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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1837
LA FREBBE MAGGNARELLA1
Quer che ssia l’appitito, a Ssarafino
Sta’ ccerta ch’er maggnà nnun j’arincressce.
Jerzera se sparì2 un piatton de pessce
Che ssarebbe abbastato pe’ un burrino.
Lui men de tre ppaggnotte nun ze n’essce;
E lo vedessi come trinca er vino!
Naturale: ha ddu’ spalle da facchino...
È er zu’ tempo: se sa, ccarne che ccressce.
Va’ dd’un cosscetto3 cosa sc’è arimasto!
Che cce volemo fà? llassa che mmaggni.
Nun ze pò ttrattené: ppropio è de pasto.
Li fijji de salute è ttempo perzo4
Er dijje abbasta:5 sò6 ttutti compaggni.
Nun farebbeno ar monno antro7 c’un verzo.
6 marzo 1837
- ↑ Dicesi di chi mangia molto e spesso aver lui la febbre mangiarella.
- ↑ Si sparì: si divorò: fece sparire.
- ↑ La coscia di un capretto o agnello.
- ↑ Perduto.
- ↑ Il dirgli (dir loro) basta.
- ↑ Sono.
- ↑ Altro.
Note
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