< La figlia di Iorio
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Atto secondo


S
i vedrà un’aia grande; e al fondo una quercia venerabile per vecchiezza; e, dietro il tronco, la campagna limitata dai monti, solcata dalla fiumana. Si vedrà a manca la casa di Lazaro, la porta aperta, il portico ingombro di strumenti rurali; a dritta, il fienile il frantoio il pagliaio.


SCENA PRIMA

Il cadavere di Lazaro sarà steso sul nudo suolo, dentro la casa, poggiato il capo a un fascio di sermenti, secondo il costume. E le Lamentatrici gli staranno d’intorno inginocchiate. Di loro una intonerà, l’altre in coro voceranno; e per fare il lamento si chineranno l’una verso l’altra tenendo fronte con fronte. Sotto il portico, fra l’aratro e il tino, staranno le donne del parentado, e Splendore e Favetta. Più oltre, Vienda di Giave sarà seduta su una pietra, con l’aspetto di una morente, confortata dalla sua madre e dalla sua madrina. Sola Ornella sarà sotto l’albero, con lo sguardo rivolto verso il sentiero. Tutte in gramaglia.

Il coro delle lamentatrici
I
esu Cristo, Iesu Cristo,
l’hai possuto sofferire!
D’esta morte scellerata
dovìa Lazaro morire!
S’è veduto a vetta a vetta
tutto, ’l monte isbigottire.
S’è veduto in ciel lo sole
la sua faccia ricuoprire.
Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!
Ahi, che pianto si piange per te!
Requiem aeternam dona ei, Domine.
Ornella
O
ra viene! Ora viene! Si vede
lo stendardo nero, e la polvere.
Sorelle, sorelle, pensate
alla madre, che si prepari...
che il cuor non le scoppi... Fra poco
viene. Ecco, laggiù alla svolta,
lo stendardo nero apparito!
Splendore
Maria della Pietà, pel tuo Figlio
messo in croce, tu sola puoi dirlo
alla madre, e tu parlale dentro!

Alcune donne esciranno del portico a guardare.

Anna di Bova
È il cipresso del campo a Fiumorbo.
Felàvia Sèsara
È l’ombra del nuvolo in terra.
Ornella
Non è né il cipresso né l’ombra
del nuvolo, donne. Io lo vedo:
né il cipresso né il nuvolo, ahimè.
Lo stendardo è del Malificio,
che l’accompagna. Ora viene,
per il commiato di morte,
per aver dalla madre la tazza
del consólo e andarsene a Dio.
Ah perché non moriamo noi tutte
dietro a lui? Sorelle, sorelle!

Le sorelle si volgeranno alla porta e guateranno.

Il coro delle lamentatrici
I
esu Iesu, meglio era
ch’esto tetto si sfacesse.
Ahi che troppo è gran dolore,
Candia della Leonessa,
l’uomo tuo su nuda terra,
e guancial non gli è permesso!
Solo un fascio di sermenti
sotto il capo gli fu messo!
Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!
Ahi, che pena si pena per te!
Requiem aeternam dona ei, Domine.
Splendore
F
avetta, va tu; va e parla.
Va tu; e le tocca una spalla,
ch’ella senta e si volga. Seduta
su la pietra del focolare
sta, fisa; e ciglio non muove,
e par che non veda e non oda,
e pare sia tutta una pietra.
Vergine di misericordia,
non le togliere il senno, alla misera!
Fa che ci guardi e negli occhi
nostri si riconosca la misera!
Ma io cuore non ho di toccarla.
E chi le dirà la parola?
Sorella, va e dille: Ecco viene.
Favetta
N
é io non ho cuore. Ho spavento.
Non me la ricordo com’era,
e né mi ricordo la voce
com’era prima che fossimo
in doglia. Incanutita s’è tutta,
e ogni ora più bianco diventa
il suo capo. Mi pare che nostra
non sia più; mi pare distante
e che stia seduta su quella
pietra da cent’anni e per altri
cent’anni, e più non si ricordi
di noi... Vedete, vedete
come tien chiusa la bocca!
Più chiusa di quella ch’è fatta
muta per sempre là in terra.
Come dunque parlare potrà?
Io non la tocco, io non le dico:
Ecco viene. Se si scuote,
cade, stramazza. Ho spavento.
Splendore
Ah perché siamo nate, sorelle?
Perché ci partorì nostra madre?
Ci prendesse tutte in un fascio
la morte, ci portasse con sé!
Il coro delle parenti
- Ah che pietà, creature!
— Che pietà di voi, creature!
— Su, fate cuore, che Dio
vi rialzerà, se v’ha stronche.
— Dio vi dà la trista vendemmia
ma forse l’oliva sarà
meno scura. Abbiate fidanza.
— E c’è una che forse è più misera
di voi, c’è una che stava
nella sua casa, in mezzo al suo pane,
qui entrò, s’addormì, si svegliò
a sorte perversa, e non ebbe
più bene e si muore:Vienda.
— È già nel mondo di là.
— E quella non si lagna e non lacrima.
— Ah che pietà della carne
cristiana, della vita nostra,
di tutta la gente che nasce
dolora trapassa e non sa!
Ornella
E
cco viene Femo di Nerfa
il bifolco, viene correndo.
E lo stendardo s’è fermo
al Tabernacolo bianco.
Sorelle, volete ch’io stessa
vada e la parola le porti?
Ahimè, forse non si rammenta
quel che bisogna. Ma, Dio
liberi, se pronta non è
ed ei sopraggiunge e la chiama
e all’improvviso ella ode la voce,
allora certo il cuore le scoppia.
Anna di Bova
Ah che certo il cuore le scoppia,
Ornella, se tu vai e la tocchi.
Hai la mala ventura con te;
e tu fosti a chiuder la porta
e tu fosti a sciogliere Aligi.
Il coro delle lamentatrici
A
chi lo lasci l’aratro,
oh Lazaro, a chi lo lasci?
Chi ti vanga il campo tuo,
la tua mandra chi la pasce?
Padre e figlio l’Inimico
ha pigliato con un laccio.
Morte infame, morte infame,
corda e sacco e ferro d’asce!
Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!
Ahi, che scempio si pate per te!
Requiem aeternam dona ei, Domine.

Apparirà il bifolco ansante.

Femo di Nerfa
D
ov’è Candia? Figliuole del Morto,
il giudizio è fatto. Baciate
la polvere, prendete la cenere.
Il Giudice del Malificio
ha dato sentenzia finale,
e tutto il popolo è giustiziere
del parricida e l’ha nelle mani.
Ora il fratel vostro lo portano
qui, a pigliar perdonanza
dalla madre sua, che la madre
la tazza gli dia del consólo,
prima che la mano gli tàglino,
prima che nel sacco lo sèrrino
col can mastino e lo gèttino
al fiume in dove fa gorgo.
Figliuole del Morto, baciate
la polvere, prendete la cenere.
E Nostro Signore Gesù
abbia pietà del sangue innocente!

Le tre sorelle correranno l’una verso l’altra e si stringeranno insieme, capo con capo, restando nell’atto. Si udrà a quando a quando il rullo sordo del tamburo funereo.

Maria Cora
O Femo, e perché l’hai tu detto?
Femo di Nerfa
Dov’è Candia che non apparisce?
La Cinerella
Su la pietra del focolare,
è là:non fa segno né motto.
Anna di Bova
E nessuno si ardisce toccarla.
La Cinerella
Ne hanno spavento le figlie.
Felàvia Sèsara
E tu, Femo, hai testimoniato?
La Catalana
E Aligi l’avesti vicino?
E, innanzi al giudice, che disse?
Mònica della Cogna
Che disse? che fece? Urla mise
e diè nelle smanie il meschino?
Femo di Nerfa
S
empre ginocchione si stette
e si guardava la mano.
E diceva ogni tratto:“Mea culpa„.
E innanzi a sé baciava la terra.
E aveva un viso umile e pio
così che pareva innocente.
E l’Angelo intagliato nel ceppo
era là con la macchia di sangue.
E molti piangevano intorno.
E taluno diceva:“È innocente„.
Anna di Bova
E la mala femmina Mila
di Codra ritrovata non fu?
La Catalana
La figlia di Iorio dov’è?
Non se n’ha novella? Che sai?
Femo di Nerfa
Cercata per gli stazzi fu molto
ma nessuna traccia lasciò.
I pastori non l’hanno veduta.
Solo Cosma, il santo dei monti,
dice averla veduta e che in qualche
forra è andata a gittar l’ossa sue.
La Catalana
La tròvino i corvi ancor viva
e gli occhi le bécchino, i lupi
la tròvino viva e la stràccino!
Felàvia Sèsara
E sempre rinasca allo strazio
la carne sua maledetta!
Maria Cora
Taci, taci, Felàvia. Silenzio!
Silenzio! Candia s’è alzata,
cammina, ora viene alla soglia,
ora esce. Figliuole, figliuole,
s’è alzata. Reggetela voi.

Le sorelle si scioglieranno e andranno verso la porta.

Il coro delle lamentatrici
C
andia della Leonessa,
dove vai? Chi t’ha chiamata?
Sigillata è la tua bocca,
il tuo piede è catenato.
Lasci dietro a te la morte
e t’imbatti nel peccato!
Unque vai, unque ti volti,
il cammino è disperato.
Ahi, ahi, cenere misera, ahi vedova,
ahi madre! Iesu Iesu, pietà!
De profundis clamavi ad te, Domine.

La madre apparirà su la soglia.


SCENA SECONDA

Le figlie faranno l’atto di sostenerla trepidando. Ella le guarderà attonita.

Splendore
Madre cara, ti sei levata. Forse
ti bisogna qualcosa, un sorso almeno
di vin moscato, un po’ di cordiale?
Favetta
E screpolato t’è il labbro tuo caro
dalla secchezza. Vuoi che ti si bagni?
Ornella
Mamma, fa cuore. Siamo qui con te.
Alla prova più trista Iddio ti chiama.

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Candia della Leonessa
E d’una tela viense tanta trama
e d’una fonte viense tanto fiume
e d’una quercia viense tante rame
e d’una madre tante creature!
Ornella
Mamma, la fronte ti coce. Oggi è un tempo
che fa afa; e t’è grave questo panno.
Tutto in sudore t’è il tuo caro viso.
Maria Cora
Gesù Gesù, che non esca di senno!
La Cinerella
Vergine, che il farnetico le passi!
Candia
È tanto tempo che non ho cantato,
non so se la ritrovo l’aria mia.
Ma oggi è venardì e non si canta;
il Signore s’è messo in penitenza.
Splendore
O madre mia, dove sei con la mente?
Guardi e non ci conosci! Qual pensiero
ti trae? Misere noi, che è mai questo?
Candia
Questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,
e questo è il campanile di San Biagio,
e questo è il fiume e questa è la mia casa.
Ma chi è questa che sta su la porta?

Un terrore sùbito assalirà le giovanette. Si discosteranno alquanto a riguardare la madre, e gemeranno sommesse.

Ornella
Ah, sorelle, sorelle mie, perduta
l’abbiamo! Anche la madre nostra abbiamo
perduta! Escita è di senno, vedete.
Splendore
Sventura nostra! Maledette siamo
da Dio. Siamo rimaste sole in terra!
Favetta
O donne, buone parenti, scavateci
la fossa accanto a quell’altra, e metteteci
tutte e tre giù, così come siam vive.
Felàvia SÈSARA
No, non isbigottite, creature;
ché la percossa le ha riversa l’anima,
l’ha risospinta nel tempo di già.
Lasciatela che svaghi; e poi ritorna.

Candia farà qualche passo.

Ornella
Madre, mi senti? Dove vuoi andare?
Candia
Il core ho perso d’un dolce figliuolo,
or è trentatre giorni, e non lo trovo!
L’hai tu veduto, l’hai tu riscontrato?
— Io sul Monte Calvario l’ho lasciato,
i’ l’ho lasciato sul Monte distante,
l’ho lasciato con lacrime e con sangue.
Maria Cora
Ah, dice l’ore della Passione.
Felàvia Sèsara
Lasciatela, lasciatela che dica.
La Cinerella
Lasciatela, che il cuore le si scarichi.
Mònica della Cogna
O Madonna del Santo Venardì,
miserere di lei. Ora pro nobis.

Le donne del parentado s’inginocchieranno pregando.

Candia
Ecco e la Madre si mette in cammino,
viene alla vista del suo dolce figlio.
— O madre, madre, perché sei venuta?
Tra la gente giudea non v’è salute.
— Portato un braccio t’ho di pannolino
per ricuoprirti il tuo corpo ferito.
— Deh portato m’avessi un sorso d’acqua!
— Figlio, non so né strada né fontana;
ma, se la testa un poco puoi chinare,
una goccia di latte io ti vo’ dare;
e, se latte non esce, tanto spremo
che tutta la mia vita esce del seno.
— O madre, madre, parla piano piano...

Ella s’arresterà per qualche attimo nella cadenza; poi griderà d’improvviso, con una voce disperata.

Madre, madre, dormii settecent’anni,
settecent’anni; e vengo di lontano.
Non mi ricordo più della mia culla.

Colpita dal suo stesso grido, ella si guarderà intorno sgomenta, come risvegliandosi di soprassalto. Le figlie correranno a sostenerla. Le donne si leveranno. Si udrà più presso il rullo del tamburo allentato.

Ornella
Ah come trema, come trema tutta!
Ora vien meno. Più non regge l’anima.
Da due giorni è digiuna, e si svanisce.
Splendore
Mamma, chi parla in te? Chi senti tu
dentro parlarti, dentro le tue viscere?
Favetta
Dacci udienza, poni mente a noi,
guardaci in viso. Siamo qui con te.
Femo di Nerfa
dal fondo Donne, donne, è qui presso con la turba.
Lo stendardo ora passa la cisterna.
Portano anche l’Angelo coperto.

Le donne si aduneranno sotto la quercia a guatare verso il sentiero.

Ornella
a gran voce Madre, ora viene Aligi, viene Aligi
a pigliar perdonanza dal tuo cuore,
a bevere la tazza del consólo
dalle tue mani. Svégliati e sta forte.
Maledetto non è. Col pentimento
il sacro sangue sparso ei lo riscatta.
Candia
È vero, è vero. Con le foglie trite
fu ristagnato il sangue che colava.
“Figlio Aligi„ gli disse “figlio Aligi,
lascia la falce e prenditi la mazza;
fatti pastore e va su la montagna„.
E fu guardato il suo comandamento.
Splendore
Hai bene inteso? Il figlio Aligi arriva.
Candia
E alla montagna deve ritornare.
Come farò? Le sue camicie nuove
non ho finito di cucirgli, Ornella!
Ornella
Madre, andiamo. Fa questo passo. Vòlgiti.
Aspettarlo bisogna innanzi casa.
Donàmogli commiato, a lui che parte.
E poi ci colcheremo tutte in pace,
a fianco a fianco, nel letto di giù.

Le figlie ricondurranno la madre sotto il portico.

Candia, tra sé mormorando
Io mi colcai e Cristo mi sognai.
Cristo mi disse:“Non aver paura„.
San Giovanni mi disse:“Sta sicuro„.
Il coro delle parenti
- Oh che turba di gente viene dietro
lo stendardo! Vien tutta la contrada.
— Iona di Midia porta lo stendardo.
— E che silenzio, come a processione!
— Ah che pietà! Sul capo il velo nero.
— Le ritorte di legno alle sue mani,
come pesanti, grosse come un giogo!
— E col càmice bigio e i piedi scalzi.
— Ah chi ci regge? Io metto faccia in terra
e chiudo gli occhi, e non voglio vedere.
— Lonardo della Roscia porta il sacco
di cuoio; Biagio Gudo, il can mastino.
— Mettetegli nel vino un po’ di ràdica
di solatro, che perda il sentimento.
— Cocetegli nel vino erba morella,
ch’esca della memoria e non s’accorga.
— Va, Maria Cora, che sai medicina,
aiuta Ornella a fare il beveraggio.
— Grande il misfatto ma grande il patire.
— Ah che pietà! Guarda la gente, come
è muta! Viene tutta la contrada.
— Han lasciato le vigne in abbandono.
— Oggi uva non si coglie. Anco la terra
è a lutto. Chi non piange? Chi non piange?
— Guarda Vienda. Pare in agonia.
— Meglio per lei, che ha perso conoscenza.
— Meglio per lei, se non ode e non vede.
— Ahi, che destino amaro! Or è tre mesi
che venimmo portando le canestre.
— E il male che verrà, chi lo misura?
— Non vi saranno lacrime per piangere.
Femo di Nerfa
Silenzio, donne! Silenzio! Ecco Iona.

Le donne si ritrarranno verso il portico. Si farà gran silenzio.

La voce di Iona
O vedova di Lazaro di Roio
o gente della casa sciagurata,
all’erta, all’erta! Viene il penitente.


SCENA TERZA

Apparirà l’alta statura di Iona con lo stendardo funereo. Dietro di lui verrà il parricida vestito d’un càmice, col capo coperto d’un velo nero, con ambe le mani strette da pesati ritorte di legno. Un uomo gli starà da presso tenendo la mazza pastorale istoriata; un altro avrà la scure; altri porteranno l’Angelo avvolto in un drappo e lo poseranno a terra. La turba si accalcherà nello spazio, tra l’albero e il pagliaio. Le lamentatrici, trascinatesi carponi alla soglia della casa, leveranno il grido verso il morituro.

Il coro delle lamentatrici
F
iglio Aligi, figlio Aligi,
che hai fatto? che hai fatto?
Chi è questo insanguinato?
chi l’ha corco sopra il sasso?
È venuta l’ora tua.
Nero il vino del trapasso!
Mano mozza, morte infame,
mano mozza, corda e sacco!
Ahi, ahi! Figlio di Lazaro, Lazaro
è morto, ahi ahi, ucciso da te!
Libera, Domine, animam servi tui.
Iona di Midia
T
rist’a te, Candia della Leonessa.
O Vienda di Giave, trist’a te.
Trist’a voi, figlie del Morto, parenti.
Il Signore abbia pietà di voi, donne.
Nelle mani del popolo rimesso
è Aligi di Lazaro dal Giudice
del Malificio, perché vendicata
sia per le nostre mani questa infamia
caduta sopra a noi, che d’una eguale
i vecchi nostri non hanno memoria
e così la memoria se ne perda,
per la Dio grazia, ne’ figli de’ figli.
Or t’abbiamo condotto il penitente
perché da te la tazza del consólo
riceva, Candia della Leonessa.
Escito egli è dalle viscere tue.
T’è conceduto alzargli il velo nero,
accostargli alla bocca il beveraggio,
ché molto amara sarà la sua morte.
Salvum fac populum tuum, Domine.
Kyrie eleison.
La turba
Christe eleison. Kyrie eleison.

Iona porrà una mano su la spalla di Aligi per sospingerlo. Il penitente velato farà un passo verso la madre; poi cadrà su i ginocchi, di schianto.

Aligi
L
audato Gesù e Maria!
Ma voi madre chiamare non più
m’è dato, non più benedire
m’è dato, ché la bocca è d’inferno,
quella che da voi succhiò il latte,
che da voi le sante orazioni
imparò nel timore di Dio,
e i comandamenti e la legge.
Perché tanto male v’ho reso?
Volontà di dire m’è dentro;
ma ratterrò la mia bocca.
O la più sventurata di tutte
le donne che hanno nutrito
il suo figlio, che gli hanno cantato
il sonno nella culla e nel grembo,
oh no, non alzate il mio velo,
che non vi comparisca dinanzi
la faccia del peccato tremendo.
Non alzate il velo mio nero.
Io non abbia da voi beveraggio;
perché poco è quello che soffro,
poco è quello che debbo patire.
Ma scacciatemi ora, con legni
e con pietre, scacciatemi via;
scacciatemi come il mastino
che all’agonia sarà mio compagno,
che mi morderà la mia gola
quando l’anima mia disperata
vi chiamerà mamma mamma
nel sangue del mio moncherino
maledetto entro il sacco d’infamia.
La turba, sommessamente.
— Oh povera, povera! Guarda
guarda:tutta bianca in due notti!
— Non piange. Pianger non può.
— Escita sembra di senno.
— Non si move. E come la statua
dell’Addolorata. Oh pietà!
— Abbine pietà, buono Iddio!
Santa Vergine, misericordia!
— Miserere di lei, Iesu Cristo!
Aligi
E
voi, creature, non più
m’è dato chiamare sorelle,
né più nominare m’è dato
i nomi che il battesmo v’impose,
che m’eran le mie foglie di menta
in bocca, le mie foglie odorose,
che mi davan freschezza e piacenza
fino al cuore nel mio pasturare;
e me li sento qui a sommo
e poterli dire vorrei,
e non vorrei sorso d’altro
consólo pel mio trapassare.
Ma non più nominarvi m’è dato.
E s’appassiranno i bei nomi;
e non li canterà l’amor vostro
sotto la finestra al sereno;
ché nessuno vorrà le sorelle
di Aligi. E ora il miele è veleno!
Scacciatemi via come cane,
anche voi scacciatemi via,
battetemi, scagliatemi sassi.
Ma, prima di scacciarmi, soffrite
ch’io vi lasci a voi sconsolate
le due cose ch’io sole posseggo,
che questa gente cristiana
vi porta:la mazza di sànguine
dov’io feci le tre verginelle
a simiglianza di voi
per avervi compagne su l’erba;
la mazza, e l’Angelo muto
ch’io lavorai col mio cuore,
ahimè, dov’è la macchia tremenda.
E la macchia scomparirà
un giorno, e l’Angelo muto
parlerà un giorno. E vedrete
e udrete. Io patire patire
voglio per questo, e il patire
m’è poco al mio pentimento.
La turba
- Oh povere, povere! Guarda,
guarda come sono disfatte!
Anch’elle non piangono più.
Non hanno più lacrime. Secche
sono, bruciate fin dentro.
— La morte le falcia e le lascia
per terra, che càmpino ancóra!
— Le taglia ma non se le porta.
— Abbine pietà, buono Iddio!
— Sono creature innocenti.
— Miserere, Gesù, miserere!
Aligi
E
tu, che sei vergine e vedova,
tu che nell’arche tue del corredo
portasti vestimenta di lutto,
pettine di rovi, collana
di spine, lenzuola tessute
di triboli, tu che piangesti
la prima notte e poi sempre,
tu hai nel Paradiso le nozze
tue nuove. Gesù ti fa sposa,
Maria ti consola per sempre.
La turba
- Oh povera! Quella non giunge
a sera; è al suo ultimo fiato.
È tutta capelli:non ha
più carne:è tutta in quell’oro.
— Ma s’è scolorito il suo oro.
— È come una ròcca di canapa.
— Come l’erba del Giovedì Santo.
— O Vienda, vergine e vedova,
il Paradiso hai per certo.
— E s’ella non l’ha, chi l’avrà?
— Nostra Donna, portala in cielo!
— Mettila tra gli Angeli bianchi!
— Mettila tra le Màrtiri d’oro!
Iona di Midia
A
ligi, hai detto il tuo dire.
Su, lèvati e andiamo ch’è tardi.
Fra poco il sole si colca.
E l’avemaria tu non devi
udire, né vedere la stella.
O Candia della Leonessa,
se pietà vuoi avere, se dargli
vuoi la tazza, non t’indugiare.
La madre tu sei. T’è concesso.
La turba
- Candia, Candia, alzagli il velo!
— Candia, dàgli la tazza, ch’ei beva!
— Dàgli il beveraggio, ch’egli abbia
cuore al supplizio. Su, Candia!
— Abbi pietà pel tuo figlio!
— Tu sola puoi. T’è concesso.
— Miserere di lui! Miserere!

Ornella presenterà alla madre la ciotola del vino misturato. Favetta e Splendore inciteranno la misera sospingendola. Aligi si trascinerà su i ginocchi verso la porta della casa, e alzerà la voce invocando il defunto.

Aligi
P
adre, padre, padre mio Lazaro
odimi. Tu il fiume passasti
con la bara, ed era pesante
più d’un carro di buoi la tua bara,
e fu gettata la pietra
nella corrente, e passasti.
Padre, padre, padre mio Lazaro,
odimi. Ora io me ne vado
al fiume e non passo. Io vado
a cercar quella pietra nel fondo
e dopo io ti vengo a trovare;
e tu mi vieni sopra con l’erpice,
per l’eternità mi dirompi,
per l’eternità mi dilàceri.
Padre mio, fra poco son teco.

La madre camminerà verso di lui, nell’orrore. Si chinerà, solleverà il velo, con la sinistra mano premerà al seno la guancia del figlio, con la destra prenderà la tazza recatale da Ornella, l’accosterà alle labbra del morituro. Si udrà un vocìo confuso della gente più discosta, giù pel sentiere.

Iona di Midia
Suscipe, Domine, servum tuum.
Kyrie eleison.
La turba
Christe eleison. Kyrie eleison.
Miserere, Deus, miserere.
— Vedete, vedete che viso!
— Questo in terra si vede, Gesù!
— O Passione di Cristo!
— E chi è che grida? perché?
— Silenzio! Silenzio! Chi chiama?
— La figlia di Iorio! La figlia
di Iorio! Mila di Codra!
— Buono Iddio, miracolo fai!
— È la figlia di Iorio, che viene.
— Risuscitata l’hai, buono Iddio?
— Largo! Largo! Lasciate passare!
— Maledetta cagna, sei viva?
— Ah strega d’inferno, sei tu?
— Magalda! Bagascia! Carogna!
— Fate luogo! Lasciatela! Passa,
passa, femmina. Su, fate luogo!
— Lasciatela, al nome di Dio!


SCENA QUARTA

Aligi sorgerà in piedi, con la faccia scoperta, guatando verso il clamore; e la madre e le sorelle saranno presso a lui. Fendendo la turba apparirà Mila di Codra impetuosamente.

Mila di Codra
M
adre d’Aligi, sorelle
d’Aligi, sposa, parenti,
stendardiero del Malificio,
popolo giusto, giustizia
di Dio, sono Mila di Codra.
Mi confesso. Datemi ascolto.
Il santo dei monti m’invia.
Son discesa dai monti, venuta
sono a confessarmi in conspetto
di tutti. Datemi ascolto.
Iona di Midia
S
ilenzio, silenzio! Lasciate
che parli, al nome di Dio.
Confèssati, Mila di Codra.
Il popolo giusto ti giudica.
Mila
Aligi figliuolo di Lazaro
è innocente. Commesso non ha
parricidio. Ma sì, il suo padre
ucciso da me fu con l’asce.
Aligi
Mila, innanzi a Dio tu ne menti.
Iona
Egli è confesso. Hai mentito.
Egli è reo ma rea tu con lui.
La turba
- Alle fiamme! Alle fiamme! Su, Iona,
dàccela, che noi la bruciamo.
— Alla catasta la maga!
— Alla stessa ora periscano!
— No, no! Io lo dissi:È innocente.
— È confesso! È confesso! La femmina
l’istigò ma egli diè il colpo.
— Tutt’e due sono rei. Alle fiamme!
Mila
Gente di Dio, datemi ascolto;
e poi fate scempio di me.
Sono pronta, venuta per questo.
Iona
Silenzio! Lasciate che parli.
Mila
Aligi figliuolo di Lazaro
è innocente. Ma egli non sa.
Aligi
Mila, innanzi a Dio tu ne menti.
Ornella perdóno, se fui oso
nominarti, tu sei testimone
ch’ella inganna il popolo giusto.
Mila
E
gli non sa. Di quell’ora
non gli sovviene. È magato.
Io gli voltai la ragione.
Io gli voltai la memoria.
Son figlia di mago. Non v’è
sortilegio ch’io non conosca,
ch’io non operi. Se tra le donne
del parentado è quell’una
che mi fece accusa qui proprio,
la vigilia di Santo Giovanni,
quando entrai per la porta che è là,
venga innanzi e l’accusa ripeta.
La Catalana
Sono io quell’una. Son qui.
Mila
Fa testimonianza di me
per quelli che feci infermare,
per quelli che feci morire,
per quelli che tolsi di senno.
La Catalana
Giovanna Camètra. Lo so.
E il povero delle Marane,
e Afuso, e Tillùra. Lo so.
So che fai nocimento a chiunque.
Mila
A
vete udito, popolo giusto,
questa serva di Dio? Bene, è vero.
Mi confesso. Il santo dei monti
m’ha toccata quest’anima trista.
Mi confesso e mi pento. Non voglio
che l’innocente perisca.
Voglio il castigo, e sia grande!
Per fare ruina, per rompere
vincoli distruggere gioie
prendere vite, in giorno di nozze
varcai quella soglia che è là,
del focolare mi feci
padrona e lo sconsacrai.
Il vino ospitale falsai,
non bevvi, adoprai per fattura.
Le sorti del padre e del figlio
torsi a odio, e posi a pressura
la gola della sposa novizia.
E per arte le lacrime care
di quelle giovanette sorelle
a mia difensione io le trassi.
Dite, donne del parentado,
dite, se sapete d’Iddio
quanta fu, quanta fu la nequizia!
Il coro delle parenti
- È vero, è vero. Sì, questo fece.
— Sguisciò dentro la cagna randagia
quando la Cinerella spargeva
su Vienda il suo pugno di grano.
— Di sùbito fece la sorte.
— E la mala febbre appiccò
di sùbito al giovine soro.
— E tutte noi contro gridammo
e fu vano gridare. Avea l’arte.
— È vero. Ora sì, dice il vero.
— Laudato Gesù che fa luce!

Aligi starà a capo chino, col mento in sul petto, sotto l’ombra del velo, intento all’orribile conturbazione dell’anima sua, già scorrendogli per le vene la virtù del beveraggio.

Aligi, scotendosi, con violenza
N
o, no, non è vero. T’inganna,
non la udire, popolo giusto;
questa creatura t’inganna.
Tutti e tutte le stavano contro,
e così le facean vitupèro.
E io vidi l’Angelo muto
dietro a lei. Con questi occhi mortali
che non debbon vedere la stella
di questo vespro, io lo vidi
che mi guardava e piangeva.
O Iona, miracolo fu
per mostrare ch’ell’era di Dio.
Mila
Oh povero Aligi pastore!
Oh giovine credulo e ignaro!
L’Angelo apostàtico era.

Tutti si segneranno, tranne Aligi constretto dalle ritorte e Ornella che discostata dal portico terrà gli occhi fissi alla vittima volontaria.

L’Angelo apostàtico apparve
perdonata da Dio non sarò
né da te perdonata giammai
apparve agli occhi tuoi per inganno.
Era l’Angelo iniquo, il fallace.
Maria Cora
Io lo dissi, lo dissi nel punto.
Al sacrilegio gridai.
La Cinerella
Anch’io lo dissi, gridai.
Quand’ella fu osa il Custode
nominare per sorte, gridai:
Ha biastemato, ha biastemato!
Mila
A
ligi, perdonata da te
non sarò, se pure da Dio!
Ma debbo scoprir la mia frode.
Ornella, né tu mi guardare
così come fai. Ch’io sia sola!
Aligi, quando venni allo stazzo,
quando tu mi trovasti seduta
su quella pietra, in silenzio
la tua perdizione compiei.
E tu lavorasti nel ceppo,
ah misero te, co’ tuoi ferri
l’effigie dell’Angelo malo.
È quello, coperto col panno:
lo sento. E io mane e sera
opravo con l’arte mia falsa.
Non ti sovviene di me? di tanto
amore ch’io t’ebbi, di tanta
umiltà che m’era negli atti,
nella voce, dinanzi al tuo viso?
Non ti sovviene che mai
ci contaminammo, che monda
presso il tuo giaciglio rimasi?
E come, come tu non pensasti,
tanta purità, tanta temenza
nella straniera malvagia
che i mietitori di Norca
avean svergonata al conspetto
della madre tua? Bene opravo,
bene opravo con l’arte mia falsa.
Non mi vedevi tu raccattare
intorno al tuo ceppo le schegge
e bruciarle dicendo parole?
Preparai l’ora di sangue,
che contra Lazaro antica
rancura, odio antico nudrivo.
Tu lasciasti l’asce nel ceppo.
Ora uditemi, gente di Dio.
Una grande potenza venuta
era in me sopra lui vincolato.
Quasi notte faceva nel luogo
maligno. Imbestiato il suo padre
presa m’avea pe’ capegli
e mi trascinava furente.
Ei sopraggiunse e su noi
si gettò per difendere me.
Rapidamente brandii
l’asce, nell’ombra; colpii,
forte colpii, sino a morte.
Sul colpo gridai:“L’hai ucciso!„
Al figlio gridai:“L’hai ucciso,
ucciso!„ Potenza era in me grande.
Parricida lo fece il mio grido
nell’anima sua ch’era schiava.
“L’ho ucciso!„ rispose; nel sangue
tramortì, più altro non seppe.

Candia con ambe le braccia, scossa da un fremito quasi di belva, afferrerà il figlio ridivenuto suo. Da lui si distaccherà, con violenza selvaggia si avanzerà verso la nemica. Ma le figlie la tratterranno.

Il coro delle parenti
- Lasciatela! Lasciala, Ornella!
Che il cuore le strappi, che il cuore
le mangi! Cuore per cuore!
— Lasciatela, che se la metta
sotto i piedi, che la calpesti,
che col calcagno le schiacci
tempia e tempia, i denti le sgrani!
— Lasciatela! Lasciala, Ornella;
ché, se questo non fa, non le torna
l’anima in petto sanata.
— Iona, Iona, Aligi è innocente.
— Toglilo dalle ritorte!
Levagli il velo! Ridaccelo!
— Oggi il popolo è giustiziere.
— Tu giudica, popolo giusto.
— Comanda che sia liberato!

Mila si ritrarrà presso l’Angelo coperto, e guarderà Aligi già invaso dall’ebbrezza del vino misturato.

La turba
- Lode a Dio! Gloria a Dio! Gloria Patri!
— L’infamia è tolta da noi.
— La macchia non è sopra noi.
— Di nostra gente non viene.
il parricida. A Dio gloria!
— Lazaro l’uccise la femmina
straniera, di Codra alle Farne.
— L’ho detto, l’ho detto:È innocente,
Aligi è innocente. Sia sciolto!
— Sia liberato ora in punto!
— Alla madre sua sia renduto!
— Iona, Iona, scioglilo! Il Giudice
del Malificio ci diede
oggi potestà sopra un capo.
— Piglia il capo della sortiera!
— Alle fiamme, alle fiamme la maga!
— Alla catasta la strega!
— O Iona di Midia, odi il popolo!
Sciogli l’innocente! Su, Iona!
— Alla catasta la figlia
di Iorio, la figlia di Iorio!
Mila
S
ì, sì, popolo giusto, sì, popolo
di Dio, piglia vendetta su me.
E l’Angelo apostàtico mettilo
nella catasta con me,
che faccia la fiamma per ardermi,
che si consumi con me.
Aligi
O
h voce di promessa e di frode!
Toglietemela di dentro
così come bella mi parve,
come cara mi fu, soffocatela
nell’anima mia, fate che mai
udita io l’abbia, che mai
n’abbia gioito! Rempietemi dentro
tutti questi solchi d’amore
che mi scavò, quando io era
alle sue parole d’inganno
come la mia montagna rigata
dalle acque di neve! Rempietemi
il solco di quella speranza,
per ove mi corse la grazia
di tutti i miei giorni ingannati!
Cancellate da me ogni traccia!
Fate che udito e creduto
io non abbia giammai! Ma, se questo
da voi non si può, s’io son quello
che udii credetti sperai,
quello che adorai l’Angelo iniquo,
mozzatemi entrambe le mani,
nel sacco di cuoio cucitemi
Lonardo, non lo porre da banda
e gittatemi nella fiumana
ch’io vi dorma settecent’anni
ch’io dorma sott’acqua, nel gorgo
profondo, ancóra settecent’anni
e più non mi ricordi che il giorno
di Dio ha illuminato quegli occhi!
Ornella
Mila, Mila, è l’ebbrezza del vino
misturato, del beveraggio
ch’ebbe dalla madre a consólo.
La turba
- Scioglilo, Iona. Ha il delirio.
— Ha preso il solatro nel vino.
— Che la madre lo stenda sul letto.
— Che il sonno gli venga, che dorma.
— Che Gesù Cristo l’acqueti.

Iona darà a taluno di sua gente lo stendardo e s’avanzerà verso Aligi per togliergli le ritorte.

Aligi
S
ì, per un poco scioglimi, Iona,
solo ch’io possa levar le mani
contra costei no, non l’ardete:
la fiamma è bella!, chiamare i morti,
tutti i miei morti nella mia terra,
quelli degli anni dimenticati,
i più lontani, i più lontani,
settanta braccia sotto la zolla,
a maledirla, a maledirla!
Mila
con un grido lacerante Aligi, Aligi, tu no,
tu non puoi, tu non devi!

Libero delle ritorte i polsi, libero del velo nero il capo, Aligi cadrà fra le braccia della madre, preso dalla vertigine; e le maggiori sorelle e le donne del parentado gli saranno intorno.

Il coro delle parenti
- Non isbigottire. È quel vino.
— È la vertigine calda.
— Ora lo stupore lo prende.
— Ora un gran sonno gli viene.
— Ch’ei dorma! Che Dio lo pacifichi!
— Stendetelo! Lasciate che dorma!
— Vienda! Vienda! Ti torna.
— L’uno e l’altra dal mondo di là.
— Laus Deo! Laus Deo! Gloria Patri!

Iona metterà le ritorte a Mila di Codra che gli tenderà i polsi. La testa le coprirà col velo nero. Poi, ripreso lo stendardo del Malificio, sospingerà la vittima verso la turba.

Iona
P
opolo giusto, ti do
nelle mani Mila di Codra,
la figlia di Iorio, colei
che fa nocimento a chiunque,
perché tu giustizia ne faccia
e tu ne disperda la cenere.
Salvum fac populum tuum, Domine.
Kyrie eleison.
La turba
C
hriste eleison. Kyrie eleison.
— Alle fiamme alle fiamme la figlia
di Iorio! La figlia di Iorio
e l’Angelo apostàtico al fuoco!
— Alla catasta! All’inferno!
Ornella
a gran voce Mila, Mila, sorella in Gesù,
io ti bacio i tuoi piedi che vanno!
Il Paradiso è per te!
Mila di mezzo alla turba
La fiamma è bella! La fiamma è bella!


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