< La giraffa bianca
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10. In marcia
9. Assediati nell'isola 11. Caccia agli elefanti

10.

IN MARCIA


Soltanto il giorno dopo a mezzodì il carro riprese finalmente le mosse per raggiungere le pianure frequentate dalla giraffa bianca.

Kambusi era stato obbligato a rimanere sdraiato sui materassi, mentre Flok guidava i buoi. William ed il dottore precedevano i buoi sui loro cavalli per esplorare il paese.

La traversata della gola fu compiuta felicemente e verso sera la carovana giungeva sulle rive di un largo fiume, che William assicurava essere frequentato da numerosi ippopotami.

— Dottore, — disse — vi avevo promesso di farvi assaggiare un pezzo d'ippopotamo.

— Non ho dimenticato la promessa — rispose il tedesco.

— È venuto il momento di mantenere l'impegno.

— Ed i negri? Li avete dimenticati?

— Non ci seccheranno più. Chissà dove saranno andati a cercarci.

— Commetteremo una imprudenza fermandoci qui?

— No, dottore. Questo paese dipende da un altro capo e questi negri hanno l'abitudine di rispettare i territori altrui. Non datevi pensiero pei ladroni che vi hanno fatto prigioniero. E poi sono molto lontani.

— Se è così, andiamo a cercare l'ippopotamo che mi avete promesso. Io però non vedo alcuno di quegli anfibi in questo fiume.

— Non tarderanno a mostrarsi. Di giorno dormono immersi quasi del tutto nell'acqua; di notte invece lasciano i fiumi e vanno a saccheggiare le foreste e anche i campi coltivati.

— È però molto difficile ucciderli.

— Questo è vero. La loro pelle è così spessa che le palle sovente si schiacciano o non riescono a forarla.

— Dove andremo ad aspettare questi ippopotami? — chiese il dottore.

— Sopra uno dei loro sentieri.

— Come sarebbe a dire?

— Per portarsi nelle foreste, dove vanno a cercare le radici che servono loro di nutrimento, si aprono un sentiero che è facile riconoscere, e lo percorrono quasi sempre.

— Sapete dove trovarlo?

— Sì — rispose William. — Ceniamo alla svelta; poi andremo ad imboscarci.

Ritornarono al carro, mangiarono un boccone, raccomandarono ai due negri di fare buona guardia; poi si diressero verso un bosco che costeggiava il fiume. La luna era sorta ed i suoi raggi illuminavano le cime delle foreste secolari, che si delineavano sulle due rive, avvolgendo il corso d'acqua in una cintura di liane, di fiori e di alberi giganteschi.

Il fiume scendeva calmo, come assopito, fra le rive di verzura, gorgogliando sordamente.

Da lungi, sullo specchio d'acqua, grosse masse cominciavano a salire alla superficie, mandando dei lunghi nitriti. Erano ippopotami.

Questi animalacci sono essenzialmente africani. Per molto tempo si è agitata la questione se fosse possibile incontrarne nell'Asia, e particolarmente nei fiumi dell'India, di Giava e di Sumatra; ma tutte le ricerche hanno dato finora risultati negativi.

Gli ippopotami, per la loro mole, tengono il terzo posto fra i quadrupedi, avendo dai dodici ai sedici piedi di lunghezza e quasi altrettanti di rotondità. Sono tozzi, colle gambe corte, con una testa enorme; quando aprono la bocca lasciano vedere i denti formidabili, dei quali si servono per triturare le erbe dure e coriacee di cui si nutrono. Vanno anche pazzi per le radici e per le granaglie ancora tenere ed in una sola volta distruggono delle piantagioni intere, facendo guasti incalcolabili.

Il loro corpo è avviluppato in uno strato di grasso che lo ricopre tutto all'intorno e la loro pelle è grossa, dura, lucente, quasi sprovvista di peli. Quantunque d'apparenza così pesanti, questi animali non sono impacciati. Camminano con velocità anche quando sono a terra; nell'acqua poi sono agilissimi. Quando si tuffano possono rimanere sott'acqua parecchi minuti e se sono minacciati vengono a respirare alla superficie, non sporgendo che le estremità delle loro narici.

Durante il giorno gli ippopotami dormono volentieri al sole, sdraiati sugli isolotti o sui banchi di sabbia; la notte invece vanno a terra in cerca di nutrimento.

La caccia a questi anfibi si fa in due maniere. La prima in barca, aspettando che l'animale comparisca alla superficie per colpirlo al cranio con un colpo di scure o di arpione; ma sovente l'imbarcazione viene rovesciata e allora i cacciatori corrono il pericolo di venire fatti a pezzi. La seconda invece si fa mettendo una lancia mobile sui sentieri frequentati da questi animali, in modo che da se stessi si feriscano gravemente. La carne di questi anfibi, specialmente triturata e mescolata col grasso, serve benissimo e si mantiene per lungo tempo.

Colla pelle invece si fanno degli scudisci molto pregiati e degli scudi assai usati dai negri, essendo impenetrabili perfino alle palle dei moschetti.

William ed il dottore, dopo aver attraversato un lembo della foresta, erano giunti sopra una specie di sentiero aperto fra le muraglie di verzura, dove si vedevano numerosi rami spezzati.

— Ecco un sentiero — disse il cacciatore.

— Passano per di qua gli ippopotami? — chiese il dottore.

— Non vedete quante tracce si scorgono?

— Non me ne ero accorto.

— Nascondiamoci e aspettiamo.

— Se ci accostassimo al fiume?

— Seguiremo lentamente il sentiero. È carica la vostra carabina?

— Sì, William.

— Seguitemi e non fate rumore.

I due cacciatori pian piano si misero in cammino, guardando attentamente dinanzi a loro.

Dalla parte del fiume si udivano gli animali che nitrivano e si tuffavano con gran fracasso, sì che a giudicare dal rumore sembrava dovessero esser molti. Avevano percorsi cinquanta passi, quando William si slanciò dietro al tronco d'un albero, dicendo al dottore:

— Eccone uno che si avanza.

— Non lo vedo.

— Aspettate un momento. Eccolo, lo vedete?

— Ah! Sì.

— State fermo, e non spaventatelo prima che giunga a buon tiro.

Una massa mostruosa si avanzava lungo il sentiero, procedendo adagio adagio e fermandosi di frequente per ascoltare.

L'ippopotamo è diffidente per indole e se sospetta un pericolo torna subito al fiume e s'immerge; quindi urgeva rimanere immobili per evitare che fuggisse. William aveva armato la carabina, imitato dal dottore, e aspettava che l'animale giungesse a pochi passi per far fuoco, sapendo che la sua pelle è quasi impenetrabile.

L'ippopotamo si era fermato fiutando l'aria. Era allora a venti passi.

— Fuoco! — gridò William, vedendo che stava per tornar indietro. I due colpi di carabina furono seguiti da un grido orribile. L'animale cadde pesantemente a terra, agitando le grosse zampe. La sua agonia fu breve. Aprì la bocca enorme, mandò un ultimo rantolo, poi s'irrigidì. Una palla gli era entrata nel cervello e l'altra gli era penetrata sotto la gola.

I due cacciatori, felici di quel successo, gli spaccarono la testa a colpi di scure per prendergli la lingua; poi tagliarono un grosso pezzo di carne e fecero ritorno all'accampamento.

L'indomani, quando tornarono sul sentiero per prendere altri pezzi dell'ippopotamo, non trovarono che lo scheletro. Le jene, i leoni e gli sciacalli avevano divorato quel corpaccio in una sola notte!

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