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Nuovi preparamenti degli Angioini contro la Sicilia. Capitoli del parlamento di Santo Martino nel regno di Napoli. Nuove intimazioni del papa a re Pietro e a’ Siciliani: bando della croce: sentenza di deposizione di Pietro dal reame d’Aragona, e altre pratiche. Aperta ribellione di Gualtiero da Caltagirone. Vittoria dell’armata siciliana su la provenzale, nel porto di Malta, il dì 8 giugno 1283, e conseguenze di essa. Pratiche del papa a sturbare il duello. Andata di re Pietro in Catalogna e a Bordeaux: esito della scena del duello. Umori dei popoli del regno di Napoli. I nostri occupano alcune terre in val di Crati. Preparamenti di una nuova impresa sopra la Sicilia. Loria assalta con l’armata il regno di Napoli. Battaglia del golfo di Napoli il 5 giugno 1284, e presura di Carlo lo Zoppo. Sollevazione della plebe in Napoli. Maggio 1283 a giugno 1284.
In questo tempo il nimico apprestossi a una seconda prova contro la
Sicilia; di che s’eran maturati i disegni a corte di Roma, quando
Carlo, tornato di Calabria, appresentossi al papa e a tutto il sacro
collegio a chiedere aiuti1. Tentar doveasi il colpo nella state
dell’ottantatrè, per cogliere il destro dell’assenza di Pietro. A ciò
preparavansi navi e armi, men poderose che l’anno innanzi, per
diffalta di moneta, e perchè faceano assegnamento maggiore sugli animi
de’ popoli, simulando mansuetudine quand’era tornata vana la forza.
Par che in Sicilia tenessero a questo disegno, secondo l’indizio della
spia presa a Geraci, i principi di controrivoluzione testè detti. Al
medesimo effetto or trattavasi più solenne e larga la riforma del mal
governo in terraferma. E ’l papa suscitava i nemici di Piero;
spaventava gli amici; e a sviar le forze di lui, principiava a
minacciare il reame d’Aragona.
Re Carlo dunque nell’andar di Roma a Parigi, era soprastato alquanti dì in Marsiglia; ove al suo vicario di Provenza avea commesso che, allestite in fretta venti galee, e armatele della miglior gente di mare di tutta Provenza, mandassele in Puglia, d’aprile o di maggio al più lungo2: ed ei medesimo poco appresso, tornato a Marsiglia, e trovate le galee munitissime di attrezzi e armi e ciurma al doppio dell’ordinaria, aveale affidato a Guglielmo Cornut e Bartolomeo Bonvin, marsigliesi; giurando Guglielmo che darebbegli morto o prigione l’ammiraglio nimico3. Il principe di Salerno al tempo stesso armava nel reame di Puglia novanta tra teride e galee, che a mezzo giugno si trovassero a Reggio4. Abbandonato egli avea nel corso d’aprile gl’infelici alloggiamenti di Santo Martino, ove per disagio e febbri consumavasi come in atroce pestilenza la gente francese; ch’eravi anco morto con grande compianto Piero conte di Alençon, e sì scarseggiavan le vittuaglie e lo strame. Presso Nicotra sulla marina il principe s’attendò, per esser più pronto all’imbarco: otto galee fe’ racconciare in quel porto; tutto intendendo al passaggio sopra la Sicilia5. Ma prima di mutare il campo avea tenuto nelle pianure stesse di Santo Martino un solenne parlamento, del quale è mestieri qui far parola.
Perchè ai «prelati, conti, baroni, cittadini e probi uomini,» in grande numero adunati (novella temperanza de’ governanti angioini), chiedeva il principe i sussidj; e gli erano assentiti in merito della riforma, mal abbozzata già nei capitoli del dieci giugno dell’ottantadue, e peggio osservata; della quale or trattandosi con quei grandi e rappresentanti della nazione, nuovi capitoli sancironsi e pubblicaronsi in questo parlamento medesimo, il dì trenta marzo milledugentottantatrè. Cominciavano con accettare apertamente in che orrendo servaggio e povertà fosse venuto il reame, per vecchia colpa, diceasi, dei tiranni Svevi, e fresca malizia de’ ministri e officiali del re, tradenti il suo paternale buon volere. Larghissimi indi i favori conceduti e raffermi agli ecclesiastici, per lor averi, persone, case ed autorità; chè si corse fino ad accordare la franchigia delle tasse su lor beni ereditarj, e, strano capitolo in una riforma di abusi, si ordinò la punizion civile degli scomunicati. Gli aggravj che più ai baroni incresceano furon rivocati; moderato il servigio militare; disdetto ogni impedimento a’ matrimonj delle figliuole, e alla scossione dei giusti aiutorj (quest’era il vocabolo) su i vassalli; ristorato il privilegio del giudizio de’ pari; cessata la molestia dei servigi al fisco. A beneficio di tutta la nazione, il principe francò di dogane il trasporto delle vittuaglie da luogo a luogo nel regno; promesse coniar buona moneta; vietò le inquisizioni spontanee de’ magistrati; menomò la taglia per gli omicidj non provati; consentì i matrimonj delle figliuole de’ rei di fellonia; corresse gli abusi de’ servigi, e le baratterie degli officiali, simul, il fisco non rivendicasse beni, altrimenti che per decisione di magistrato; non incorporasse le doti alle mogli degli usciti; nè gli artieri si sforzassero a racconciar le navi regie, nè la città a murar nuove fortezze; i giustizieri e altri ufficiali, usciti dalla carica, restasser nel paese quaranta dì a rispondere di mal tolto. Quanto alle collette e altre imposte generali o parziali, il principe bandì: godessero i cittadini del reame di terraferma tutte le franchigie e gli usi de’ tempi di Guglielmo il Buono. Ma sendone oscure ormai le memorie, rimetteva in papa Martino descriver quelle consuetudini entro due mesi; comandava che due legati d’ogni giustizierato, a tale effetto si trovassero prestamente innanzi il papa: intanto nulla fornirebbero le città o provincie, nè anco in presto, fuorchè nei casi stabiliti dalle costituzioni. In ultimo, richiamò in vigore i recenti capitoli di re Carlo; a vegliar la osservanza dei presenti, deputò inquisitori a posta in ogni città e terra. Questi nuovi frutti raccoglieano i popoli di terraferma dalla siciliana rivoluzione6!
Intanto papa Martino senza studiarsi ad occultar la fiera passione
dell’animo suo, vibrava anatemi sopra anatemi contro Piero, e’
ministri, e’ guerrieri, e’ Siciliani tutti. Da Montefiascone a
diciotto novembre dell’ottantadue, dichiarolli involti nelle
scomuniche comminate già prima; e a Pietro ricantò: sgombrasse di
presente la Sicilia; non usurpasse il titolo, non esercitasse atto
alcuno di re. Al Paleologo, scomunicato d’altronde, comandò per nuovi
scongiuri di spezzar ogni legame con l’Aragonese. E, altro che
minacciar non potendo, diè nuovi termini a obbedire; a Piero ed a’
dimoranti in Italia, infino al due febbraio; al Greco e agli altri,
infino ad aprile e a maggio: fornito il qual tempo, i trasgressori si
rimarrebbero spogliati d’ogni feudo, possessione o diritto; sciolti
lor vassalli dal giuramento; date le facultà e le persone in balìa de’
fedeli che volessero occuparle, quest’era la formula, tolto il
pericolo di mutilazione e di morte7.
Ma poco appresso proruppe a comandar guerra e morte, non aspettato
pure il decorso de’ termini, «Sorga il Signore, esordiva da Orvieto a
tredici gennaio milledugentottantatrè, sorga il Signore, giudichi la
sua causa, per le offese che gli stolti vengongli recando ogni dì:» e
sermonando del racquisto di Terrasanta, attraversato da Piero e da’
Siciliani con molestar la Chiesa, «Iddio però, ripigliava, muova
contr’essi a battaglia; e noi, per divina misericordia forti
dell’autorità degli apostoli, esortiamo i cristiani tutti a levarsi
per noi, per Carlo nostro figlio diletto; qual muoia nella impresa
sciogliam dalle peccata, come se in guerra di luoghi santi8.»
In fine, a diciannove marzo, fulminò da Orvieto l’altra sentenza. Rinfacciò a Piero i primi suoi armamenti in Catalogna; il passaggio sopra l’Affrica, con forze non pari a tanta impresa; i messaggi a’ Palermitani per indurarli nella ribellione; le perfide ambascerie alla corte di Roma; la fraudolenta occupazione del reame di Sicilia. Ma la Sicilia, dicea, terra è della Chiesa; e anco feudo nostro l’Aragona, per l’omaggio prestato a papa Innocenzo terzo dall’avol di Pietro. Questo dunque sleale vassallo per tradigione deponghiam noi dal regno d’Aragona; altri ne investiremo a piacer nostro. Con ciò scomunicollo una terza volta: scagliò interdetto su quantunque città tenessero per lui9. Nella quale sentenza allegò Martino l’avviso dei cardinali; onde, se non mentì netto, cavillò; leggendosi nelle istorie del suo medesimo segretario, come parecchi fratelli del sacro collegio forte la dissentissero. Di ciò, segue il Malaspina, arduo sarebbe, e più da indovino che da fedel narratore, a scrutar la cagione: e anco toccando l’autenticità dei titoli del papa sopra Aragona, e il suo diritto alla deposizione di Piero, si dilegua in ambagi, con meschin temperamento tra istorico e cortigiano10.
Instava il papa inoltre a dissuadere Eduardo d’Inghilterra dal matrimonio della figliuola col primogenito di Pietro; costui dicendo persecutor di santa Chiesa; incesto il nodo per un quarto grado di consanguineità11. Sturbava per un vescovo suo fidato gli accordi tra l’Aragonese e la repubblica di Venezia, vogliosa dell’equilibrio del potere in Italia; onde parecchi suoi cittadini avean ricevuto messaggi di Pietro, e a lui mandatone12. Consentiva a Carlo differisse pure il pagamento del censo alla Chiesa13. Esortava nel reame di Castiglia i prelati, i Templari, i Gerosolimitani, e altre fraterie armeggianti a muover contro Sancio, presuntivo erede della corona, ribellatosi al padre, e collegato con re Pietro14. Liberava e preponeva al comando degli eserciti della Chiesa in Romagna il conte di Monteforte, quel sacrilego uccisore del principe Arrigo d’Inghilterra15. E come or tutte ritrar le brighe d’un tal potentato, stigato da ira di parte e vicin pericolo? Aspramente in vero travagliossi la pontificia corte in Italia a quel fortuneggiare di Carlo: smugneasi di danari per sovvenirlo16: vedea la Romagna corsa dal conte Guido da Montefeltro e sollevata; Roma più che mai immansueta17; e, vero o non vero, si disse di pratiche di que’ cittadini con lo stesso re di Aragona18.
La tempesta preparata per cotal modo, cominciò a scaricarsi appena allontanato di Sicilia re Pietro, quando Gualtiero da Caltagirone ripigliando animo, levossi alfine scopertamente; assalì in Caltagirone i leali stretti a schiera sotto lo stesso stendardo del re; e sparso assai sangue, occupò la terra, destò per tutto val di Noto uno spavento di novità. Ma l’infante Giacomo, che percorrendo la region settentrionale dell’isola, giovanetto vivo e benigno, era stato per ogni luogo onorato come re, e con grande amore accolto, e giuratagli fedeltà, sapute in Palermo le rie novelle di Gualtiero, insieme co’ suoi consiglieri sen turbò forte, ma forte provvide. A Guglielmo Calcerando vicario, e a Natale Ansalone da Messina giustiziere in quella provincia, fu scritto: andassero mansueti a Caltagirone; cautamente facesser gente e armi; poi d’un colpo di mano, per forza o per frode, prendesser Gualtiero. Fecerlo; chè pari allo stato non era animo nè senno in costui, nè la ribellione avea altre radici: e furono catturati con esso Francesco de’ Todi e Manfredi de’ Monti; sì prestamente, che l’infante cavalcando appresso i suoi spacci, non era giunto a Piazza che ’l seppe. Andò il ventuno maggio a Caltagirone: il dì appresso Gualtiero e i consorti, convinti dall’aperto sollevamento, e sì dalle confessioni di Bongiovanni e Tano Tusco, furono dal gran giustiziere Alaimo condannati, e immantinenti nel pian di Santo Giuliano dicollati; gridando il popolo: ammazza, ammazza. Bongiovanni e l’altro morian sulle forche a Mineo. A dì venzette maggio, racchetata ogni cosa, entrava l’infante, applaudito e festeggiato, in Messina19.
Dove fu mestieri allestir subito l’armata contro una prima fazione del
nimico; il quale ignorando che la controrivoluzione fosse stata spenta
sì tosto con arte e fortuna, si mostrava ne’ mari di Sicilia in questa
stagione. Perchè venute a Napoli di maggio le venti galee provenzali,
e tolti secoloro assai cavalieri del regno e Francesi, e sette legni
da ottanta remi, a Nicotra s’erano avviate a trovare il principe. Il
quale vedendo così rassicurati i mari da’ corsali siciliani, e
mercatanti di Terra di Lavoro e Principato ricominciare a navigarvi, e
recar vittuaglie alle sue stanze; e sentendosi già forte alle offese,
per prima dimostrazione, mandò l’armata provenzale a girar intorno la
Sicilia dal mar Tirreno e dall’Affricano, e, s’altra occasione non si
presentasse, vettovagliare il castel di Malta, che i nostri sotto
Manfredi Lancia, occupata l’isola, stringean d’assedio, e con macchine
percoteano20.
Ruggier Loria stavasi pronto nel porto di Messina con ventidue galee
catalane e siciliane, quando ebbe avviso della nemica flotta da’ suoi
legni sottili, o da barche di Principato, che navigavano con frutta e
vini furtivamente alla volta di Sicilia; le quali imbattutesi nella
flotta provenzale presso Ustica, se ne liberavano fingendo esser
indirizzate per Tunisi, e poi, volto il corso, approdavano a Palermo,
a Messina e a Trapani21. Presupposta a quell’avviso la fazion de’
nemici, la regina incontanente spacciò a Malta un legno da quaranta
remi a comandar che lasciato l’assedio della rocca, s’afforzassero i
nostri in città: e Loria, cercando la flotta di Provenza, die’ ai
venti le vele. D’Ustica la seguitò a Trapani e a Terranova, restando
indietro sempre due giorni; onde com’ei toccò Gozzo, a Malta la seppe,
che già avea sbarcato le genti, e investito, ancorchè invano, gli
assedianti in città. Indi a mezza notte innanzi l’otto giugno
milledugentottantatrè, salpando dal Gozzo, fu surto a traverso la
bocca del porto di Malta, con le ventidue galee ordinate a scaglioni.
Questa era la prima impresa che Ruggiero governava da ammiraglio: tra
la sua gente e la provenzale s’aveva a contendere il primato ne’ fatti
di mare. Perciò, sdegnando assaltare il nemico sprovveduto, fa suonare
a battaglia tutti gli stromenti; manda un legno a sfidare
Cornut; e accorgendosi come cento uomini francesi dal castello
correano ad imbarcarsi, da non curante li aspetta. Fe’ il nimico
ammiraglio riconoscer le nostre galee; e più baldanzoso per falso
avviso che fossero sol dodici, co’ suoi ventisette22 legni
impaziente die’ dentro, che appena facea l’alba.
Uguagliavansi i combattenti di cuore, d’orgoglio, e a un di presso di
forze; perchè il nimico ci vantaggiava nel numero degli uomini e de’
legni; cedea negli ordini del combattere, per cagion di que’ suoi
terzi vogatori23, nè pratichi nè aitanti al saettare, da meno assai
de’ balestrieri stanziali, freschi e spediti, ch’avea l’ammiraglio
nostro, contento di due uomini soli a ciascun remo. Dapprima
s’affrontano con ugual furore, con saette e sassi e calce e fuochi; ma
Loria comanda a’ suoi, che copransi alla meglio, e sostengan lo
scontro, lasciando i soli balestrieri a ferire: e così infino a
mezzogiorno si battagliò, e si sparse assai sangue; incalzando gli
uni, difendendosi gli altri soltanto. Ma come Loria s’accorse che già
mancavano i tiri a’ Provenzali, i quali invano li aveano sparnazzato;
e che prendean essi a lanciare fino gli utensili delle galee,
passò a ripigliar vivamente l’assalto. Leva il gridò: «Aragona
sovr’essi!» e robusti arrancando i nostri, feriscon di sassi e dardi,
e tutte lor armi i Provenzali, sprovveduti e stracchi; urtan di costa
le navi; spezzan remi, fianchi, prore; saltan all’abbordo con le spade
alla mano. Quest’impeto trionfò. Nol sostenne Bonvin, che con otto
galee sdrucite e insanguinate, a randa a randa la punta del porto,
prese largo alla fuga. Facil preda caddero i rimagnenti. Ma Guglielmo
Cornut disperatamente strignesi a combattere con Loria; spicca un
salto sulla galea catalana, o quei sulla provenzale, che in ciò
variano i racconti; e il Marsigliese cercando l’emulo suo, tanto menò
a cerchio d’un’azza, che sgombrò la ciurma, con lui scontrossi sotto
l’albero della nave. Ferillo alla coscia d’un lanciotto; e ’l finiva
con l’azza, se un colpo di pietra non gliela traea di mano: onde
Ruggiero, colto il tempo, strappandosi l’asta dalla ferita,
ritorcegliela in petto, e ’l passa fuor fuora. Così fornissi la zuffa.
Cinquecento rimaser de’ nostri tra feriti ed uccisi; ottocento
sessanta i nimici prigioni; morti poco più. Bonvin, sostato a cinque
miglia da Malta, fea gittare i cadaveri, affondar tre galee incapaci a
mareggiare; e con le altre cinque, sol avanzo dell’armata, tornò
portatore di lutto alle costiere di Provenza, ove pochi erano che non
avessero congiunto o amico da piangere. S’arrese poi a Manfredi Lancia
il castello: Malta e il Gozzo presentaron Ruggiero di munizioni,
gioielli, moneta. Egli, approdato a Siracusa, fa cavalcar corrieri per
tutta l’isola col nunzio della vittoria; spaccialo con un legno al re
in Aragona. Tornasi indi a Messina, strascinando a ritroso le navi
cattivate, e le nimiche bandiere, e tanto stuol di prigioni; de’ quali
la reina mandava a Piero in Ispagna dodici cavalieri; i gregari fea
lavorar nell’arsenale di Messina e al risarcimento delle mura; fu
chiuso in carcere Nicoloso de Riso, perdonandogli la pia regina
quella morte ch’ei ben meritava per le portate armi contro la patria24. Ma l’ammiraglio non posando a pascersi di lodi in corte, di plausi e festeggiamenti in città; e volendo trarre del tutto a’ nemici la voglia di venir sopra l’isola, rifornita in pochi giorni la flotta, spingeasi lungo le costiere di Calabria e Principato; presentandosi minaccioso infino allo stesso porto di Napoli. Il presidio fe’ prova a rispingerlo saettando; ed ei, messi all’opra i suoi balestrieri, spazzò la riva. Allora fa appiccar fuoco a navi, attrezzi e munizioni navali, accatastati nel porto: passa indi a Capri e ad Ischia; prende d’assalto quelle deboli castella; e pieno di preda, torna in Sicilia a svernare25.
Intanto i due re in ponente menavano gran rumore per lo duello, del quale è bene i particolari tutti narrare. Ad ovviarlo s’era adoprato papa Martino, solo in questo moderato e pio tra tanta intemperanza d’ira: di che ci restano irrefragabili documenti, e distruggono una fola di Giachetto e del Villani, che favoleggiaron pattuito innanzi Martino il combattimento; posta premio al vincitore la corona di Sicilia; Pietro, per la diffalta a quella tenzone, scomunicato e spoglio del regno26. Tutto al contrario, il papa indirizzò a Carlo una grave epistola il dì cinque febbraio dell’ottantatrè. Severo assai perchè assai l’amava (così scriveagli), il riprenderebbe di quegli stolti patti, di quelle disoneste imprecazioni stipulate nei diplomi, di quella, non prova di ragione, ma di vanità e ferocia. E non s’accorgea della magagna dell’Aragonese, che, minore assai di esercito, l’adescava a misurarsi da uguale? Vietati, dicea, dalla religion del vangelo questi certami alle private persone, non che ai reggitori de’ popoli. Pertanto non s’attentasse a combattere: ei, vicario di Cristo, lo sciogliea da’ giuramenti presi; persistendo, minacciavalo di censure, e di quanti i altri gastighi sapesse trovar contro di lui la romana corte27. Rincalzò lo scritto con la viva voce del cardinale di san Niccolò in carcere Tulliano, e di quel di santa Cecilia, mandato in Francia con lo stesso Angioino28. A re Eduardo, per un’altra epistola del cinque aprile, sotto l’usata minaccia, inibì di star guardiano del campo, di far entrare in Guascogna i combattenti29: al medesimo effetto, scrisse non guari dopo a Filippo l’Ardito30. Ma alfine lasciò fare, o perchè vide non poter vincere la pertinacia di Carlo, o perchè entrò nei disegni di Carlo e della corte di Francia, che sembrano men lievi e men innocenti d’uno sfogo cavalleresco31.
E l’Inglese, richiesto da Carlo, dopo alquanto differimento, rispondea, gli manderebbe messaggi; e Goffredo di Grenville e Antonio Bek inviò, portatori d’una lettera, ove conchiudea: non se a lui ne tornassero ambo i reami di Sicilia e Aragona, lascerebbe compier tanta crudeltà al suo cospetto, nè in sua terra, nè in altro luogo ove potess’egli attraversarla32. Significò al principe di Salerno avere risposto a Carlo un no assoluto33: gli stessi legati mandò a re Pietro34. Alfine, a trarsi d’impaccio del tutto togliendo ogni luogo all’assicurazione del campo, comandava al siniscalco di Bordeaux, che tenesse la città a disposizione di Carlo e del re di Francia35.
Ma i due nemici re tuttavia sceneggiavano. Pietro, di Sicilia commise ad Alfonso in Aragona, che scegliesse i campioni; che ne scrisse poi cencinquanta, perchè in ogni caso non mancassero i cento; ed eran Catalani, Aragonesi, Italiani, Siciliani, Alamanni, e anco un figliuol del re di Marocco, disposto a convertirsi alle fede di Cristo se n’uscisse con vittoria. Carlo dal suo canto fabbricar facea a Parigi cento armadure finissime; e, partitosi da corte di Francia, tutto ordinava al duello, o a farne mostra; e raccolse infino a trecento campioni, per la ragion medesima dell’avversario; che de’ cento primi, sessanta eran Francesi, Provenzali il resto. Vi si pose in lista ancora Filippo; e a tutti i suoi baroni comandò si trovassero al duello36: onde tal romore ne corse per lo reame, che in ogni luogo la nobiltà fremeva arme, cavalcava, sperando entrar nella battaglia, o, se non altro, vederla: e traeano a torme a Bordeaux, come se già si rompesse la guerra. Indi in que’ piani re Carlo fe’ costruire assai capace la lizza, bislunga, girata di gradi a guisa d’anfiteatro, saldissima di legname e di ferro, con due alloggiamenti per le due bande nimiche, affortificati di steccato e fosso; l’uno all’un capo, l’altro all’opposto presso la porta, ch’unica se n’aprì per l’entrata e l’uscita. Ma queste vicine stanze ai Francesi, le prime assegnavansi a que’ d’Aragona; onde si bucinò, che divisassero i Francesi, restando vincitore il nimico, occupar con gente di fuori la porta, e, chiuso nello steccato, farne macello. Maggiori sospetti destava il raccontato armamento universale di Francia, e ’l sapersi tutti i passi d’intorno Bordeaux occupati da gente francese.
Navigò Pietro di Trapani ver ponente a golfo lanciato; ch’entrato in mare il dì undici maggio, forte il travagliava un timore di non giugnere a tempo. A ostro da Sardegna, l’investe un tempo fortunale; ed egli accorgendosi che a vele non si facea, rinforzate di remiganti due delle galee, passavi dalla sua nave con tre soli cavalieri: comanda di guadagnar l’isola a ogni costo, mare e venti spregiando, e i pirati frequentissimi; e a Ramondo Marquet, l’ammiraglio, che lo scongiurava non si gettasse tra tanti rischi: «No, rispose, perch’io mi trovi alla battaglia, quanto mortale far possa, io il farò. Il mio fato, qual che siasi, è scritto, è immutabile; e meglio conviene a’ mortali darsi impavidi alla fortuna, che far vani sforzi a fuggirla.» Con tale animo, rifocillatosi a terra un istante, si commette di nuovo sul legno, contro un ponente che il traportò fino a vista d’Affrica. Maledisse allora i fati che ’l traeano a parer mancatore e spergiuro: per ansia e travaglio tre dì non prese alimento. Ma fur sì destri i suoi, che al terzo giorno toccavan Minorca. Quivi il re cibossi; valicò il mar fino a Cullera; e co’ tre soli cavalieri, si trovò il diciannove maggio a Valenza.
Trafelato ancor dal viaggio, ivi intende que’ sospetti e quel
romoreggiar de’ Francesi, fatto, se non altro, a spaventarlo sì che
non vada a Bordeaux. Pensava non poter con sè condurre tant’oste da
fronteggiarli; nè fallar volea la promessa, nè sprovveduto gittarsi in
gola ai nimici: ma poco penò a trovare un partito. Ai suoi campioni,
già pronti e venuti presso i confini, comanda che ciascun resti là
dove abbia saputo prima il sopruso degli avversari. Spaccia Gilberto
Cruyllas al siniscalco del re d’Inghilterra, a domandarlo di sicurare
il campo; e gli fa cavalcar appresso un nuovo messaggio ogni dì, per
aver frequenti avvisi, e render solita per quelle strade la vista
d’uomini del re d’Aragona. Ei co’ tre fidatissimi cavalieri, Blasco
Alagona, Berengario Pietratallada e Corrado Lancia, cavalcò senz’altra
brigata con Domenico Figuera da Saragozza, mercatante di cavalli,
usato a trafficare in Guascogna, pratichissimo de’ luoghi; dal quale
volle sagramenti terribili del segreto; nè altri in corte seppe questo
viaggio, non lo stesso infante Alfonso. Armossi il re d’un giaco di
maglia sotto i panni, d’una celata sotto il berretto, s’avvolse in un
vecchio mantello azzurro, prese in mano una zagaglia, la valigia sul
caval suo per parer famigliare del mercatante; e gli altri più
poveramente si vestian da mozzi; il Figuera in onorevole arredo e
sembianza; li maltrattava, albergava solo; servialo a mensa il re, e
gli dava acqua alle mani. Così prendeano la via di Tarragona, montati
su veloci palafreni, mutandoli di posta in posta; così richiesti ai
passi, rispose il mercatante che con que’ famigliari andasse per sue
faccende; e, deluse le insidie, il dì trentuno maggio a nona si
trovarono sotto Bordeaux.
Incontanente il re manda a città Berengario, figliuolo del Cruyllas,
chè trovato segretamente costui, venir facesse fuor le mura il
siniscalco inglese Giovanni di Greilly, con dir che un cavaliere amico
suo il dovea richiedere d’alto affare, e sì menasse un notaio.
Giovanni a sera andò: al quale Piero, infingendosi ambasciador
novello, ridomandava se venir potesse il re d’Aragona; e quei risoluto
rispondea che no: saper vicine grosse torme di cavalli francesi: re
Eduardo non aver assicurato mai il campo: nè or, volendo, il potrebbe,
congiunte ancor le sue forze a quelle del re d’Aragona: ciò aver ei
poco innanzi protestato a Gilberto. E Piero il pregava che gli
mostrasse la lizza: alla quale condotto, gittatosi alle spalle il
cappuccio, al siniscalco si appalesò. Que’ premurosamente lo
scongiura, s’involi per Dio ai nemici. Il re montato il suo destrier
di battaglia, tre volte accerchia l’arena; surto nel mezzo, dice
solennemente al siniscalco e al notaio, esser venuto a mantener la sua
fede; non restar per lui che non si combatta, ma per la perfidia de’
nemici. Una protestazione fe’ stenderne in buona forma; attestandovi
il Greilly la venuta del re d’Aragona, e l’ordine d’Eduardo di
rassegnar la città a Filippo ed a Carlo. Lasciò all’Inglese il re
d’Aragona le armi sue; pregollo che soprastasse alquanto a divulgare
il fatto; e speditamente galoppò, tornandosi per la via di Baiona.
Giunto a questa città tutto spunto e rabuffato, che da tre dì non
chiudea ciglio, promulga una protestazione; manda lettere e nunzi a’
principi di cristianità; e aspettandosi la guerra, richiama in patria
i sudditi suoi che si trovassero in Francia.
Carlo dall’altro canto, trovatosi infin dal venticinque maggio a
Bordeaux, come il dì stesso del duello seppe dal siniscalco la venuta
dell’avversario, indragato mandava cavalli a inseguirlo, che per
l’avvantaggio delle mosse invano s’affaticarono; e col Greilly n’ebbe
acerbissime parole, e trapassò infino a farlo sostenere in
palagio, ma tosto liberollo vedendo ammutinarsi i cittadini a tal
violenza. Poi quel dì stesso, armato di tutto punto coi suoi campioni,
stette Carlo infino a meriggio nel campo: e una oste francese, chi
dice di tremila cavalli, chi di cinquemila, e chi assai più,
baldanzosa ingombrava i dintorni della città. Carlo protestò
superbamente, gridando in palese falso e codardo re Pietro; ma entro
di sè mordendosi, dice lo stesso Saba Malaspina, d’aver ordito tela di
ragni: e narra d’Esclot, ch’ei chiamava questo fier nimico: non uomo,
sì demonio d’inferno, e peggiore, perchè al segno della croce il
diavol dileguasi, ma contro costui non avvi argomento; tel credi lungi
le mille miglia, e tel senti sul collo. L’undici giugno infine
lasciata Bordeaux, non tardava il Francese a promulgar in Italia una
interminabile diceria de’ torti di Pietro, e delle ingiurie ch’avea
ingozzato costui. Così la commedia terminossi. Nei raccontati fatti a
un di presso accordansi tutti gli storici contemporanei, ancorchè
diversi in qualche particolare, e secondo lor parte sforzantisi ad
accusar chi Pietro e chi Carlo. Noioso e inutilissimo parmi entrare in
questo giudizio. Ma è indubitato che il Francese con tanto stuolo,
Pietro nascosamente, ambo pur s’appresentarono: ch’Eduardo non v’era,
nè assicurava il campo. Il giurato patto portava di trovarsi a
Bordeaux il primo giugno, non di combattere, se non dinanzi il re
d’Inghilterra, o secondo nuovo trattato. Amendue perciò in realtà
elusero il bizzarro lor patto, osservarono in apparenza; e da ciò
trassero argomento a gittar l’uno su l’altro la vergogna; il che in
fondo era il solo intento di entrambi37.
Le trame di Gualtiero distratte, la sconfitta di Malta, l’audace
correria del nostro ammiraglio, sforzarono il principe di Salerno a
rimetter pure l’impresa all’anno appresso; mentr’egli, allestite in
Brindisi altre galee e teride, già col conte d’Artois da un dì
all’altro pensava imbarcarsi38. Indi con quell’adoprar attivo e
solerte, ch’è pur dote de’ mediocri, ma gli effetti il distinguono dal
valor vero, questo Carlo che, degenere dal padre, in sua vita molto si
arrabbattò e nulla mai fece, preparò grandi macchine e videle ruinare
a un soffio, or tutto inteso al passaggio di Sicilia dell’anno
vegnente, la prima cosa perdè l’intento ch’avea sudato a procacciare
testè con le riforme e promesse a’ sudditi. Perchè non dismettea le
antiche gravezze, le esacerbava anzi con francarne i Provenzali39 e altri stranieri; ridomandava imprestiti ai comuni di
terraferma; nè facea senno all’aperto niego di quelli40. Errò ancora
a credere i popoli bambini troppo, quando appresentatisi al papa i
deputati delle province per la promessa riforma dei tributi, Martino,
che giocava d’accordo con Carlo, diessi a pretestare memorie incerte,
necessità di una sottile esamina, e questa commise al cardinal
Gherardo, legato a Napoli41; tanto più affrettandolo per lettere
quanto più bramava mandar la cosa a dilungo. Perciò nel reame di
Napoli gli umori desti dalla siciliana rivoluzione e da’ travagli che
durava casa d’Angiò, e anco dalle benevole dimostrazioni di casa
d’Aragona, tornavano ad agitarsi. In Sicilia al contrario, allontanato
quel valor molesto di Pietro, quetavano i popoli nel mite reggimento
della regina Costanza: e sì tranquillo corse quell’anno, che sol de’
casi di fuori scrivono i nostri storici; e Montaner afferma,
irrefragabil prova del buon governo, che dopo la comun gloria della
battaglia di Malta, Siciliani e Catalani più che mai s’affratellavano
e strigneansi d’amistà e di parentadi42. Per questi cagioni la
regina di Sicilia potè allor tentare, e ’l vicario di Napoli non seppe
rintuzzare nello stesso cuor del suo regno, un’assai temeraria
fazione.
Ebbe in quel verno gran caro di vittuaglie in Italia. Donde Scalea, Santo Lucido, Cetraro, Amantea, mosse dalla penuria o dalla mala contentezza (chè Scalea l’anno innanzi era stata la prima in terraferma a darsi a re Pietro), si proffersero alla regina Costanza, s’ella provvedessele di viveri e difendesse; la qual pratica condussero alcuni Scaleotti usciti per omicidî e riparati in Sicilia; e volentieri l’assentì la regina. Mandovvi pertanto con otto galee un forte di almugaveri, e alcune teride cariche di grano; onde il pregio di esso d’un subito si ammezzò43, a grande sollievo dei terrazzani. Ma gli almugaveri, messo piè a terra, diersi a infestare tutto val di Crati e Basilicata: contro i quali movendo il giustiziere di val di Crati con grosse torme di cavalli, aspettatolo a lor uso in una stretta gola, rupperlo con strage, e l’inseguirono infino a un castello del vescovo di Cassano, ove poser l’assedio. Sopraggiunto di Sicilia il conte di Modica, e con esso pochi cavalli e più feroci frotte d’amulgaveri, peggior travaglio diè a Basilicata. Prese alcune castella e la terra di San Marco; quivi della chiesa de’ frati minori fe’ un ridotto assai forte; mal conci ne rimandò Rizzardo Chiaramonte e altri baroni venuti con maschio valore contr’esso; i quali non furon punto imitati dagli altri feudatari del regno, scontentissimi del governo angioino. Invano di maggio dell’anno seguente si fece un altro appello alle milizie feudali del reame di Puglia per venire a oste a Scalea, e anco mandovvisi, sotto il comando di Ruggier Sangineto, gente assoldata in Toscana; perchè sempre tennero il fermo i nostri: e patiron quelle province correrie, ladronecci, notturni assalti44; che appena si crederebbe, standovi a manca il campo di Nicotra, a destra la capitale, e per tutto il regno guerriere voci e apparecchi.
Il papa, non vinto pe’ falliti disegni dell’anno innanzi, ma rifacendosi ad ogni ostacolo sempre più pertinace e voglioso, sforzavasi a ritentar ora la prova, fin trascurando i propri pericoli e bisogni: Roma per carestia tumultuante; accanita ad assediare in Campidoglio il vicario di re Carlo45; esausto l’erario pontificio; necessitato a incettar grani in Puglia, perchè i Romani non facesser peggio46. E pria rinnovò le scomuniche il dì della cena del Signore, quel dell’Ascensione, quel della dedicazione della Basilica di san Pietro, con molto studio a promulgarle per tutta l’Italia, e massime a Genova47; ove molti cittadini per interesse di parte ghibellina eran disposti ad aiutare il nuovo principato in Sicilia, e pendeano anco a questo i magistrati della città, tentati invano da Filippo l’Ardito a collegarsi con la Chiesa e Carlo contro il re d’Aragona e a stento tirati a promettere una stretta neutralità48. Le decime, non per anco scadute, delle chiese di Provenza, d’Arles e degli altri domini di Carlo a lui assegnò per la siciliana guerra; dando autorità ai legati pontificî di sforzare i vescovi al pagamento49. A Venezia s’adoprò, sollecitato dal principe di Salerno dopo la sconfitta di Malta, ad armargli una ventina di galee, offrendo porger da’ tesori apostolici cinquemila once d’oro: ma l’accorta repubblica rispose: «Nè al re d’Aragona, nè ad altri cristiani moverebbe mai guerra senza cagione50;» e richiamò in osservanza un’antica legge per la quale vietavasi ai privati di prender l’armi per alcuno stato straniero, senza permesso del doge e d’ambo i consigli; bello statuto secondo ragion pubblica e delle genti, del quale sdegnossi pure la corte di Roma come d’offesa, e pel cardinale di Porto, legato, scomunicò Venezia, ribenedetta poi nell’ottantacinque da papa Onorio per maggior prudenza di stato51. Tre legati del principe venivano inoltre a Martino, a ridomandar moneta pel passaggio di Sicilia; ed ei dando di piglio nei tesori delle decime di tutta la cristianità, levate già per la impresa di Terrasanta da papa Gregorio e dal concilio di Lione, or ne forniva per la guerra siciliana ventottomila trecentonovantatrè once d’oro, non picciola somma, secondo que’ tempi: ordinando bensì che la più parte si maneggiasse dal cardinal Gherardo, in cui più fidava52. Altri danari da altre epistole di Martino appaion sovvenuti al principe di Salerno. Il quale spintosi infino a chieder le genti pontificie che in Romagna militavano condotte dal prò conte Giovanni d’Eppe, le assentia Martino, senza curarsi della sua stessa vacillante dominazione in que’ luoghi53. Alfine il due giugno, tre dì innanzi il precipizio dell’impresa, papa Martino da Orvieto la rincalzava con bandire la crociata contro cristiani. A sue accuse vecchie e stracche aggiunse: ricettarsi eretici in Sicilia; vietarsi agl’inquisitori di perseguitarli; torsi a Terrasanta le vittuaglie. Donde commise al cardinal Gherardo, che predicasse contro re Pietro e’ Siciliani scomunicati; e, attendendo solo a far numero, desse a tutt’uomo la croce, senza guardare a sua origine o nazione54.
Nel medesimo tempo re Carlo attendeva in Provenza ad accattar danari e
allestir navi a questo nuovo assalto di Sicilia55; e al medesimo
effetto il figliuolo, fatta dimora a Nicotra infino all’autunno del
mille dugentottantatrè, e lasciato quivi con l’esercito il conte
d’Artois, tornossi a Napoli, donde secondo i casi sopraccorreva qua e
là per tutta Puglia56. A raccor danaro studiossi sopra ogni altra
cosa, perchè senza fine ne ingoiava la guerra. Ondechè, usando
l’autorità datagli dal padre a torre in presto infino a centomila once
d’oro con sicurtà su tutti i suoi beni e reami, non contento ai
sussidi del papa, nè ai tributi generali del reame di
Puglia57, accattava grosse somme da mercatanti toscani con
guarentigia dello stesso Martino e delle decime ecclesiastiche58: e
quando il bisogno più strinse, impegnò per poca moneta vasellame
e arnesi d’argento59; smunse la borsa del cardinal Gherardo e
d’altri privati60; richiese altre sovvenzioni alle città più
docili61; vendè il perdono di misfatti62; sforzò nuovamente il
valor della bassa moneta63; e con la riputazione del
cardinale, in un concilio di tutti i prelati convocato a Melfi,
strappò loro la promessa di due anni più di decime ecclesiastiche, e a
riscuoterle deputò immantinenti suoi commissari; dagli ordini dei
frati cavalieri ottenne aiuto di gente o compenso di danari64. E gente richiedea per tutta Italia, in Toscana, in Romagna, in
Lombardia, da comuni, da privati condottieri, cui assicurava del
pagamento con sì efficaci parole, che mostrano quanto si dubitasse de’
fatti65. Chiamò al servigio feudale tutti i baroni; che, fatta a
Napoli la mostra, n’andassero in Calabria all’oste di Artois66;
molti allettò con sue concessioni novelle67. A’ capitani di parte
guelfa in Firenze raccommandò sollecitasser le galee promesse da
Pisa68; n’assoldò Genovesi69, oltre le pisane che veniano con
l’armata del padre. Il comando della sua flotta affidò a Iacopo de
Brusson, vice ammiraglio; provvide con estrema diligenza ad allestir
navi, raccor vittuaglie, fornire smisurate macchine da guerra,
maneggiate da’ Saraceni della colonia siciliana di Lucera, de’ quali
molti anco assoldò arcadori a cavallo, uomini d’arme, e fanti: nè
altro si legge in quella stagione nei registri della cancelleria di
Napoli, che di soldati, munizioni, quadrella per l’armata. Fino una
nuova armatura per sè fece fabbricare in Napoli questo principe,
correndo con gran furore nella militar carriera, nella quale a capo di
pochi mesi trovò tal duro contrattempo, che non osò ripigliarla più
mai70. Questo spaventevole strepito d’arme empieva il reame di
Napoli di primavera d’ottantaquattro, perchè i governanti angioini,
dopo l’esito infelice dell’anno innanzi, fidando or meno nella via
delle opinioni, vollero ritentare una prepotente forza d’armi,
come nell’ottantadue; se non che Carlo tenne tuttavia qualche pratica
con baroni di Sicilia, sì infruttuosa quant’eran deboli qui gli
umori di controrivoluzione. Nondimeno temendo qualche assalto dell’audace flotta nostra mentre esso armavasi, pose il nemico in questo tempo una straordinaria cura a guardar le costiere di terraferma71. Suo intendimento era insignorirsi al tutto del mare, schiacciando la nostra armata se s’attentasse uscire, e se no, inchiodandola ne’ porti; e poi, sbarcato l’esercito nell’isola, non più campeggiar luoghi forti, ma dare il guasto al paese, bruciar le messi, divider le città, e desolate sforzarle a sottomettersi. Vietava Carlo al figliuolo qualunque fazione pria ch’egli venisse di Provenza con la flotta72. Trenta galee tenea pronte il principe a Napoli, quaranta a Brindisi. Entro pochi dì, operata la congiunzione di tutta l’armata ad Ustica73, cento navi da battaglia e più assai da trasporto, verrebbero a por la Sicilia a soqquadro.
A tempo il seppe Giovanni di Procida, gran cancelliere, pei suoi molti rapportatori che in terraferma vegliavano assidui il nimico. Onde nel consiglio della regina, considerato il grave frangente; lungi il re; non esercito pronto; poca l’armata, l’audace partito si deliberò in cui solo era salvezza: assaltare gli Angioini risolutamente pria che tutte adunasser le forze. A ciò trentaquattro galee e più legni minori s’armano in fretta nel porto di Messina, di scelta gente catalana e siciliana, di finissime armi, di nobili arredi. Come la flotta fu in punto, Costanza fatto a sè venire, coi capitani minori e i piloti, l’ammiraglio, nudrito seco del medesimo latte, educato in sua corte, con vive parole rimembragli l’affetto della casa reale d’Aragona: tutto per lei andarne su quest’armata; l’onor del re, la corona, sè stessa e i figliuoli a due soli commetteva, a Dio e a Ruggier Loria. A questo dire le s’inginocchiava ai pie’ l’ammiraglio, e co’ riti dell’omaggio feudale, poste le sue nelle mani della regina: «Non fu unque vinto, le rispose, lo stendardo reale d’Aragona; nè oggi il sarà. Fidane, o regina, nel sommo Iddio.» Non senza lagrime allora gli altri guerrieri giurarono; li accomiatò Costanza; li salutò il popolo allo scioglier dal porto; e a Dio, alla Vergin Madre ne pregavan vittoria. Fece porre l’ammiraglio a una vicina spiaggia; in terra fe’ la mostra di tutte le genti; con brevità da soldato arringò: avrebbero entro due settimane una grandissima battaglia: andrebbero incontro a due flotte, l’una surta nel porto di Napoli, l’altra che venia di ponente. «Son settanta galee; ma come noi ci troviamo armati, o guerrieri, non paventiamo le cento.» E le soldatesche risposer d’un grido: «Andiamo andiamo, nostra è la vittoria.» Costeggiate le Calabrie, tennero il golfo di Salerno. Da ciò in Napoli nacque una voce, che Piero, tornato d’Aragona subitamente con tutta l’armata, navigasse pe’ mari di Principato. Mandovvisi a far la scoperta un genovese Navarro con legno da sessanta remi74: e costui un altro falso avviso riportò, frettolosamente riconosciuta la flotta da lungi per sole venti galee e poche fuste. Vantò dunque, tornato, che sarebbero anco troppe le ventotto galee del principe e la sua nave. Talchè salito in superbia il giovane Carlo, ordinava d’uscir contro al nimico; ma i Napoletani, che punto l’amavano, non vollero armarsi per lui.
Ruggiero in questo volteggiava cautamente fuori il golfo di Napoli, ignorando ove fosse re Carlo con la flotta provenzale; e volea cogliere il tempo a slanciarsi o su lui o sul principe. A Capri dunque ancorò dapprima, divisando fare una dimostrazione sopra Baia, e indi appressarsi se potesse trar fuori il principe con avvantaggio; e, se no, far prora verso la Sicilia, e poi la notte volgere a Ponza, e in quel canale aspettare l’armata del re. Ma non uscito alcuno da Napoli come ei si pose a scorrere per isolette e lidi, guastando i colti e mettendo a taglia e a sacco le terre; e venutagli presa in questo una saettia di re Carlo, onde seppe che con trenta galee provenzali e dieci pisane venisse ad una o due giornate d’ordinario viaggio, Loria, vedendo sovrastar la temuta unione delle due flotte nimiche, consultane di nuovo coi suoi più pratichi; e si deliberò di combattere quella del principe, immantinenti, a ogni costo. Ondechè venuto a Nisita la notte, e prese in quel mare due galee di Gaeta, Ruggiero armolle per sè, spartiti i prigioni in tutta l’armata, la quale sommò a trentasei galee, oltre i legni sottili. Inviò il catalano Giovanni Alberto con una fusta a riconoscer la flotta di Napoli; e seppene il vero numero, e che tutta la spiaggia luccicava di fuochi e d’armi. Indi all’alba minacciando con gran mostra, apparve fuori il capo di Posilipo, alla Gaiola.
Era il cinque giugno milledugentottantaquattro. Le depredazioni e gli
oltraggi de’ nostri nei dì innanzi; i conforti de’ nobili che tenean
per la corte; questa recente ostile baldanza, commossero sì gli animi,
che avuto avviso la notte stessa dell’armata siciliana surta a Nisita,
il popolo preso di novello ardire, chiede battaglia; suona le campane
a martello; Francesi, regnicoli, cavalieri, plebei alla impazzata
rapiscon le armi, corrono a’ legni, in tanta pressa che per poco non
li fecero andare alla banda. E gli ottimati, per parere, dice Saba
Malaspina, chi fedele e chi gagliardo, consigliavano sì il combattere:
sopra ogni altro il conte d’Acerra, favorito del principe Carlo,
stigollo a montar in nave egli stesso, per dar animo ai combattenti.
Indi nè ragione, nè autorità il trattenne del cardinal Gherardo,
il quale, non perduta la memoria di quelle aspre battaglie di Messina, ammonialo ad esser cauto contro i Siciliani, ubbidire i comandi del padre, aspettare l’armata e con essa la vittoria; non si gittasse al laccio tesogli da Ruggier Loria. Ma da queste parole anzi aizzato, più ratto il principe s’imbarcò: e prima ordinò d’imbandire a corte uno splendido convito per festeggiar la vittoria. Con lui furono Iacopo de Brusson vice ammiraglio, Guglielmo l’Estendard, Rinaldo Galard, i conti di Brienne, Montpellier e Acerra, frate Iacopo da Lagonessa, e più altri baroni. A ventotto o trenta sommarono le lor galee, tutte del regno; armate le più di regnicoli, poche di Provenzali e Francesi.
Loria allora quasi fuggendo si difilò a Castellamare, per guadagnar l’avvantaggio del sole alle spalle, o per trarre in alto mare i nemici, e lasciarli disordinar nella caccia. Schiamazzando e urlando l’inseguon essi: volano innanzi a tutte le altre, due galee capitanate da Riccardo Riso e Arrigo Nizza, Siciliani rinneganti la patria, che chiamano Loria a gran voce, ed «Ove fuggi eroe? gridangli; ma invano t’involi, invano; vedi, i tuoi ceppi son qui!»; e mostrangli le catene. E muti i nostri a vogare. A quattro leghe restano; rivoltan le prore; l’ammiraglio in un battello scorreva a rincorarli: «Mirateli, scompigliati da sè stessi; gente che non vide armi, o non vide mare giammai: gridan essi, e noi feriremo.» A linea di battaglia ordinò venti galee, serrate tra loro; fe’ rassettare i remi, sgombrar le coverte; schierovvi i balestrieri; il rimanente delle navi pose a retroguardo, che non entrasser nella mischia senza un estremo bisogno. Allor si die’ nelle trombe; levossi il grido «Aragona e Sicilia:» e piombò la nostra armata su i nemici, già a tal variar di consiglio attoniti e palpitanti.
E ruppeli in un attimo; chè, non aspettato lo scontro, diciotto galee
di Napoli, Sorrento, e Principato diersi a fuggire; lasciando
solo il principe con la sua galea, e quattro di Napoli, due di Gaeta,
una di Salerno, una di Vico, una di Scio, a disputar l’onore, non più
la vittoria. I Francesi, ancorchè non avvezzi nè fermi in nave,
combatteano con maschio valore. Più numerosi e franchi al maneggiar le
navi, Catalani e Siciliani urtavan di prua, spezzavano i remi al
nimico, gittavan fuochi alle tolde, sapone e sego sui banchi, polvere
di calce alle viste, scagliavan sassi e saette: e pure gran pezza non
li spuntarono dalla difesa. La strage indi si mescolò; spenta gran
parte di quei prodi cavalieri di Francia, il numero vinse. Sola
restava la galea del principe: accerchiata, squarciata, invasa da’
nostri la prua, e mezza la nave; ma un fior di gagliardi stretti a
schiera intorno al principe, che piccino e zoppo mal s’aiutava, fecero
incredibili prove; e sopra tutti Galard, uomo d’erculee forze, quanti
colpi tirava tanti feriva o uccidea, o di peso scaraventava gli uomini
in mare. A tal pertinacia, Loria comanda che si sfondi la nave; e i
nostri già saliti le dan d’entro coi pali; un Pagano, trombetto e
marangone fortissimo, attuffò per bucarla con un ferro: rotta in sei
luoghi calava la galea, gridavano i marinai, ma non udianli i
combattenti. Addandosene alfine Galard: «Salvatene, sclamò, vostra è
la fortuna; qui il principe, qui a voi s’arrendono le migliori spade
di Francia!» Gridava l’Estendard, sacra fosse la persona del principe.
E questi togliendosi la spada, tra i nostri domandò: «Qual v’ha
cavaliero?» e rispostogli dallo ammiraglio, a lui la rendè; e accettò
la mano stesagli da Ruggiero perchè lesto sulla sua nave salisse, che
l’altra già sommergeasi. Nove galee fur prese: una delle quali
velocissima involandosi, Ruggiero le spiccò alla caccia la galea
catanese di Natale Pancia; e parendogli perder lena i remiganti,
minacciò di farli tutti accecare se non tornassero colla nimica nave:
talchè per mortali sforzi la sopraggiunsero; sapendo Ruggiero uom da tener la cruda parola, grande nelle virtù, grande nei vizi,
di smisurato valore e brutale ferocia75.
Alla battaglia seguì un ridevol caso. Avea fatto Ruggiero assai onore
al principe: e questi riccamente armato, in mezzo a molti cavalieri
sedea nella capitana, quando una barca di Sorrento si appressò con
messaggi del comune; i quali, credendolo l’ammiraglio, offriangli
quattro cofani di fichi fiori e dugento agostali d’oro «per un taglio
di calze; e piacesse a Dio, seguiano, che com’hai preso il figlio,
avessi anco il padre; e sappi che noi fummo i primi a voltare.»
Sorrise il principe, e a Loria disse: «Per Dio, ch’ei son fedeli al
re76:» ma lamentando la slealtà dei soggetti, scordava il giovin
Carlo chi fosse stato il primo a infrangere il social patto, e la
crudeltà scordava del suo governo, l’avarizia, la superbia, la
tirannide sconcia e brutale.
E al castel dell’Uovo77 suonavano di pianti femminili le stanze della principessa, ch’era salita sul più rilevato scoglio fin quando Carlo salpò; e fitti gli occhi sulle navi, avea visto l’affrontata, e la fuga, e sparir la galea capitana; nè sapea spiccarsi dal guardare, dileguata anco la flotta napoletana, e caduto il dì. Pallido e ansioso a lei venne il cardinale, spaventato dal minaccevole aspetto della plebe: e pensando insieme a que’ prodi, or li temeano uccisi, or li speravan prigioni; quando due galee siciliane approdarono con una lettera del principe. A lui, trepido di sua sorte in guerra spietata, l’ammiraglio avea richiesto sciolta di presente la Beatrice, giovanetta e bella figlia di Manfredi, ch’orfanella passò dalla cuna al carcere di Carlo, e ivi stette come sepolta. Scrivea il principe dunque, si rendesse immantinenti la donzella: e i Siciliani aggiugneano che se no, lì, sulla galea, in faccia a Napoli a lui mozzerebbero il capo. Indi la principessa a cercar Beatrice, a donarle gioielli e femminili arredi, e gittarsele ai pie’ che salvasse per Dio la vita a Carlo suo. Recarono alla flotta con molto onore Beatrice; e si sciolser le vele. Alle bocche di Capri, Riso e Nizza, come traditor maledetti, furon sulla galea di Loria dicollati. Entrò l’armata nel porto di Messina78.
Dove al primo scoprir quelle vele, con susurro e ansietà precipitava il popolo alla marina, d’ogni età, d’ogni sesso; ma visti i segni della vittoria, e le galee prese, e saputo prigione il principe di Salerno con tanti baroni, inenarrabile allegrezza si destò. Sbarcate le turbe de’ prigioni, proruppe il volgo, com’e’ suole in ogni luogo, a insultarli; ricordando a gara la tirannide, l’assedio, le scambievoli offese, e molti le abborrite sembianze de’ baroni stati loro oppressori: onde aprian la calca i più avventati, e feansi a guardarli faccia a faccia, e dir dileggiando: «Chi fuvvi maestro a battaglie di mare? Oh sventura! dar le spade voi a Catalani ignudi, a Sicilian galeotti! Eccovi la seconda fiata trionfanti in Messina!» A schivar peggio, il principe sbarcò travestito da soldato catalano. Ma la regina, i figli, i cittadini autorevoli raffrenarono la cieca ira, che già correva a suonar le campane a stormo, coll’antico grido «Morte ai Francesi.» Nel palagio reale dapprima fu sostenuto il principe; indi nel castel di Matagrifone con Estendard; non incatenati, nota un istorico, ma sotto gelosa guardia di cittadini e soldati: e vietò la generosa Costanza ai figliuoli, che vedessero in quella misera condizione il figlio di Carlo d’Angiò. Furono assegnati i cavalieri in custodia per le case de’ maggiori della città. La reina con molte lagrime abbracciava la sorella, campata come per miracolo dalle mani de’ nemici79.
Ebbe tempesta in Napoli la dominazione angioina a quella sconfitta. Levato il popolazzo a romore, gridava per le strade «Muoia re Carlo e viva Ruggier Loria:» sfrenavasi per due dì a saccheggiar case francesi; e pochi cadutigli in mano ammazzò; la più parte usciti dalla città con cinquecento di lor cavalli scamparono. I quali pensavan ritrarsi in Calabria appo il conte d’Artois, se non che il cardinale e i baroni mandavano a confortarli: si riducessero intorno il castel Capuano, e non temesser pure la minuta plebe e quel foco di paglia, chè la nobiltà napoletana sarebbe tutta con essi. E in vero, o vinti dall’autorità e arte del cardinale, o mansuefatti all’alito della corte, i nobili di Napoli si fecero sostegno all’usurpatore in quel fortunoso momento. Perciò la plebe volle scacciare i Francesi, e non potè; contrariata dai suoi stessi, e repressa e castigata due dì poi dal medesimo re Carlo80. Si propagò il movimento a Gaeta e molte altre terre, che strepitarono un poco, scrivea re Carlo con l’usato disprezzo, e per le medesime cagioni si tacquero81.
- ↑ Montaner, cap. 77, 78, narra queste pratiche di Carlo a corte di Roma.
- ↑ Bart. de Neocastro, cap. 74.
- ↑ Montaner, cap. 81.
D’Esclot, cap. 110. - ↑ Diploma dato di Nicotra il 13 maggio 1283, nel citato Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. I, pag. 250, nota 3.
Altri due diplomi si trovano nel r. archivio di Napoli, reg. segnato 1283, E, fog. 10 a t. e 11 a t., l’uno per fornirsi in Nicotra sei teride oltre sei più che n’eran pronte, il quale è dato di Nicotra il 20 aprile undecima Ind. (1283), e la cura n’è commessa a Riccardo de Riso, lo sciagurato uscito siciliano, e a Gerardo di Nicotra. L’altro è diverso dal notato nell’Elenco delle pergamene, ma dato ancora di Nicotra il 13 maggio, pel biscotto delle 20 teride di Principato e Terra di Lavoro, da armarsi a mo’ di galee. - ↑ Saba Malaspina, cont., pag. 398.
La testimonianza di questo diligentissimo storico è rinforzata nel presente luogo dai diplomi.
E prima, il mutamento del campo da Santo Martino a Nicotra si vede dal registro del regio archivio di Napoli segnato 1288 E, dove a foglio 10 è un diploma dato in castris in planicie sancti Martini, il dì 7 aprile, undecima indizione (1283); un altro dato di Nicotra il 14 dello stesso mese; e un terzo di Nicotra il 21 aprile per lo trasporto delle tende; e a foglio 10 a t. un altro del 20 aprile per trasporto di vini a Nicotra sotto scorta di legni armati; il che mostra ancora come que’ mari erano infestati da’ Siciliani.
V’ha allo stesso foglio 10, un altro diploma risguardante il conte Piero d’Alençon, carissimi consanguinei nostri, scrivea Carlo lo Zoppo. Questo è dato di Nicotra a 20 aprile, undecima Indizione (1283), e provvede che si supplisse del denaro regio il bisognevole a soddisfar tutti i lasciti del testamento dì Alençon. Questi era dunque gravemente infermo. E morì in Puglia il giovedì dopo la festa degli Apostoli Pietro e Paolo, come si legge in un diploma di Filippo l’Ardito dal 24 giugno 1283. Collection des Documents inédits sur l’histoire de France, tom. I, Paris 1839, pag. 318, Documento 244.
Malaspina dice ch’ei fosse mancato di malattia; l’autore delle Gesta Comitum Barcinon., cap. 28, che morisse lentamente delle ferite riportate nella guerra. Sbaglia pertanto Montaner che lo fa cadere all’assedio della Catona, cioè di novembre 1282.
I luoghi ove dimorò Carlo lo Zoppo vicario generale si veggon ancora dai diplomi del regio archivio di Napoli. Nel registro segnato 1283 E, n’abbiamo uno dato di Terranova (presso Santo Martino) il 20 febbraio undecima Indizione (1283), a foglio 11; poi vi hanno quegli altri del mese di aprile citati di sopra: e moltissimi dati di aprile, maggio, luglio ed agosto, tutti di Nicotra, se ne trovano foglio 9, 3, 3 a t., ed 8; e uno dato di Matera il 7 luglio, foglio 3 a t.
È notevole tra questi diplomi, che la Corte angioina, tra tanti suoi travagli, dovea pur mandare qualche sussidio alle sue genti in Acri e Durazzo. Ciò si scorge da due diplomi dell’8 e 9 maggio, foglio 9, per 20 cavalli saraceni e pochi viveri imbarcati per Durazzo e da un diploma del 27 aprile, foglio 11, per 400 salme di grano inviata ad Acri pro usu gentis nostre, da consegnare a Odone Polliceno, Vicario regio in regna Jerhusalem. - ↑ Pe’ sussidi accordati in questo parlamento, veggasi il diploma del 29 aprile 1283, nel citato Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. I, pag. 250, e la nota 2, alla pag. 254.
Quanto al resto, Capitoli del regno di Napoli, tom. II, capitoli di Carlo principe di Salerno promulgati a 30 marzo 1283. Saba Malaspina, cont., pag. 402, 403, riferisce questo parlamento; ma sbaglia il tempo e il luogo, confondendolo col sinodo diocesano che s’ebbe in Melfi.
Intorno il detto uficio di censura a favor de’ governati, oltre lo statuto de’ capitoli, abbiam due diplomi di Carlo lo Zoppo, dati di Nicotra a 26 settembre duodecima Ind. (1283), nel r. archivio di Napoli, reg. segn. 1283, A, fog. 60. Sono eletti Rostano de Ageto milite, il vescovo di Troia, e il giudice Gualtiero di Catanzaro avvocato del fisco, per investigare e punire in tutto il reame dal Faro ai confini degli stati ecclesiastici, le trasgressioni alle costituzioni di Carlo I, ed ai capitoli per nos in plano sancti Martini olim editorum. - ↑ Raynald, Ann. ecc., 1282, §. 23, 24, 25.
Saba Malaspina, cont., pag. 392. - ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, §. 2, 3, 4.
- ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, §, 15 a 23.
Saba Malaspina, cont., pag. 392, 393. - ↑ Saba Malaspina, cont., pag. 392, 393, 394.
- ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, §. 36, 38, breve del 6 luglio.
- ↑ Ibid., §. 39, breve del 7 giugno.
- ↑ Ibid., §. 47, breve del papa a 26 giugno, ed epistola di re Carlo a 23 novembre.
- ↑ Ibid., §. 54 a 57.
- ↑ Nangis, in Duchesne, Hist. franc. script., tom. V, pag. 542.
Bolla di Martino, da Orvieto, a 9 maggio 1283. Ibid., pag. 886. - ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, §. 51.
- ↑
- Ibid., §. 28 e seg.
- Giachetto Malespini, cap. 215.
- Gio. Villani, lib. 7, cap. 80 e seg.
- Tolomeo da Lucca, Hist. ecc., in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 1188.
- ↑ Vita di Martino IV, in Muratori, R. I. S., tom. III, pag. 610.
Lo stesso carico si dà a Pier d’Aragona nella bolla del 10 maggio 1284, con cui il papa comandava contro di lui la predicazione della croce: Et ut nihil omitteret ad persecutionem nostram et ipsius ecclesie intemptatum, ad pacificum statum urbis, Patrimonii beati Petri, aliarumque terrarum ipsius ecclesie, necnon et aliarum partium Italie subvertendum, et urbem, terras, ac partes easdem a nostre obedientie debito avertendas, sicut ex multorum fida relatione percepimus, nunc per nuncios, nunc per litteras, variis machinationibus nitebatur et nititur, ac nisibus fraudulentis institit et insistit, etc. Negli archivi del reame di Francia, J. 714, 6. - ↑ Bart. de Neocastro, cap. 75.
- ↑
- Saba Malaspina, cont., pag. 398.
- D’Esclot, cap. 110.
- Nic. Speciale, lib. I, cap. 26.
- Montaner, cap. 81.
- Quanto al numero delle navi provenzali, il Malaspina dice 27 galee, ch’è esattamente il numero de’ legni che combatterono a Malta tra galee e d’altro nome; d’Esclot porta venute di Provenza 20 galee; e gli altri qual più qual meno, ma con pochissimo divario: talchè riscontransi col diploma dato di Nicotra il 2 giugno (1283), nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1283, E, fog. 12, col quale si comandava di fornir viveri per due mesi a’ vascelli venuti di Provenza, cioè 18 galee, un Panfilio, ed 8 vaccettas.
- Ibid. a fog. 13, diploma dato di Nicotra il 3 giugno per lo stesso affare, nel quale si parla di Bartolomeo Bonvin, e si dice che le galee eran già venute a Napoli.
- ↑ Il d’Esclot, cap. 110, dice espressamente questo caso delle barche di Principato cariche di frutta e vini per Sicilia. Io dapprima non sapea piegarmi a credere che dal reame di Napoli si portassero di tali derrate in Sicilia, massime i vini. Ma bisogna accettar questo fatto economico, alla irrefragabile testimonianza di due diplomi dati di Napoli il 2 maggio duodecima Ind. (1284), pei quali si fece severo divieto alla furtiva estrazione di vini per Sicilia, che si commettea in Sorrento e in Castellamare di Stabia, infingendosi imbarcarli per terre fedeli al re. Dal r. archivio di Napoli, reg. seg. 1283, A, fog. 85, a t. 88, a t. E sempre più si vede la grandissima informazione e diligenza del d’Esclot.
- ↑ E in vero 27 erano tutti i legni, secondo il diploma del 2 giugno 1283, citato di sopra. La differenza con d’Esclot non sarebbe nel numero totale, ma solo in quello delle galee.
- ↑ Montaner, cap. 83 e 131, dà lunghe lezioni militari intorno il vantaggio de’ balestrieri scritti, o vogliam dire stanziali, e l’impaccio de’ terzi remiganti, che nel combattimento facessero da balestrieri. Ei li chiama tersols; ed è una voce ch’io non seppi comprendere nell’originale catalano, ma la veggo benissimo spiegata dal Buchon nella sua versione francese, ed. Paris, 1840, pag. 288, rameurs surnuméraires, attachés en tiers au service d’une rame. I balestrieri stanziali son detti da Montaner en taula, perchè l’uficio dell’arruolamento si chiama taula in catalano. A quest’ordine di balestrieri, non gravati d’altra fatica sulle galee, Montaner dà le continue vittorie de’ Catalani in giusta battaglia navale; ma pur confessa che in un’armata era necessario un certo numero di galee co’ terzi vogatori, per potere al bisogno dar più vigorosamente una caccia.
- ↑ La presura di costui nella battaglia di Malta si ritrae da un diploma di re Giacomo, dato di Messina il 19 luglio 1286, in di Gregorio, Bibl. arag., tom. II, pag. 500.
- ↑
- D’Esclot, cap. 110, 114 e 116.
- Montaner, cap. 82, 83, 84, 93.
- Bart. de Neocastro, cap. 76.
- Nic. Speciale, lib. I, cap. 26.
- Saba Malaspina, cont., pag. 398, 399.
- Il solo d’Esclot, degnissimo di fede, narra quest’ultima correria a Napoli. Montaner, sovente poco esatto, la scrive con qualche divario, e pria della vittoria di Malta.
- ↑
- Giachetto Malespini, cap. 217, 218.
- Gio. Villani, lib. 7, cap. 86, 87.
- Nello error loro cadde ancora l’autore del Memoriale de’ podestà di Reggio, in Muratori, R. I. S., tom. VIII, pag. 1156.
- ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, §. 8 a 12, breve dato d’Orvieto a 3 aprile.
Nangis, in Duchesne, Hist. franc. script., tom. V, pag. 541. - ↑ Raynald, ibid., §. 13; e Nangis, ibid., pag. 542.
- ↑
- Raynald, ibid., §. 7.
- Rymer, Atti pubblici d’Inghilterra, tom. II, pag. 242 a 244.
- Questo divieto del papa è affermato ancora nella Cronaca del Monastero di S. Bertino, in Martene e Durand, Thes. Anecd., tom. III, pag. 763.
- ↑ Breve del 20 aprile 1283. Negli archivi del reame di Francia, J. 714, 3.
- ↑ Nangis, loc. cit.
- ↑ Rymer, Atti pubblici d’Inghilterra, diplomi del 25 marzo e 5 aprile 1283, tom. II, pag. 239, 240.
Ivi nell’epistola a re Carlo si legge: Kar sachez de verité qe pur gainer teus deus Reaumes come celui de Cezile e de Aragon nous n’en serrions gardeins du chaump où la susdite bataille se fest; mes mettroms peine et travail en totes les maneres qe nous saverons qe pes e acord fust mist entre vous, come celui qe mout le vodroit. - ↑ Ibid. La frase è, avere rifiutato tut outre.
- ↑ Ibid., pag. 241.
- ↑ D’Esclot, cap. 104.
Questo attestato, che non si legge in alcun altro contemporaneo, toglie tutte le contraddizioni che si troverebbero nell’operare di Eduardo, il quale negava prima il campo, e lasciava poi costruir la lizza, e venire i combattenti. Consegnata per que’ giorni la città a’ Francesi, s’impediva il duello senz’altra briga. - ↑ Questo è accettato dal Nangis, e da altri scrittori di parte francese.
- ↑ Tutto questo racconto, nel quale non mi è paruto possibile scriver le citazioni a ogni parola, è tratto da:
- Saba Malaspina, cont., pag. 399 a 402.
- D’Esclot, cap. 104, 105.
- Montaner, cap. 80, 85 e seg.
- Bart. de Neocastro, cap. 67, 68, 69.
- Nic. Speciale, lib. 1, cap. 25.
- Anon. Chron. sic., cap. 44.
- Tolomeo da Lucca, Hist. ecc., lib. 24, cap. 7, ed 8, in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 1188.
- Geste de’ conti di Barcellona, cap. 28, op. cit.
- Frate Francesco Pipino, lib. 3, cap. 17, in Muratori, R. I. S., tom. IX.
- Ferreto Vicentino, ibid., pag. 954.
- Vite di Martino IV, ibid., tom. III, pag. 609, 610.
- Surita, Ann. d’Aragona, lib. 4, cap. 31, 32.
- Nangis, in Duchesne, Hist. franc. script, tom. V, pag. 542.
- Paolino di Pietro, in Muratori, R. I. S., agg. tom. XXVI, pag. 39.
- Giachetto Malespini, cap. 218.
- Gio. Villani, lib. 7, cap. 87.
- Memoriale dei podestà di Reggio, in Muratori, R. I. S., tom. VIII, pag. 1155, 1156.
- Chron. Mon. S. Bertini, in Martene e Durand, Thes. Anecd., tom. III, pag. 764.
- Il manifesto di re Carlo al comune di Modena contro Pier d’Aragona, si legge in Muratori, Antiquitates Italicae Medii Ævi, tom. III, Diss. 39, pag. 650.
- ↑ D’Esclot, cap. 115.
- ↑ Diploma del 24 gennaio 1284, citato nel seguito di questo capitolo in nota.
- ↑ Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. I, diplomi a pag. 254, 255, 259 e le annotazioni, pag. 254.
- ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, breve del 25 novembre, a §. 46.
Saba Malaspina, cont., pag. 403. - ↑ Montaner, cap. 84.
- ↑ Da quaranta a venti tarì la salma, dice il Malaspina.
- ↑
- D’Esclot, cap. 119.
- Saba Malaspina, cont., pag. 403, 404.
- I due appelli al servigio feudale nel reame di Puglia si leggono nel diploma del 30 ottobre 1283, nel citato Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. I, pag. 257; e nei diplomi del 21 e 31 maggio 1284, ibid., pag. 266, 298. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1283, A. fog. 81 a. t., leggesi un diploma dato di Napoli a 28 aprile duodecima Ind. (1284) per 100 balestrieri e 200 lancieri a piè, venuti poco prima da Firenze, che si mandavano a Ruggiero Sangineto per ingrossar l’oste all’assedio di Scalea.
- Montaner, cap. 113, nomina alcuna delle terre occupate, e dice del mal contento nel reame di Puglia; ma confonde questa fazione con quella dell’armata che combattè poi nel golfo di Napoli.
- ↑ Saba Malaspina, cont., pag. 404.
- ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, §. 52.
- ↑ Ibid., 1284, §. 1.
- ↑ Risposta del podestà, capitani, consiglio e comune di Genova al re di Francia negli archivi del reame di Francia, J. 499, 42.
Il re avea inviato due ambasciadori a richieder Genova che desse favore, aiuto e giovamento al papa e al re di Sicilia, zio del re di Francia, contro il re d’Aragona, che avea operato contro la Chiesa, contro le inibizioni del papa, e contro il re di Sicilia, la qual cosa ognun sapea quanto interessasse la corona di Francia. Genova risponde essere in pace col re d’Aragona da 170 anni, e non aver cagione di rompere; ma promette che non darà aiuto di navi nè d’armi al re d’Aragona. Non vi ha data in questo diploma, nè nomi sia dei magistrati di Genova, sia dei re; ma le narrate particolarità, infallibilmente il pongono tra gli anni 1282 e 1284. È uno lungo ruolo di pergamena scritto in caratteri del secol XIII, con suggello in cera verde, pendente da una stretta striscia di pergamena e impresso da un lato solamente. V’ha un grifone alato, chiuso in un poligono ad angoli salienti e rientranti a forma di stella, e fuori il poligono la leggenda: Sigillum Comunis et populi Janue. - ↑ Raynald, Ann. ecc., 1284, §. 10.
- ↑ Ibid., 1283, §. 40. Il breve al principe Carlo, posteriore al fatto, è dato il 22 aprile 1284.
D’Esclot, cap. 115, riferisce la risposta dei Veneziani. - ↑ Raynald, Ann. ecc., 1285, §. 63 e 64.
Quivi si legge la bolla di Onorio, data di Tivoli il 4 agosto, anno 1. - ↑ Raynald, Ann. ecc., 1283, §. 40, nel detto breve del 22 aprile 1284.
Saba Malaspina, cont., pag. 418. Veggansi anche i diplomi citati qui appresso per vari imprestiti del papa. - ↑ Raynald, Ann. ecc. 1284, §. 13 e 48.
- ↑ Raynald, ibid., §. 2 e 3.
- ↑ Saba Malaspina, cont., pag. 402.
- ↑ Saba Malaspina, ibid.
I viaggi del principe di Salerno si veggono dai vari suoi diplomi, dati di Nicotra, Napoli, Foggia, Brindisi, Bari, nel citato Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. I, pag. 260, 261 e 263; da que’ citati nelle annotazioni seguenti, cavati dai registri del medesimo archivio; e da altri dati di Napoli 1 gennaio, Foggia 24 e 29 gennaio, Barletta 1 febbraio, Brindisi 23 a 26 febbraio, Spinacchiola 6 marzo, Melfi 10 a 16 detto, nel registro 1283, A, fog. 15, 16, 16 a. t. 28, 28 a. t. - ↑
- Diploma dato di Nicotra il 25 novembre duodecima Ind. (1283), indirizzato a tutti gli uomini di tutti i giustizierati del reame di Puglia. Proponendosi il principe di Salerno di andar nella vegnente primavera sopra la Sicilia, con grandissima flotta ed esercito, al totale sterminamento dell’isola, chiedea per tutte le province di terraferma il sussidio «che non pativa differimento, ed era appunto conforme alle recenti costituzioni del re suo genitore.» Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1283, A, fog. 71.
- Altro diploma, ibid., fog. 80 a t., dato di Napoli il 26 aprile duodecima Ind. (1284). È una sollecitazione del sussidio per la impresa contro i ribelli.
- Diploma dato di Foggia il 24 gennaio duodecima Ind. (1284) sulle querele universorum gallicorum et aliorum ultramontanorum in civitate Neapolis commorantium, lagnantisi che da lor si volesse riscuotere la presente sovvenzione generale. Il principe di Salerno comandava non fossero molestati; perocchè per privilegio di re Carlo erano stati francati da tutte le collette e sovvenzioni, pel passaggio contro la ribelle isola di Sicilia. Ibid., fog., 19, a t.
- Diploma dato di Melfi a dì 8 marzo duodecima Ind. (1284), pel quale furon cedute a un condottiere, pei suoi stipendi, once 400 su le sovvenzioni generali dovute da alcune terre. Si legge bandita la sovvenzione in subsidium expensarum futuri nostri passagii in proximo futuro vere contra rebellem insulam Sicilie. Ibid., fog. 2, a t.
- Un altro diploma, ibid., dato di Napoli 12 aprile duodecima Ind. mostrava queste sovvenzioni non eccedere i limiti, che s’eran posti nei capitoli del parlamento di San Martino.
- ↑
- Diploma del 2 dicembre duodecima Ind. (1283). È la scritta del ricevuto per once 15,000, che la compagnia de’ Bonaccorsi di Firenze avea pagato per conto del principe di Salerno in Roma, nel corso dell’anno 1283, in carlini e fiorin d’oro, i primi ragionati a 4, i secondi a 5 per oncia. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1283, A fog. 75.
- Altro del 13 febbraio duodecima Ind. (1284), ibid., fog. 99, dato di Bari, dove il principe di Salerno confessa avere ricevuto once 10,000, da papa Martino, tolte in prestito per virtù del permesso di accattare infino a 100,000 once con sicurtà su i beni qualunque della corona; permesso datogli dal padre, con un altro diploma che si trascrive, dato Salorum in Andegavia, 1283, 14 luglio undecima Ind., anno 7 del regno di Gerusalemme e 19 di Sicilia.
- Conti di Adamo de Dussiaco tesoriere, dal 1 settembre a tutto febbraio duodecima Ind. In que’ sei mesi si eran maneggiate meglio che 36 mille once, ritratte da varie partite, tra le quali sono notevoli: once 10,175 di tasse straordinarie, once 16,319 per decime pagate dal papa e da mercatanti lucchesi, once 500 prestate del suo dal cardinal Gherardo, once 695 da mercatanti romani a usura, che sono per l’argento impegnato come nel docum. XII. Le spese sono per arredi, soldi alla famiglia del re, e a cavalli e fanti dell’esercito di Calabria con Artois: e 5,000 once per acconciamento di galee, delle quali once 4,000 mandate in Provenza. Vi si leggono i nomi di vari condottieri: Goffredo di Joinville, il visconte di Tereblaye, Ugone de Grenat, Giovanni de Alnect, Pietro de Bremur, Giovanni de Montfort conte di Squillaci, ec. Nel citato reg. 1283, A, fog. 132, 134.
- Diploma dato di Melfi a 16 marzo duodecima Ind. (1284) per l’imprestito di once 1,918 da mercatanti senesi. Ibid., fog. 29.
- Diploma dato di Napoli a 26 aprile duodecima Ind. (1284). Carlo principe di Salerno a papa Martino. Per l’autorità datagli dal padre di accattare infino a 100,000 once d’oro, avea tolto altre somme di danari. Confessa qui avere ricevuto da Bullono e Vermiglietto, mercatanti lucchesi, once 15,608 di oro sul danaro delle decime ecclesiastiche accordate per la guerra, con guarentigia della santa sede. Richiede il papa che ne dia credito a que’ mercatanti. Ibid., fog. 131.
- ↑ Diploma del 24 settembre duodecima Ind. (1283), Docum. XII. Ivi si leggono i nomi delle varie maniere di vasellame impegnato, e il peso, e quel de’ rottami d’argento, e fin di alcuni baltei con borchie d’argento. Vi si trova ancora il riscontro co’ pesi di Cologna; talchè pare documento assai importante per cui si travagli delle antichità di que’ tempi.
- ↑ Veg. i conti di Adamo de Dussiaco, citati nella pagina precedente, e un altro diploma del 2 maggio duodecima Ind. (1284) pei danari che lo stesso tesoriero avea tolto in prestito a nome del fisco. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1283, A, fog. 117. Ibid., a fog. 75 a t., leggesi un altro diploma per altro imprestito da uomini di Solmone.
- ↑ Diploma dato di Napoli il 29 novembre duodecima Ind. (1283), pel quale si voltavano alle spese della flotta le seguenti somme promesse da città in sovvenzione della presente guerra: da Napoli once 1,000, da Salerno 500, e 100 delle once 200 che avea promesso Nocera. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1283, A, fog. 74.
- ↑ Diploma del 27 maggio duodecima Ind. (1284), pel quale si rendea la grazia regia e, mercè once 1,000, anco i beni ai figliuoli di Galgano di Marra giustiziato. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1283, A, fog. 149. Ibid., a fog. 119 a t., leggesi un altro diploma del 6 maggio duodecima Ind. a favor di Giovanni di Marra figliuolo di Angelo, ch’era stato appiccato, suis culpis exigentibus; cioè i mali consigli dati al governo per iscorticare i sudditi.
- ↑ Diploma dato di Napoli a 25 maggio duodecima Ind. (1284), reg. 1283, A, nel r. archivio di Napoli, fog. 136. Divieto all’entrata de’ carlini d’argento stranieri, perchè non si ravvilissero que’ del governo, ai quali s’era fissato il valore di grana 12 per ciascuno.
- ↑ Diploma dato di Napoli il 1 giugno duodecima Ind. (1284). Son lettere circolari per tutte le province, per le quali si destinano commissari regî sopra la esazione delle decime dei beni ecclesiastici. Sane Reverendus in Cristo pater Dominus G. Sabinensis Episcopus Apostolice Sedis legatus, provida nuper ordinacione decrevit quod super exactionem decimarum omnium fructuum reddituum et provetuum Ecclesiarum quarumlibet existencium in decreta vobis provincia, duorum annorum videlicet, per universos prelatos et Clericos Regni Sicilie citra farum domino patri nostro et nobis gratanter in ipsius legati presencia commissarum, ec.
Perciò il vicario del re provvedea che N. N. dilectus et devotus noster in quo nos plene confidimus debeat personaliter interesse, ec., nella esazione di queste decime. Nel r. archivio di Napoli, registro 1283, A, fog. 147 a t. Ibid. fog. 148, leggesi la circolare indirizzata al medesimo effetto a’ prelati, nella quale son da notarsi le seguenti parole: Quum pridem Reverendo in Cristo Domino G. dei gratia venerabili episcopo Sabinensi apostolice sedis legato apud Melfiam residente, prudentia vestra diligenter attendens quod dominus pater noster et nos sumus sacrosancte romane Ecclesie Speciales filii et athlete, quodque in prosecucione finalis exterminii Sicule factionis..... decimas omnium fructuum, ec.....in ipsius legati presencia, pro ut veridico relatu didicimus, per biennium liberaliter obtulit et gratiose promisit, ec. Ibid. a fog. 154, altro diploma dato di Napoli il 2 giugno al medesimo effetto.
Mi par che resti dubbio se questi due anni di decime promesse nel concilio di Melfi per influenza del legato Gherardo da Parma, cardinale vescovo di Sabina, siano state oltre quelle accordate già dal papa; ovvero se il legato abbia voluto richiedere di faccia a faccia tal promessa a’ prelati per incontrar minori ostacoli a quel pagamento, che d’altronde dovean fare per lo comandamento del papa. Io penderei al primo di tali supposti.
n questo o in altro concilio di Melfi, gli ordini religiosi militari furon tassati di gente, ma forse poi detter danaro in compenso. Ciò si vede da un diploma dato di Napoli il 26 aprile duodecima Ind. (1284): Fratri Falconi de ordine militie Templi Vice Preceptori in Apulia. Cum pridem in Concilio per Venerabilem in Christo patrem Dominum G. Sabinensem Episcopum apostolice sedis legatum apud Melfiam sollempniter celebrato, quatuor milites et sexdecim scutiferos armigeros equis et armis decenter munitis, ec., furono promessi da voi; mandateli senza dimora, o, in vece di essi, once 50. Reg. med. 1283, A, fog. 83. Al fog. 123 a t. si leggon altri simili diplomi dati il 29 aprile, indirizzati agli Spedalieri di S. Giovanni in Barletta e Capua. - ↑
- Diploma dato di Napoli 5 maggio duodecima Ind. Il vicario chiama alcuni armigeri pisani in suo aiuto, a’ suoi soldi. Nel r. archivio di Napoli reg. cit. 1283, A, fog. 131 a t.
- Ibid. diploma di Napoli 7 maggio duodecima Ind. A tutti i soldati che dovean venire a’ suoi stipendi sotto Giovanni de Apia (d’Eppe). Promette loro che appena messo piè in Napoli, avran la moneta del soldo par tre mesi; e che non vedendosi pagati, vadano pur via.
- Ibid. diploma del dì 8 maggio a Giovanni d’Eppe, negli stessi sensi, aggiungendo che a S. Germano toccherà i primi tre mesi di stipendio, e poi sarà pagato di trimestre in trimestre.
- Ibid. diploma del 19 maggio, docum. XVII.
- Ibid. diploma del 20 maggio. Mandato fatto ad Adamo Forrer capitano del patrimonio di San Pietro, a richiedere con qualche condizione quegli aiuti ch’avean profferto i comuni di Perugia, Viterbo, Orvieto e altri degli stati pontificî.
- ↑ Diplomi del 28 gennaio, 24 febbraio, 3, 7, e 17 aprile, 3, 4, 5, e 21 maggio 1284, dalle pergamene del r. archivio di Napoli, nel citato elenco, tom. I, pag. 260 a 266.
- ↑ Concessioni di beni allodiali e feudali se ne trovan molte fatte in questo tempo, reg. cit. 1283, A, fog. 117 a t. 126, ec.
- ↑ Docum. XVI.
- ↑ Diploma dato di Napoli a 15 maggio duodecima Ind. (1284) per pagarsi once 100 per nolo della nave genovese di Simone Malleno. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1283, A, fog. 104 a t. E un altro del 20 giugno 1284, per la nave di un genovese Navarro, citato nel seguito del presente capitolo.
- ↑
- Dapprima il principe di Salerno avea affidato l’armata a Guglielmo Alamanno, e Arrigo Girardi. Diploma dato di Nicotra il 27 settembre duodecima Ind. (1283), nel citato registro 1283, A, fog. 59 a t.
- Napoli 24 novembre per l’armamento delle navi in Napoli, fog. 71, a t.
- Napoli 26 novembre, parecchi diplomi per le navi in Salerno, ibid.
- Napoli 26 novembre a Iacopo de Brusson vice ammiraglio. Lunghi ordinamenti a racconciar la flotta; e si dice data ad extaleum in Napoli la costruzione di dodici galee per la somma di once 120 per ciascuna, fornite di tutto, fog. 73.
- Napoli 27 novembre, altri provvedimenti; e si fa nota la elezione di Brusson a vice ammiraglio, fog. 72.
- Napoli 4 gennaio, duodecima Ind. (1284), per farsi biscotto da servire alla flotta nel passaggio di Sicilia, nella primavera vegnente. Ibid. fog. 15.
- Altro ibid. fog. 16, dato di Foggia il 29 gennaio al medesimo effetto.
- Altri ibid. fog. 42, dati di Brindisi, 20 e 24 febbraio allo stesso fine.
- Diploma dato di Napoli a 15 aprile duodecima Ind. vietando che niuna nave uscisse da’ porti di Puglia, poichè tutte servivano alla imminente impresa siciliana. Reg. cit. 1283, A, fog. 30, a t.
- Diplomi dati di Napoli l’ultimo aprile duodecima Ind. perchè fosser subito varate le galee in Gaeta, e fornite di tutto per l’immediato passaggio in Sicilia. Reg. citato, fog. 84 a t. e 89 a t.
- Altri diplomi della stessa data e del 3 aprile, ibid. fog. 88, 100, a t. e 30, dai quali si vede raccolta su i porti dell’Adriatico, grande copia di grasce e altre vittuaglie per l’impresa di Sicilia.
- Diploma dato di Melfi a 13 marzo, per dar favore ad alcuni mercatanti de’ Bonaccorsi, incaricati dal re ad incettar frumento. Se i proprietari facessero mal viso, fossero sforzati a dar il grano a giusto prezzo. Reg. citato, fog. 43.
- Altro diploma del 26 aprile, perchè dalle regie armerie si fornissero all’ammiraglio 400 giachi, e due casse di quadrella, da armarne nove galee in Salerno. Ibid., fog. 121.
- Altro del 1 maggio, dato anche di Napoli, perchè si consegnassero 20 migliaia di quadrella di due piedi e 40 migliaia d’un piede, per uso della flotta. Ibid. fog. 113 a t. E al medesimo effetto parecchi altri diplomi che tralascio per brevità; ma è da notarne uno del 12 maggio indirizzato al castellano di castel Capuano di Napoli, ov’eran le armerie, la zecca, ec. Da questo si veggono i nomi delle varie maniere d’armi da consegnarsi al vice ammiraglio: balistas, quarrellos ad unum et duos pedes, conuculos pro..... igne, lanceas, Jaccarolos, rampicullos, prodas cum catenis earum, scuta, squarzavella, pavensia, et queque alia arma, fog. 113. a t.
Si prepararono ancora molte macchine da guerra, delle quali par che fossero espertissimi i Saraceni della colonia siciliana trapiantata in Lucera dall’imperator Federigo, una o due generazioni innanzi quest’epoca. Due diplomi del 23 aprile, reg. citato, fog. 91 a t. e 104 provvedono di mandarsi a Manfredonia per l’impresa di Sicilia, quattro de ingeniis curie della fortezza di Lucera de’ Saraceni.- Un altro del 6 maggio, ibid. fog. 91 a t., per assoldar cento Saraceni al servigio di queste macchine, le quali indi si vede che dovean essere molto grandi e importanti. Per un altro diploma del 13 maggio, ibid. fog. 103, si veggono assoldati nell’oste di que’ Saraceni 9 militi, 90 cavalli e 500 fanti. Altri diplomi dati di Melfi il 12 marzo duodecima Ind. (1284) provvedeano 300 archi d’osso pei Saraceni militanti nell’esercito, 290 cavalli per gli arcieri saraceni, 200 spalleria, suprapunta, cocceros, et faretras pei medesimi; reg. 1283, A, fog. 43 e 44: ed ivi a fog. 44 a t. altri diplomi del 20, 21 e 23 marzo per armi e cavalli di altri 170 arcieri saraceni di Lucera. Altri diplomi leggonsi nel medesimo reg. fog. 103, uno dato il 23 aprile per cuoia di buoi e bufali, un altro il 6 maggio per altri materiali e stromenti, tutti per l’impresa di Sicilia. In quest’ultimo si legge di fornirsi 200 lapidum finarratorum pro ingeniis.
- ↑ È notevole la cura che il governo angioino di Napoli si prendea per custodir le sue spiagge, pur mentre preparava un’armata e un’oste d’invasione contro la Sicilia. Ciò prova in quale riputazione già fosse appo i nemici la flotta catalana e siciliana. Cel mostrano i diplomi del r. archivio di Napoli, nel citato reg. 1283, A, de’ quali, lasciando indietro perchè non mostra cura straordinaria, un diploma del 21 aprile (1284) risguardante il pagamento degli stipendi al presidio del castel di Capri, ricorderemo i seguenti:
- Diploma del 30 novembre (1283) fog. 72, perchè si munissero, con molta cura le castella di Calabria, massimamente quelle di contra a Messina.
- Diploma dato di Napoli il 2 maggio, fog. 85 a t. È commesso a Iacopo de Brusson vice ammiraglio di far osservare gli ordini già dati nei segnali allo scoprir legni nemici: cioè fumo il dì, fiamme la notte, che volgarmente si dicean fani, e se ne dovea levar uno per ciascun legno avvistato. Inoltre erano stabilite excubias seu custodes in tutte le terre e luoghi opportuni, che vegliassero dì e notte. La spesa si fornisse da’ comuni, e, in mancanza, da qualunque danaro regio. Somiglianti disposizioni son date, ibid. fog. 127 a t., per aversi particolar cura delle costiere da Policastro a Castellamare di Stabia.
- Diploma del 2 maggio, ibid. fog. 86 a t., per 75 fanti toscani mandati di presidio in Montane Amalfie, ov’era capitano un Rambaldo de Alemanni.
- Altro della stessa data, Ibid. 88 a t., al capitano di Gaeta si raccomandano i fani.
- Par che in vero dopo la battaglia di Malta i nostri corsali avessero ripreso le infestagioni ne’ mari del regno di Napoli. Un diploma dato di Nicotra a 28 ottobre duodecima Ind. (1284) parla di un galeone siciliano di un tal Galfono che corseggiasse.
- ↑ Nic. Speciale, lib. 1, cap. 27.
- ↑ Bart. de Neocastro, cap. 76.
- ↑ Questo particolare è scritto dal d’Esclot. A mostrar la somma sua diligenza noteremo che per vero da un diploma del 20 giugno 1284 si vede che fosse a’ soldi del governo di Napoli la nave di questo genovese Navarro. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1291, A, fog. 4, a t.
- ↑ Questa narrazione è ritratta da’ seguenti contemporanei, che portanla con poco divario tra loro:
- Bart. de Neocastro, cap. 76, 77.
- Nic. Speciale, lib. 1. cap. 27.
- Saba Malaspina, cont., pag. 404 a 408.
- D’Esclot, cap. 119 a 127.
- Diario anonimo, nella Raccolta di cronache del regno di Napoli, da’ tipi del Perger, tom. I, pag. 109.
- Giachetto Malespini, cap. 222.
- Gio. Villani, lib. 7, cap. 93.
- Memoriale de’ podestà di Reggio, in Muratori, R. I. S., tom. VIII, pag. 1157, 1158.
- Cron. del Mon. di S. Bertino, in Martene e Durand, Thes. Anec., tom. III, pag. 764.
- Nangis, Gesta Philippi III, in Duchesne, Hist. franc. script., tom. V, pag. 543.
- Geste de’ conti di Barcellona, cap. 28, nella Marca Hispanica del Baluzio.
- Montaner. cap. 118.
- Cronaca di Parma, in Muratori, R. I. S., tom. IX, pag. 812.
Il giorno della battaglia è confermato da molti documenti, tra’ quali citeremo una lettera di Carlo I al papa, data il 9 giugno 1284, pubblicata dal Testa, nella vita di Federigo II re di Sicilia, docum. 2.
I suddetti scrittori portan variamente il numero delle navi; e i più pongon l’avvantaggio del numero dalla parte de’ Napoletani. Scrivendo solo per narrare quel che mi sembra più vero, mi son tenuto a d’Esclot catalano, perchè meno esagerato, e minutissimo ne’ particolari. Saba Malaspina disse 11 le nostre navi e 30 le nemiche. Speciale 41 le nostre e 70 le nemiche. Il Neocastro 28 le prime e 30 le seconde. Il Villani 35 le napoletane e 45 le nostre. Il Montaner 40 le galee di Sicilia e 38 con molti altri legni le napoletane. La Cronica di Parma, morti d’ambo le parti 6,000, presi da’ nostri 8,000, tra’ quali il figlio dei conte di Fiandra, il conte di Monforte, Rinaldo d’Avella, Oddone Polliceno e altri baroni, in tutto 32, prese 42 galee armate, sommerse cinque e fuggite quattro.
Vi hanno nel r. archivio di Napoli parecchi diplomi di Carlo I, per l’amministrazione de’ beni feudali comitum et baronum qui dudum in marino prelio cum Karulo primogenito nostro per proditores Messanenses et inimicos nostros Aragonenses mortui sunt vel capti. Queste parole appunto leggonsi in un diploma dato di Brindisi il 13 settembre tredicesima Ind. (1284), reg. 1283, A, fog. 176; e uno somigliante, dato il dì 11 giugno duodecima Ind. (1284) se ne legge indi a fog. 188; un altro a fog. 12 a t. dato di Brindisi il 3 ottobre tredicesima Ind. (1284).
Un altro del 17 giugno 1284, dato anco di Napoli, provvide in particolare all’amministrazione dei beni di Raynaldo Gaulardo miles preso col principe di Salerno, reg. segn. 1291, A, fog. 4.
Un altro del 21 giugno dello stesso anno 1284, nel medesimo registro 1291, A, fog. 21, accordò dei sussidi alle mogli de’ prigioni, Rinaldo Galard, Iacopo de Brusson e Guglielmo Estendard.
E tre altri dati il 14 giugno per l’amministrazione de’ beni di Galard, de Brusson ed Estendard, leggonsi nel ridetto registro 1291, A, fog. 4, e 4 a t. - ↑ Giachetto Malespini, cap. 222.
Gio. Villani, lib. 7, cap. 93. - ↑ Saba Malaspina dice Castrum ad mare, e che la principessa salì scopulum castri. D’Esclot anche parla di castello di san Salvatore al mare, e fa supporre che nello stesso trovavasi prigione la Beatrice; Montaner porta costei serrata nel castel dell’Uovo. Queste circostanze riunite non lascian dubbio, che anche il primo parlasse del castel dell’Uovo, che sorge su rilevato sasso in mezzo al mare, come penisola.
- ↑
- Bart. de Neocastro, cap. 77.
- Saba Malaspina, cont., pag. 408, 409.
- D’Esclot, cap. 128.
- Memoriale de’ podestà di Reggio, in Muratori, R. I. S., tom. VIII, pag. 1158.
- Montaner, cap. 113.
- La condanna di Riso e Nizza è riferita dal Neocastro, che solo tra gli scrittori della battaglia fa menzione di quei due sciagurati.
- ↑ * Saba Malaspina, cont., pag. 410. * Bart. de Neocastro, cap. 77. * Nic. Speciale, lib. 1, 27. * D’Esclot, cap. 129. * Montaner, cap. 113. Queste autorità, e massime il Malaspina, provano ch’è bugia la uccisione di 200 e più prigioni all’arrivo loro in Messina, favoleggiata o portata con anacronismo da Ricobaldo Ferrarese e Francesco Pipino, in Muratori, tom. IX, pag. 142 e 694.
- ↑
- Saba Malaspina, cont., pag. 410, 411.
- Cron. di San Bert., loc. cit., tom. III, p. 765.
- Epistola di re Carlo a papa Martino, data di Napoli il 9 giugno 1284, in Testa, Vita di Federigo II di Sicilia, docum. 2, ove leggesi: Nonnulli leves et viles contumaci crassantia excessissent, etc.
- Memoriale de’ podestà di Reggio, in Muratori, R. I. S., tom. VIII, pag. 1158.
- Gio. Villani, lib. 7, cap. 94.
- Vita di Martino IV, in Muratori, R. I. S., tom. III, pag. 610.
- Giachetto Malespini, cap. 222.
- ↑
- Saba Malaspina, cont., pag. 411.
- Epistola citata di re Carlo a papa Martino.
- Diploma di re Carlo, docum. XVIII.