< La giraffa bianca
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15. Le giraffe
14. Caccia all'ippopotamo 16. La giraffa bianca

15.

LE GIRAFFE


Kambusi, dopo essersi orizzontato, si era messo alla loro testa, tagliando i rami spinosi che impedivano il passo e che potevano ferire i suoi padroni. William ed il dottore lo seguivano da vicino, tenendo i fucili sotto il braccio e guardando da tutte le parti per vedere se riuscivano a scoprire quella famosa giraffa bianca, che Kambusi asseriva di aver veduta la sera innanzi. La boscaglia cominciava a diradarsi. Attraversato un folto bosco spinoso, gli alberi apparivano meno numerosi e di quando in quando si vedevano anche delle radure erbose, dove era possibile che le giraffe si recassero a pascolare.

William e Kambusi si fermavano di frequente per esaminare il terreno. Erano certi di trovare le orme di quegli animali su quelle terre quasi scoperte. Il negro non perdeva però la direzione— Ogni tratto guardava la bussola e si orizzontava rapidamente, cercando dirigersi dove supponeva che la giraffa e la sua truppa si fossero recate.

Stavano per giungere ad un fiumicello che tagliava per metà la immensa foresta, quando il negro si fermò bruscamente, dicendo:

— Padrone, ecco le orme!

William si era subito curvato. Sul terreno umidiccio si vedevano chiaramente le impronte degli zoccoli.

— Sì — disse. — Sono tracce di giraffe.

— Che quella bianca sia passata di qui? — chiese il dottore con viva emozione.

— La bianca guida una truppa numerosa; è vero, Kambusi?— domandò William.

— Sì, padrone.

— Quindi non è improbabile che sia passata di qui.

— La penso anch'io così; sarà bene seguire queste orme.

— Ti sembrano fresche?

— Sono recentissime.

— Che la giraffa bianca sia tornata indietro? — chiese il dottore.

— Lo suppongo, signore — rispose Kambusi.

— Seguiamo dunque le orme — disse William. — Forse quel singolare animale frequenta questi luoghi.

— E probabilmente la fontana di Marimbo — disse il negro.

— Vi è una fontana in questi luoghi? — chiese William.

— Molto vasta e dalle acque limpidissime — aggiunse il negro. — E lontana appena un miglio, se non m'inganno.

— Andiamo a cercarla e assicuriamoci se queste orme si dirigono da quella parte.

— Non avremo che da seguirle, padrone.

Si rimisero in cammino, seguendo attentamente le orme, e Kambusi, dopo poco, si accorse di non essersi ingannato.

La giraffa bianca e le sue compagne dovevano frequentare la fontana di Marimbo, perché le tracce si dirigevano precisamente in quella direzione. Attraversato un altro lembo della foresta, i tre cacciatori giunsero finalmente in una radura di trecento metri di circuito, nel cui centro si vedeva un laghetto dalle acque limpidissime e molto profonde.

Pareva che su quelle rive si dovessero dare appuntamento tutti gli animali della foresta.

Sulla terra umida si vedevano orme di giraffe, di gazzelle, di zebre, di sciacalli, di bufali e di antilopi, mescolate confusamente. Si vedevano perfino certi buchi larghissimi, che dovevano essere stati fatti dalle zampe enormi degli elefanti.

— Non mi ero ingannato — disse Kambusi. — È qui che il branco di giraffe viene a dissetarsi.

— E qui lo aspetteremo.

— Tu sai però quanto quegli animali sono diffidenti.

— Ci nasconderemo in un luogo sicuro.

— Guarda quel baobab, padrone. Nessuno ci vedrà se ci nasconderemo in mezzo al suo folto fogliame.

— Era venuta anche a me questa idea — disse William. — Non è lontano più di duecento metri dalle rive del laghetto ed i nostri fucili hanno una portata di sei o settecento metri.

— La notte sta per calare — disse il dottore.

— E gli animali non tarderanno a giungere a frotte — aggiunse Kambusi.

— Al baobab! — disse William.

Fecero prima il giro del laghetto, per riconoscere le sue rive; poi si diressero verso l'albero.

Era un albero ancora giovane; aveva però il tronco così grosso che dieci uomini non sarebbero riusciti ad abbracciarlo, ed i suoi rami riuniti formavano un piccolo bosco.

I due tedeschi ed il negro vi si arrampicarono facilmente, servendosi di alcune liane che penzolavano dai rami, e si accomodarono in mezzo al tronco, dove era uno spazio sufficiente da permettere a dieci persone di sedersi. Mangiarono avidamente un pezzo d'orige che avevano serbato dal mattino, vuotarono la fiaschetta; poi prepararono le armi, essendo certissimi di veder giungere, presto o tardi, la famosa giraffa.

La notte si avanzava rapidamente, poiché nell'Africa meridionale il crepuscolo è assai breve.

Il sole era appena scomparso e già sotto gli alberi le tenebre diventavano sempre più dense.

Però sopra il laghetto, che non era coperto da piante, vi era abbastanza luce per poter discernere qualunque animale si avvicinasse.

I tre cacciatori, stesi sul ramo più grosso e nascosti dal fogliame, aspettavano con ansia.

Non era trascorsa mezz'ora, quando avvertirono dei lontani scricchiolìi, come se qualche grosso animale cercasse di aprirsi il passo attraverso la foresta.

— Che siano le nostre giraffe? — chiese il dottore.

— Io suppongo invece che si tratti d'una banda di elefanti — disse il negro.

— Sembra che gli alberi vengano atterrati violentemente.

Il fracasso si avvicinava. Si udivano schiantare i grossi rami e cadere gli alberi giovani sotto l'urto formidabile di giganteschi animali. Poco dopo, verso l'estremità del lago, si vide apparire una massa immensa, poi una seconda, quindi parecchie altre. Era una frotta di pachidermi, che veniva a dissetarsi al laghetto.

I mostruosi animali, giunti sulla riva, fiutarono l'aria a diverse altezze, mandando rauchi barriti, poi entrarono nell'acqua e si misero a giuocare. Si tuffavano, si bagnavano reciprocamente colle proboscidi, si urtavano cercando di atterrarsi.

Quel divertimento durò una buona mezz'ora, poi i colossi raggiunsero la riva e si allontanarono dalla parte d'onde erano venuti, senza essersi accorti della presenza dei cacciatori.

Un quarto d'ora dopo, ecco avanzarsi due rinoceronti. Venivano avanti col corno teso, con un'andatura sospettosa, grugnendo e guardando attentamente i cespugli che circondavano il lago.

Guazzarono qualche po' nel fango, poi anche essi si allontanarono, prendendo un galoppo piuttosto rapido.

— Che bellissime cacce ci sarebbe da far qui — disse William, che si era frenato a malincuore. — Non so chi mi abbia trattenuto dal far fuoco.

— E le nostre giraffe verranno? — chiese il dottore.

— Pazienza, signore! — disse Kambusi. — La notte è appena calata. Forse non sono lontane e aspettano che i grossi animali si siano dissetati per farsi innanzi.

Invece della giraffa bianca, dieci o dodici jene rigate si avanzarono, fermandosi sulle rive del laghetto. Gli schifosi animali venivano in cerca di carogne, anziché per dissetarsi.

Fecero il giro del bacino schiamazzando e frugando le erbe; poi adagio adagio si accostarono al baobab, sul quale si tenevano nascosti i tre cacciatori.

— Si sono accorte della nostra presenza — disse William.

— Guasteranno la nostra caccia?

— Aspetta, signore — disse Kambusi.

Vedendo sopra la propria testa un mazzo di quelle grosse frutta che vengono chiamate pane delle scimmie e che i baobab producono in grande quantità, lo staccò con un colpo di coltello e lo scagliò contro le jene. Queste, spaventate, ringhiarono mostrando i denti; ma un secondo mazzo, che cadde proprio sul muso della prima, le decise a fuggire.

— Vigliacche! — esclamò il dottore.

— Non sarebbero jene — disse William.

Dopo quegli animali, per un po' di tempo nessun'altra fiera venne a ronzare sulle rive del laghetto.

Il dottore cominciava ad impazientirsi, quando in mezzo agli alberi si udirono dei forti ruggiti.

— Questi sono leoni — disse.

— E stanno in agguato — aggiunse Kambusi.

— Che aspettino le nostre giraffe?

— È possibile, signore.

I ruggiti continuavano, ma molto deboli. Ad un tratto cessarono.

— I leoni si sono accorti che qualche animale si avvicina — disse William. Tendendo gli orecchi, udì agitare le piante a qualche distanza dal bacino e notò dei colpi sordi, che parevano prodotti da zoccoli. William si alzò di scatto.

— O sono zebre, o sono le nostre giraffe — esclamò.

— Arriverebbero in un brutto momento — disse il dottore. — I leoni sono imboscati. Stiamo in guardia affinchè non divorino la giraffa bianca.

— Faremo fuoco sulle fiere — rispose William. — Le prime palle saranno però per la nostra giraffa.

— Prepariamoci, padrone — continuò il negro. — La banda sta per giungere.

— Sono pronto — rispose William.

— Anch'io — disse il dottore.

Il rumore si avvicinava rapidamente. Pareva che un mezzo squadrone di cavalli galoppasse verso il piccolo lago. Si udiva agitare le foglie e spezzare i rami. William ed i suoi compagni, distesi sull'enorme ramo, avevano già puntato le armi.

Pochi momenti dopo, videro giungere a piccolo trotto un drappello di superbe giraffe. Erano una ventina e dinanzi ad esse caracollava una splendida giraffa dal mantello bianco come il latte.

I tre cacciatori avevano trattenuto a malapena un grido di stupore e di gioia. Quella famosa giraffa era là, davanti a loro, a meno di centocinquanta metri.

Come si sa, le giraffe sono i più strani quadrupedi che si conoscano. Più alte davanti che di dietro, misurano quattro metri e anche più nella parte anteriore e solamente tre nella posteriore.

Hanno il collo lunghissimo, sottile, leggermente arcuato; la testa, piccola, con gli orecchi da bue e gli occhi da cavallo, è sormontata da due piccole prominenze ossee.

La coda loro, sottile e lunga, termina in un fiocco di crino; il pelo è liscio, d'un color giallastro sparso di macchie grandi e scure.

Vivono per lo più in gruppi numerosi e sono così veloci che un cavallo difficilmente riesce a seguirle.

I due tedeschi e Kambusi, vedendo la giraffa bianca accostarsi al bacino, avevano puntato le armi, quando un improvviso terrore si sparse fra la banda, facendola indietreggiare vivamente.

Due enormi leoni, con un balzo improvviso, erano piombati in mezzo al branco, cadendo sulla groppa di due giraffe.

— Attenti alla bianca! — gridò William. Vedendola volteggiare attorno alle compagne, fece fuoco su di lei prima che si allontanasse.

La povera bestia, colpita dell'infallibile palla del cacciatore, cadde sulle ginocchia; poi subito si rialzò e scomparve nella foresta, seguita dalle altre giraffe. Le due bestie assalite dai leoni erano invece cadute al suolo, e si difendevano disperatamente.

William, vedendo la giraffa bianca fuggire, fece atto di gettarsi giù dall'albero per inseguirla; ma Kambusi lo trattenne, dicendogli:

— Padrone, vi sono i leoni.

— Non vedi che fugge? — gridò William.

— L'hai ferita mortalmente e non andrà molto lontana.

— Non credo.

— Fuggiva zoppicando; devi averle spezzata una coscia.

— Voglio inseguirla, Kambusi.

— No, padrone! Ecco i leoni!

Le belve, insospettite da quelle grida, con pochi colpi d'artiglio finirono le due giraffe; poi si voltarono verso l'albero, ruggendo spaventosamente.

— Ah! — esclamò William esasperato. — Voi volete impedirmi d'inseguire la mia giraffa! Lo vedremo!

— Prudenza, William! — soggiunse il dottore. — Se la giraffa è stata ferita la troveremo presto.

— Non scherziamo coi leoni — disse Kambusi.

— Lo vedrete! — gridò William.

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