< La maestrina degli operai
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XX XXII


XXI.


La Varetti, per pietà di quella povera vecchia, decise di farsi forza e di mantener la sua promessa, di dare qualche ammonimento amorevole al giovane, per indurlo, se non altro, a non incrudelire contro sua madre. Ma non sapeva quando nè dove parlargli, non passandole neppur per la mente, con gli umori di quella scolaresca, di chiamarlo in disparte all’entrata o all’uscita. Questa incertezza le durò tutto quel giorno. La sera Saltafinestra venne a scuola.

Aveva il viso più livido degli altri giorni e un’alterazione di lineamenti che annunziavano un’ubbriacatura di acquavite non ancor svaporata. La sua entrata fu accolta con un mormorio, che egli fece cessar subito, soffermandosi in mezzo alla scuola, e girando lo sguardo sui banchi. Poi andò al suo posto, dove prese l’atteggiamento solito, ma con un viso torvo, chiuso, fermo, come se avesse risoluto di far qualche colpo la sera stessa.

La pietà di sua madre, il timore ch’egli trascendesse a qualche atroce provocazione e la speranza di prevenirla, indussero la maestra a tentare una prova, che a lei parve arditissima. Dopo averci pensato un pezzo, col batticuore, colto il momento in cui le parve che tutta la classe fosse raccolta e non badasse a lei, ella si voltò verso il Muroni, del quale era certa d’incontrar sempre lo sguardo, e lo fissò per qualche secondo, come non aveva fatto mai, con una espressione velata di indulgenza, di bontà, di preghiera.

Il giovine restò un momento col viso immobile, nell’atteggiamento di chi senta all’improvviso la voce d’una persona invisibile, da cui gli paia di udir pronunziare il suo nome; poi guardò intorno e tornò a guardar la maestra, che non lo guardava più; e si passò una mano sulla fronte. E da quel punto parve che si destasse in lui un’agitazione nuova, un nuovo ordine di pensieri. I ragazzi ricominciarono a fare il chiasso e gli scherni soliti alla maestra, per offender lui. Egli non vi badò per un po’ di tempo. Ma tutt’a un tratto, avendo udito mormorare dal piccolo Maggia una sconcia parola diretta a lei, che non l’intese, si voltò di slancio come una tigre, e gli disse: — Maggia, ti taglierò la gola.

Varie voci risposero: — Un momento! — Troppa furia! — Vedremo! — e un vocione dall’altra parte della scuola muggì: — Ci son io!

Era lo zio Maggia, che s’era alzato col suo testone deforme, tutto infiammato. Pur non avendo alcun affetto per il ragazzo, che lo infastidiva con le sue monellerie, egli sorgeva in difesa del parente minacciato, senza sapere il perchè della minaccia, senza domandare nè riflettere, come un bruto, perchè aveva inteso il suo nome.

— Bucherò anche te! — gli rispose il Muroni.

La maestra gli fece un cenno di comando.

— Sapete chi sono — disse ancora il giovane a tutta la classe, e risedette, mandando dei baleni lividi dagli occhi.

La maestra, stentando a raccoglier la voce, impose silenzio, e tutti si quetarono, non per rispetto a lei, ma pel presentimento di qualche cosa di grave, che annunziavano la risolutezza dei visi e l’entrata in lizza dello zio Maggia, conosciuto per la sua forza e pei suoi furori di toro.

La Varetti stette col cuore sollevato fino alla fine, facendo lezione con un fil di voce. Tutti uscirono in silenzio.

Essa corse nel cortile, dove cercò invano il cantoniere, e s’avvicinò all’uscio, tutta tremante, in aspettazione d’una rissa terribile. Udì infatti varie voci che dicevano: — Largo! Largo! — per fare spazio per la lotta; poi la voce del Muroni: — A noi! — e quella dello zio Maggia: — Son qui! — E s’appoggiò al muro per non cadere.

Ma invece dei colpi e delle grida che s’aspettava, sentì un bisbiglio improvviso, come un avvertimento che corresse di bocca in bocca, e poi lo stropiccìo dei piedi della folla, che si sparpagliava in silenzio.

In quel silenzio udì ancora la voce del Muroni, già lontana: — A rivederci domani.

Varie voci ripeterono: — A domani.

Ed altre, più vicine, in tuono d’ammonimento: — A casa, giovanotti, a casa.

Era la pattuglia dei carabinieri che faceva sgombrare la via.

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