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9.
ASSEDIATI NELL'ISOLA
La condizione dei due fuggiaschi diventava terribile. Che dovevano fare trovandosi fra due fuochi?
Presero subito il loro partito. Piegarono a sinistra e, prima di essere stati veduti, fuggirono verso il fiume raggiungendolo in pochi minuti. Senza calcolare il pericolo che correvano a cacciarsi nel fango, vi si gettarono a corpo perduto, fra gli enormi canneti che crescevano a profusione, e attesero ansiosamente, rannicchiati su quella terra, in mezzo alla quale affondavano lentamente.
Quella tregua non fu di lunga durata.
Un negro, sulla scorta delle loro orme, giunse ben presto fino ad essi e nel vederli si arrestò un momento colla lancia alzata.
Quel momento di esitazione gli tornò fatale. William, che non voleva servirsi della carabina per non attirare l'attenzione degli altri nemici, balzò come un leone e afferrò il nemico per la gola. Questi tentò di reagire e di liberarsi da quella stretta, ma le dieci dita del cacciatore erano robuste e parevano altrettante tenaglie.
Il negro non potè mandare nemmeno un grido, perché Kambusi gli aveva immerso il coltellaccio fra le spalle toccandogli il cuore.
— Va' — disse William, rotolando il morto nel fiume.
— Padrone, — soggiunse Kambusi con voce debole — fuggiamo.
— Ti senti male? — chiese William con spavento.
— Il sangue perduto mi ha indebolito estremamente.
— Non perderti d'animo, coraggio! È necessario attraversare il fiume e cercare un rifugio sull'isolotto.
— Proviamo, padrone.
— Io ti sorreggerò.
— Cerchiamo di non bagnare i fucili.
— Lascia fare a me.
Si legò sulla testa le due carabine e le munizioni; poi scese adagio adagio nell'acqua, spingendo Kambusi.
La corrente presso la riva era debole e non si avanzava che molto lentamente. Kambusi, per colmo di sventura, continuava a perdere le forze. Aveva appena percorso dieci metri quando William lo vide calare a fondo. Il ferito però risalì subito, mandando un sospiro d'angoscia.
— Aspetta, ti aiuto — disse William.
Afferrò il povero servo sotto l'ascella e, nuotando vigorosamente coll'altra mano, raggiunse in breve l'isolotto, trascinando il compagno fra i cespugli. Erano appena approdati quando videro comparire sulla riva dieci o dodici negri.
— Siete in ritardo — disse William armando le due carabine.
Alcune frecce attraversarono il fiume e andarono a piantarsi fra i cespugli che riparavano i due fuggiaschi.
William, senza occuparsi dei nemici, sdraiò Kambusi, quasi svenuto, su di un letto di foglie, gli rinnovò la compressa; poi fece il giro dell'isolotto.
Non vi era nessuno; nemmeno un volatile.
— Se ci assediano non so che cosa potremo mangiare — disse. — Vedo però dei banani sull'altra riva e con un po' d'astuzia potremo raccoglierli.
Scostò le piante che gl'impedivano di vedere i nemici e guardò.
I negri si erano radunati sulla riva e pareva si consigliassero.
— L'affare diventa serio — disse fra sé. — Se il dottore e Flok li prendessero alle spalle? Sì, chissà dove saranno e se s'immagineranno che noi siamo in pericolo.
Tornò presso Kambusi, il quale si era assopito, e gli si sedette presso, mettendosi a riflettere.
Il caldo era soffocante: non un soffio rinnovava gli strati d'aria riscaldati dal sole, i cui raggi, rifrangendosi sul fiume, acquistavano una nuova e terribile intensità. Il cacciatore s'era quasi assopito, quando udì rompere dei rami. Balzò rapidamente in piedi colla carabina armata, gridando:
— Aiuto, Kambusi!
Un grido feroce risuonò in quel momento dietro di lui. Si volse rapidamente e vide apparire un negro armato di una specie di mazza, colla quale si preparava, senza tanti complimenti, a fracassargli il cranio. William però non si lasciava mai cogliere di sorpresa.
— Ladrone! — gridò.
Non aveva ancora finito la parola che il negro, fulminato a bruciapelo da un colpo di carabina, cadeva pesantemente nell'acqua.
— Agli altri, ora! — esclamò prendendo la carabina di Kambusi.
Altri cinque o sei negri balzavano fra i cespugli tenendo le lance alzate. Vedendo William puntare il fucile, si sentirono mancare il coraggio d'impegnare la lotta e saltarono nell'acqua nuotando disperatamente verso la riva opposta. Kambusi intanto si era alzato col coltello in pugno per aiutare il padrone.
— Non c'è più bisogno — disse William, ricaricando la carabina. — Quei birbaccioni cominciano ad aver paura. Ricoricati e se avrò bisogno di te ti sveglierò. Come ti senti?
— Un po' meglio, padrone.
— Sei ancora molto debole?
— Sì.
— Ci vorrebbe una buona zuppa e invece non abbiamo nemmeno una galletta. Ah! Venisse il dottore!
— Forse ci cercano.
— Ne dubito; hanno i buoi da guardare.
— Questa notte si accosteranno al fiume. Non vedendoci ritornare si immagineranno che noi siamo in pericolo.
— Vedremo — concluse William. — Coricati e riposa; io veglio.
Il sole scendeva lentamente e la notte calava. La situazione dei due cacciatori non accennava a cambiare. Non bisognava pensare ad abbandonare l'isolotto. I negri facevano sempre buona guardia sulle due rive, mandando di tempo in tempo delle grida altissime, come per indicare ai cacciatori che la loro via era sempre tagliata.
Durante tutta la notte William non osò dormire, aspettandosi ad ogni momento un assalto da parte dei negri. Verso le tre Kambusi si svegliò, assicurando che si sentiva meglio, ma che era molto affamato.
— Ed io non lo sono meno di te, mio povero Kambusi — disse William. — È da ieri mattina che non abbiamo mangiato.
— E da due giorni non assaggiamo un pezzo di carne, padrone.
— Pur troppo!
— Che non vi sia niente su questo isolotto?
— Nemmeno un uccello. Però ho veduto dei banani sulla riva che ci sta di fronte.
— Ed i negri?
— Nuotando sottacqua ed approfittando dell'oscurità si potrebbe tentare — disse William. — E perché no? È una buona idea e non correrò pericolo alcuno.
— Non fidarti, padrone.
— Non ho alcuna intenzione di morire di fame, Kambusi. Lasciami tentare.
Si spogliò per essere più libero, si mise il coltellaccio fra i denti, poi scese senza rumore nell'acqua. Stette molto tempo senza comparire. Era diventato preda d'un coccodrillo o giaceva sul fondo, paralizzato da una improvvisa debolezza? No. Le acque ribollirono finalmente ad alcuni metri dalla riva, e la testa uscì.
Aspirò una lunga boccata d'aria, soffiò rigettando l'acqua che aveva inghiottito, poi tornò ad immergersi. Riapparì venti secondi dopo e con una bracciata raggiunse la riva, la quale era coperta da banani colle foglie immense. Guardò attorno e non vedendo alcuno salì lentamente la riva, inoltrandosi sotto le foglie. Con un colpo di coltello recise un enorme mazzo di banani già maturi, pesanti almeno trenta chilogrammi, se lo legò sulle spalle e si gettò di nuovo nel fiume.
La traversata fu compiuta felicemente.
Quando approdò all'isolotto, trovò Kambusi inginocchiato, colla carabina in mano. Il ferito vegliava, temendo un nuovo assalto da parte dei negri.
— Hai veduto nessuno, padrone? — chiese il negro.
— I nostri nemici dormono — rispose William.
— Non si potrebbe approfittare per andarcene?
— È quello che pensavo, Kambusi. Ti senti capace di attraversare il fiume?
— Sì.
— Mangiamo qualche banano, poi andiamo. La foresta ci sta di fronte e ci sarà facile raggiungerla.
— Ci lasceremo trasportare dalla corrente per qualche centinaio di metri.
— Anzi per qualche chilometro. Ci aiuteremo con dei tronchi d'albero.
— Sì, padrone.
Divorarono in fretta alcuni banani; poi William col suo coltellaccio abbattè degli alberi giovani e li legò insieme colla fascia di lana che gli serviva di cintura. Cinque minuti dopo, egli e Kambusi saltavano nell'acqua, tenendosi stretti agli alberi.
La corrente rapida li portò presto lontano. I tronchi galleggiavano benissimo ed i due fuggiaschi non avevano da faticare per mantenersi a galla. Si lasciarono così trasportare per un paio di chilometri; poi approdarono dinanzi all'immensa foresta, colla certezza di essere fuori di portata dai negri.
— Vedi nessuno, Kambusi? — chiese William.
— No, padrone — rispose il negro.
— Sei capace di salire la riva?
— Sì; questo bagno mi ha fatto bene.
— Lasciamo il fiume alla svelta e inoltriamoci nella foresta. Quando i negri si accorgeranno della nostra fuga, saremo già lontani. Troveremo il dottore ancora all'accampamento? Temo che non vedendoci tornare si sia mosso, spingendo i buoi verso il fiume.
— Non ci vorrebbe altro!
— Affrettiamoci, Kambusi.
Salirono la riva e s'incamminarono sotto gli alberi, allungando il passo. Quella parte della foresta non era molto fitta, quindi potevano procedere con maggior velocità!
Per due ore procedettero di macchia in macchia, orientandosi colla bussola. Kambusi cominciava a dar segni di estrema stanchezza, quando a William parve udire dei lontani muggiti.
— Che siano i nostri buoi? — si domandò.
— Sì, padrone — disse Kambusi. — Si avanzano attraverso la foresta.
— Il dottore forse si sarà accorto della presenza dei negri e avrà deviato. Kambusi, un ultimo sforzo.
— Farò il possibile.
Una carovana di animali s'avanzava certamente fra la foresta. Si udivano distintamente dei muggiti e il crepitare dei rami. William lasciò indietro il negro e si mise a correre chiamando:
— Dottore! Flok!
Poco dopo, una voce umana, quella di Flok, gli rispose.
— Padrone! — gridava il negro. — Siete proprio voi?
— Da questa parte, Flok! — rispose William.
— Eccomi, eccomi!
Un momento dopo il negro, sfondato un folto cespuglio, si presentava al cacciatore.
— Ed il dottore? — chiese questi.
— È alla retroguardia — rispose il negro.
— Conducete tutti i buoi?
— Sì.
— Perché avete lasciato l'accampamento?
— Eravamo inquieti per la vostra prolungata assenza ed avevamo deciso di venirvi a cercare. Avete incontrato i negri, è vero?
— Come lo sai?
— Abbiamo udito gli spari delle carabine. Per questo abbiamo deviato, temendo d'incontrarli anche noi.
— È una vera fortuna l'esserci ritrovati — disse William. — È accaduto nulla nell'accampamento durante la nostra assenza?
— No, padrone.
— Fa' avanzare i buoi da questa parte. Dobbiamo scendere parecchi chilometri verso il sud onde evitare l'incontro dei negri.
Cinque minuti più tardi, mentre i buoi sfilavano attraverso i cespugli, William ed il dottore s'incontravano. Lo zoologo, che era anche medico, apprendendo che Kambusi era stato ferito da una freccia, raggiunse il povero negro, il quale, completamente sfinito, erasi sdraiato fra le erbe.
Esaminò la ferita, la lavò con acqua mescolata ad un po' d'acquavite che teneva ancora nella fiaschetta e la fasciò abilmente.
— Non è nulla — disse. — Kambusi è debole pel sangue perduto, nient'altro.
Il ferito fu fatto salire su di un bue, poi la carovana riprese la via, spingendosi verso il sud.
Al tramonto essa giungeva sulla riva del fiume, ad una distanza di quindici chilometri dai luoghi occupati dai negri.
Approfittando delle tenebre guadarono il fiume; poi continuarono il cammino, con uno splendido chiaro di luna.
Flok, che conosceva il paese e che al pari di tutti i negri sapeva orientarsi anche senza la bussola, guidò la carovana in modo che alle due antimeridiane giungeva nella gola, senza aver fatto alcun cattivo incontro. L'immenso carro era ancora là, ma il bufalo ucciso era stato divorato dalle jene e dagli sciacalli.
Viveri ve n'erano però in abbondanza nelle casse del carro; perciò i quattro viaggiatori poterono regalarsi una cena eccellente, innaffiata da alcune bottiglie di birra.
Un'ora dopo tutti dormivano senza preoccuparsi delle grida acute e discordi degli sciacalli.