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16. La giraffa bianca
15. Le giraffe Conclusione

16.

LA GIRAFFA BIANCA


I leoni avevano già veduto i tre cacciatori e, lungi dallo spaventarsi, anzi forse irritati di non potersi godere tranquillamente le prede abbattute, si erano accostati al baobab, spiccando salti giganteschi.

William aveva ricaricato la carabina e cercava prenderli di mira; ma le due fiere, quasi sapessero che il cacciatore di rado mancava i suoi colpi, non stavano un momento ferme.

Ora si nascondevano in mezzo ai cespugli, ora dietro i tronchi degli alberi, pur continuando ad accostarsi al baobab, come se avessero avuto l'intenzione di balzare sul ramo occupato dai cacciatori. Kambusi aveva già fatto fuoco senza colpirli. Il dottore si era provato ad imitarlo, ma senza maggior successo.

Dopo una serie di salti disordinati, uno dei leoni era riuscito a raggiungere il baobab, celandosi dietro l'enorme tronco.

— Guardate l'altro! — disse William ai compagni.

Abbandonò il ramo e strisciò su quello opposto, per costringere la fiera a mostrarsi. Vedendola a pochi metri di distanza, le sparò contro la carabina, mirando la schiena per fracassarle la spina dorsale.

La belva, ruzzolata a terra, mandò un ruggito terribile; poi si rialzò di colpo e con un salto gigantesco s'aggrappò al ramo occupato dal cacciatore, per salirvi e afferrare l'avversario.

L'urto fu così improvviso che William perdette l'equilibrio, precipitando al suolo assieme al fucile scarico.

— Amico! — gridò il dottore vedendolo cadere.

— Occupatevi dell'altro leone! — gridò il cacciatore.

In quel momento Kambusi fece fuoco sull'altra fiera, che si slanciava verso il baobab. La palla la colpì nel cranio, facendola cadere fulminata. Intanto il leone che si trovava sul ramo, vedendosi in pericolo, si slanciò a terra e tentò di azzannare William, il quale si era messo a correre intorno al tronco, per caricare la carabina.

— Prendi! — gridò il dottore. Aveva fatto fuoco quasi a bruciapelo.

L'animale, ferito gravemente, si gettò da una parte e andò a cadere esanime in mezzo ad un cespuglio.

— Alle giraffe! — gridò William, senza nemmeno accertarsi se i due leoni erano veramente morti.

— Lasciateci almeno respirare — disse il dottore.

— Ad ogni minuto che passa la nostra giraffa si allontana.

Il dottore e Kambusi, caricate precipitosamente le armi, si erano lasciati cadere giù dal baobab. Fecero il giro dello stagno e giunsero là dove la giraffa bianca era stata ferita.

William, che guardava le erbe, scoprì subito delle larghe macchie di sangue.

— L'ho colpita nelle parti posteriori — disse.

— Le hai fracassato la coscia destra — soggiunse Kambusi.

— Come lo sai? — domandò il dottore.

— Non vedi, signore. Il sangue è colato precisamente sull'impronta lasciata dallo zoccolo destro.

— Che vista acuta hai, mio caro Kambusi — disse il dottore.

— Avanti e di corsa! — comandò William.

I tre uomini si slanciarono nella foresta, seguendo le orme, visibilissime, lasciate dalle giraffe.

Dopo duecento passi, Kambusi si fermò, per far notare ai compagni una piccola pozza di sangue.

— La giraffa bianca si è fermata qui un momento — disse.

— Allora la sua ferita è proprio grave — replicò il dottore.

— Ti ho detto, signore, che deve avere una coscia fracassata — aggiunse il negro.

— Non potrà andare molto lontana!

— Ci farà correre a lungo — rispose William. — Le altre tre gambe possono bastarle.

— Non vorrei perderla, ora che l'abbiamo scovata e ferita.

— La perdita del sangue la costringerà a fermarsi.

— Badate di non perderne le tracce.

— Non c'è pericolo — disse William.

I tre cacciatori si rimisero in marcia a passo allungato, tenendo i fucili in mano. Le giraffe si erano internate nella parte più folta della foresta; però avevano aperto, coi loro grandi corpi, una specie di sentiero facilissimo a seguirsi. Le tracce di sangue si vedevano sempre e di tratto in tratto si scopriva anche qualche pozza. La giraffa bianca doveva essersi frequentemente fermata per riposarsi. Tuttavia le sue compagne non l'avevano abbandonata. I due tedeschi ed il negro avevano percorso altri cinquecento metri, quando quest'ultimo fece segno ai compagni di fermarsi.

— L'hai veduta? — chiesero contemporaneamente William ed il dottore, armando precipitosamente i fucili.

— Ho udito un fruscio di foglie smosse dietro quel gruppo di banani — disse Kambusi.

— Che le giraffe si siano nascoste colà? — chiese il dottore.

— Invece delle giraffe possiamo trovare qualche avversario pericoloso — rispose William. — Voi avete avuto una prova, dottore, dell'abbondanza di belve che si nasconde in questa selva.

— Anche troppe, William!

— Avanziamoci cautamente — disse Kambusi.

— Lasciatemi ascoltare — soggiunse William.

Si curvò e tese gli orecchi, trattenendo il respiro.

— Sento muover le foglie — continuò.

— Sono le nostre giraffe, ne son certo — affermò il dottore.

— Potrebbe essere invece un rinoceronte — disse Kambusi.

— O qualche leone — aggiunse William. — Preparate le armi e andiamo a vedere.

Si gettarono a terra e si misero a strisciare verso i banani, cercando di non far scrosciare le foglie secche.

Distavano forse una ventina di passi, quando videro slanciarsi fuori una truppa di zebre.

Quei graziosi quadrupedi, appena si accorsero della presenza dei cacciatori, fuggirono galoppando e nitrendo.

— Se qui vi sono delle zebre, le giraffe non possono esser lontane — disse William.

— Vivono insieme? — domandò il dottore.

— In buonissima armonia — rispose il cacciatore.

Continuarono la marcia e dopo poco giunsero sulle rive d'un fiume. Sulla sabbia si vedevano le orme delle giraffe.

— Hanno passato il fiume — esclamò Kambusi.

— E si sono fermate sulla riva opposta — aggiunse William. — Ho veduto alcune teste alzarsi sopra i cespugli.

— Ci vedranno guadare il fiume e fuggiranno ancora — osservò il dottore.

— Certo, perché si terranno in guardia — rispose William.

— Come potremo raggiungere la riva senza farci scorgere?

— La faccenda mi sembra molto seria.

— Padrone, — disse Kambusi — ho trovato il mezzo per attraversare il fiume senza farci vedere. Facciamo un grosso fascio di rami e spingiamolo innanzi, tenendoci nascosti dietro di esso.

— Bravo, Kambusi! — esclamò William.

Rientrarono nella foresta e si misero a tagliare molti rami e foglie di banano, formando un fastello gigantesco.

Lo fecero rotolare lungo la riva e, messolo in acqua, vi si nascosero dietro, spingendolo lentamente.

Le giraffe, che si trovavano celate in mezzo ai cespugli, vedendo avanzarsi quell'ammasso di rami, alzarono le teste; poi, rassicurate, tornarono a sdraiarsi fra le piante.

La traversata del fiume fu compiuta felicemente ed i tre cacciatori poterono approdare sulla riva opposta senza essere stati scoperti.

Essendovi colà molti cespugli, furono solleciti a nascondersi.

— Non siamo che a cinquanta passi dalle giraffe — disse Kambusi.

— La vedi quella bianca? — chiese William.

— Sì, padrone.

— Prepariamoci a slanciarci innanzi. Non occupatevi che di essa. Siete pronti?

— Sì — risposero Kambusi ed il dottore.

I tre cacciatori balzarono come un solo uomo fuori dai cespugli, mandando alte grida.

Le giraffe, già insospettite dal lieve rumore prodotto dai passi dei cacciatori, udendo quelle grida e vedendo i tre uomini slanciarsi innanzi, balzarono rapidamente in piedi e fuggirono a rompicollo. Ultima a levarsi era stata la giraffa bianca.

La povera bestia si era slanciata dietro alle compagne, strascicandosi disperatamente per non rimanere indietro.

— Eccola! — gridò William. — Fuoco!

Tre colpi di fucile rimbombarono. La giraffa, colpita dai proiettili, si rizzò sulle zampe posteriori, girò su se stessa, poi cadde fulminata, mentre le compagne, spaventate dagli spari, scomparivano sotto gli alberi. I tre cacciatori si erano slanciati verso l'animale.

— Morta! — esclamò William.

Poi, volgendosi verso il dottore, che manifestava la sua gioia con esclamazioni senza fine, gli disse:

— Dottore, ho mantenuto la mia promessa!

— E avete guadagnato il premio che vi avevo promesso — rispose lo scienziato. — Mio caro amico, vi sono riconoscente di avermi procurato questo splendido animale, l'unico della specie.

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