quelle radici
che vendi ai pastori, di quelle
che ammazzano sùbito i lupi...
le barbe dell’erba lupària...
Poi va, e raccónciati l’ossa.
Anna Onna
Non ne ho, non ne ho più nella sacca.
Adagio un po’, donna del piano.
Col tempo c’è sempre guadagno.
Pensaci un giorno un mese e un anno.
Con l’erbe di Madre Montagna
si guarisce ogni male e malanno.
Mila
Tu non vuoi? Bene, io te la strappo
la tua sacca e dentro la frugo
e quel che mi giova mi prendo.

Tenterà di strappare la sacca alla vecchia barcollante.

Anna Onna
No, no. Tu mi rubi, a me vecchia,
mi fai forza! A me caverà gli occhi
il pecoraio, a pezzi mi straccia...

S’udrà un passo e apparirà l’ombra d’un uomo al limitare della spelonca.

Ah, sei tu, Aligi? sei tu?
Guarda la forsennata che fa!


SCENA SESTA

Mila di Codra lascerà cadere la sacca strappata alla vecchia; e guarderà l’uomo sopraggiunto, alto nel campo del chiarore. Ma, riconoscendolo, gitterà un grido e si rifugerà nell’ombra del fondo. Allora Lazaro di Roio entrerà, in silenzio, portando una corda avvolta al braccio, come un bifolco che abbia sciolto il bue. Si udrà sonare sul sasso la stampella frettolosa di Anna Onna andata in salvo.

Lazaro di Roio
F
emmina, non avere paura.
Lazzaro di Roio è venuto
ma senza portare la falce;
ché a pena di talione
obbligarti non vuole. Cavato
più che un’oncia di sangue gli fu
sul campo di Mispa; e tu sai
la cagion della sciarra e la fine.
Che tu gli renda oncia per oncia
non vuole, se bene gli brucia
la cicatrice nel capo.
P
enna nera e fronda d’ulivo,
olio forte e filiggine di camino,
mane e sera, sera e mane
per la resipola cane!

Riderà d’un riso breve e crudo.

E, dov’era colcato, sentiva
piangere e lagnare le donne
non per lui ma sì pel pastore
magato da una magalda
su la montagna distante.
Certo, femmina, male scegliesti.
Ma s’è rifatto il mio sangue,
e troppe altre parole non dico,
ché la lingua risecca m’è già;
ed è sempre l’istessa cagione.
Or tu verrai meco senz’altre
parole, figlia di Iorio.
Ho quaggiù l’asina e il basto
e anco una corda di canapa
e una di sparto, Dio grazia.

Mila resterà immobile, addossata alla roccia, senza rispondere.

H
ai tu inteso, Mila di Codra?
O mutola e sorda sei fatta?
Or io te lo dico con pace:
Ben so come fu quella volta
dei mietitori di Norca.
Se pensi di star contro me
su l’istesse difese, t’inganni.
Qui non v’è focolare, né v’è
parentado; né Santo Giovanni
suona la campana a salute.
Io muovo tre passi e ti prendo.
E due buoni compari ho con meco.
Per ciò, te lo dico con pace,
t’è meglio farti grado di quello
a che la necistà ti costringe.
Mila
C
he vuoi tu da me? Sopraggiunto
sei quando la morte era là,
che s’è tratta da parte a lasciarti
entrare, e rimasta è pur là.
Raccatta quella sacca. V’è dentro
ràdica da ammazzar dieci lupi.
E tu légamela alla mascella
tu stesso, ché io di buona bocca
dentro vi mangerò - tu vedrai:come

la giumenta che trita

la sua biada. Poi anche me
raccattami fredda e sul basto
mettimi traverso legata
con le tue corde e mandami giù
con l’asina innanzi al balivo
dicendo:“Ecco la svergognata
sortiera!„ E m’ardano il corpo,
e vengan le tue donne a guardare
e si rallegrino. Forse
una caccerà la sua mano
nelle fiamme senza bruciarsi,
per trarne fuora il mio cuore.

Lazaro, alla prima incitazione, avrà raccattata la sacca dei semplici e scrutata. La gitterà dietro a sé con diffidenza e dispregio.

Lazaro
A
h, ah, tu mi vuoi tendere un laccio.
Chi sa a che agguato mi tiri.
Nella voce ti sento l’insidia.
Ma io ti prenderò nel mio cappio.
Egli farà un cappio alla sua corda.
Né morta né fredda ti vuole
Lazaro, per la Dio grazia!
Mila di Codra, vendemmia
vuol fare con te, quest’ottobre.
Acconciate già son le sue tina.
L’uva vuol pigiare con te
Lazaro e azzuffarsi col mosto. Si avanzerà verso la donna ridendo bieco. Mila si terrà pronta a sfuggirgli. L’uomo la incalzerà. Ella balzerà di qua e di là, ma senza scampo.
Mila
Non mi toccare! Abbi vergogna.
Il tuo figlio è dietro di te.


SCENA SETTIMA

Aligi apparirà sul limitare. Scorgendo il padre, perderà ogni colore di vita. Lazaro s’arresterà per volgersi a lui. Il padre e il figlio si guarderanno fisamente.

Lazaro
Che c’è egli, Aligi? Che è?
Aligi
Padre, come siete venuto?
Lazaro
S
ucchiato ti fu il sangue, che sei
sbiancato così? Te ne coli
come il siero dalla fiscella,
pecoraio, per lo spavento.
Aligi
Padre, che volete voi fare?
Lazaro
Che voglio io fare? Dimanda
rivolgere a me, non t’è lecito.
Ma ti dirò che prendere voglio
la pecora cordesca nel cappio
e trarla dove più mi talenta.
Poi giudicherò del pastore.
Aligi
Padre, non farete voi questo.
Lazaro
C
ome ardimento hai di levare
il viso inverso me? Tu bada
ch’io non te l’arrossi di sùbito.
Va e torna allo stazzo, e rimanti
con la tua mandra dentro la rete
finché io non venga a cercarti.
Per la vita tua, obbedisci.
Aligi
P
adre, tolga il Signore da me
ch’io non vi faccia obbedienza.
E voi giudicare potete
del figliuol vostro; ma questa
creatura lasciate in disparte,
lasciatela piangere sola.
Non l’offendete. È peccato.
Lazaro
A
h mentecatto di Dio!
Di quale santa tu parli?
Non vedi ti cascassero gli occhi
non vedi che costei ha di sotto
le sue pàlpebre, intorno il suo collo
i sette peccati mortali?
Certo, se la vedono i tuoi
montoni, la cozzano. E tu
hai temenza ch’io non l’offenda!
io ti dico che la carrareccia
della strada maestra assai meno
delle costei vergogne è battuta..
Aligi
Se non mi fosse a Dio peccato,
se all’uomo non mi fosse misfatto,
padre, io vi direi che di questo
per la strozza avete mentito.

Farà alcuni passi obliqui e si frapporrà fra il padre e la donna, coprendo lei della sua persona.

Lazaro
Che dici? Ti si secchi la lingua!
Mettiti in ginocchio e domanda
perdóno con la faccia per terra,
e non t’ardire più di levarti
innanzi a me, ma carpone
vattene e statti coi cani.
Aligi
Il Signore sia giudice, padre;
ma questa creatura alla vostra
ira non posso lasciare,
se vivo. Il Signore sia giudice.
Lazaro
Io ti son giudice. Chi
sono io a te, pel tuo sangue?
Aligi
Voi siete il mio padre a me caro.
Lazaro
I
o sono il tuo padre; e di te
far posso quel che m’aggrada,
perché tu mi sei come il bue
della mia stalla, come il badile
e la vanga. E s’io pur ti voglia
passar sopra con l’erpice, il dosso
diromperti, be’, questo è ben fatto.
E se mi bisogni al coltello
un manico ed io me lo faccia
del tuo stinco, be’, questo è ben fatto;
perché io son padre e tu figlio,
intendi? E a me data è su te
ogni potestà, fin dai tempi
dei tempi, sopra tutte le leggi.
E come io fui del mio padre,
tu sei di me, financo sotterra.
Intendi? E se del cervello
questo ti cadde, io tel riduco
in memoria. Inginòcchiati, e bacia
la terra, ed esci carpone,
e va senza volgerti indietro!
Aligi
Passatemi sopra con l’erpice
ma non toccate la donna.

Lazaro gli s’accosterà, senza più contenere il furore; e, levando la corda, lo percoterà su la spalla.

Lazaro
Giù, giù, cane, mettiti a terra!

Aligi cadrà su i ginocchi.

Aligi
E
cco, padre mio, m’inginocchio
dinanzi a voi, bacio la terra.
E al nome di Dio vivo e vero,
pel mio primo pianto di quando
vi nacqui, di quando prendeste
me non ancóra fasciato
nelle vostre mani e m’alzaste
verso il Santo Volto di Cristo,
io vi prego, vi prego, mio padre:
Non calpestate così
il cuore del figlio dolente,
non gli fate quest’onta! Vi prego:
Non gli togliete il suo lume,
non lo date alla branca del falso
nemico che gira d’intorno!
Vi prego, per l’Angelo muto
che vede e che ode nel ceppo!
Lazaro
Va, va, esci fuori, esci fuori
e dopo ti giudicherò.
Esci fuori, ti dico. Esci fuori.

Crudelmente egli lo percoterà con la corda. Aligi si solleverà tutto tremante.

Aligi
I
l Signore sia giudice, e giudichi
fra voi e me, e vegga, e mi faccia
ragione; ma io sopra voi
non metterò la mia mano.
Lazaro
Maledetto! T’appicco il capestro...

Gli getterà il cappio per prendergli il capo; ma Aligi schiverà la presa afferrando la corda e togliendola al padre con una stratta improvvisa.

Aligi
Cristo Signore, aiutami tu,
ch’io non gli metta addosso la mano,
ch’io non faccia questo al mio padre!

Furente, Lazaro correrà al limitare chiamando.

Lazaro
O Ienne, o tu, Femo, venite,
venite a vedere costui
quel che fa lo freddasse una serpe!.
Portate le corde. Invasato
è per certo. Minaccia il suo padre!

Accorreranno due bifolchi membruti, portando le corde.

M
i s’è ribellato costui!
Maledetto fu sin nel ventre
e per tutti i suoi giorni e di là.
Lo spirito malo gli è entrato.
Guardatelo, senza più sangue
la faccia. O Ienne, tu prendilo.
O Femo, hai la corda, tu legalo.
Legatelo e gettatelo fuori
ché io non mi voglio macchiare.
E correte a chiamare qualcuno
che l’escongiurazione gli porti.

I due bifolchi si getteranno su Aligi per sopraffarlo.

Aligi
F
ratelli in Dio, non fatemi questo!
Non ti perdere l’anima tua,
Ienne. Ti riconosco. Di te
mi rammento, quand’ero bambino,
che venni a raccoglier l’olive
nel tuo campo, Ienne dell’Eta.
Mi rammento. Non farmi quest’onta,
non vituperarmi così!

I bifolchi lo terranno serrato e cercheranno di legarlo, trascinandolo, mentre egli si divincolerà.

Ah, cane! Di peste perissi!
No, no, no! Mila, Mila, corri,
prendimi là un ferro. Mila! Mila! Si udrà ancóra la sua voce rauca e disperata, mentre Lazaro chiuderà a Mila lo scampo.
Mila
A
ligi, Aligi, Dio ti vaglia!
Dio ti vendichi! Non disperare.
Forza non ho, forza non hai.
Ma, finché m’è in bocca il mio fiato,
sono di te, sono per te!
Abbi fede. L’aiuto verrà.
Fa cuore, Aligi. Dio ti vaglia!


SCENA OTTAVA

Mila starà con gli occhi fissi a quella parte, con l’orecchio teso per cogliere le voci. Nella breve tregua, Lazaro scruterà la caverna insidiosamente. Si udrà in lontananza il cantare di un’altra compagnia trapassante pel valico.

Lazaro
F
emmina, or hai tu veduto
che il padrone son io. Do la legge.
Rimasta sei sola con me.
Si comincia a far sera; e qui dentro
è già quasi notte. Paura
non avere, Mila di Codra,
né di questa mia cicatrice
se accesa la vedi, che ancóra
mi ci sento batter la febbre...
Accòstati. Consunta mi sembri.
Nel giaccio del pecoraio
non avesti per certo la grassa
pasciona. Da me tu potresti
averla, se tu la volessi,
alla pianura; ché Lazaro
di Roio è capoccio fornito...
Ma che guati per là? che aspetti?
Mila
Nulla aspetto. Non viene nessuno.

Vigilerà, nella speranza di vedere apparire Ornella per salvazione. Dissimulando e temporeggiando, tenterà d’ingannare l’uomo.

Lazaro
Sei sola con me. Non avere
paura. Ti sei persuasa?
Mila
lentamente Ci penso, Lazaro di Roio,
ci penso, a quel che prometti...
Ci penso. Ma chi m’assicura?
Lazaro
Non ti scostare. Mantengo
quel che prometto, ti dico,
se Dio mi dà bene. Vien qua.
Mila
E Candia della Leonessa?
Lazaro
Metta amara saliva e con quella
bagni il filo di canapa e torca.
Mila
E tre figlie tu hai nella casa,
e la nuora. Non mi confido.
Lazaro
Vien qua. Non ti scostare. Qua, senti:
ho vénti ducati cuciti
dentro la pelle. Li vuoi?

Palperà l’orlo della sua casacca di pelle di capra. Poi se la toglierà di dosso e la getterà per terra, ai piedi della donna.

Tieni! Non li senti che suonano?
Sono vénti ducati d’argento.
Mila
Vo’ prima vedere; vo’ prima
contare, Lazaro di Roio.
Ora prendo le forbici e sdrucio.
Lazaro
Ma che guati? Ah, magalda, tu certo
preparando mi vai qualche sorte
e tenermi a bada ti credi.

Egli l’assalirà per prenderla. La donna gli sfuggirà nell’ombra, andrà a rifugiarsi presso il ceppo di noce.

Mila
No! No! No! Lasciami! Lasciami!
Non mi toccare. Ecco, viene! Ecco, viene
la tua figlia... Ornella ora viene.

Ella si aggrapperà all’Angelo perdutamente, per resistere alla violenza.

No, no! Ornella, Ornella, aiuto!

D’improvviso, alla bocca della caverna, apparirà Aligi disciolto. Vedrà il viluppo nell’ombra. Si precipiterà contro il padre. Scorgerà nel ceppo rilucere l’asce ancóra infissa. La brandirà, cieco di orrore.

Aligi
Lasciala, per la vita tua!

Colpirà il padre a morte. Ornella, sopravvenuta, si chinerà a riconoscere nell’ombra il corpo stramazzato a piè dell’Angelo. Gitterà un gran grido.

Ornella
Ah! E io t’ho sciolto! E io t’ho sciolto!


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