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XXIII.
Ma sul far della notte le rinacquero l’ansietà, la tristezza e la paura. Non poteva staccarsi dalla finestra, di dove guardava quel viale solitario, come per domandargli che cosa sarebbe accaduto quella sera sotto i suoi alberi, e le pareva di mal augurio quella nebbia folta che copriva ogni cosa, non lasciando che veder confusamente l’albero più vicino alla scuola. I rintocchi della campana che suonava le ore, lo strepito cupo delle macchine degli opifici, il suono lontano dell’officina del fabbro, la lanterna rossa della Gallina che ardeva in fondo come un occhio sanguigno, tutto le pareva tetro e minaccioso, e le rammentava quei paesaggi sinistri dei cartelloni dei mercati, dove eran dipinte quelle scene d’assassinio, che le facevano una così profonda impressione quand’era bambina. A una cert’ora sentì il bisogno d’andar a pregare. Non si mise che un cappuccio, attraversò il viale a passi furtivi, entrò nella chiesa e s’inginocchiò accanto a un pilastro. La chiesa era oscura: non luccicava che una lampada davanti all’altar maggiore: alcune donne erano inginocchiate qua e là: si sentiva in fondo il passo sonoro del sacrestano. Essa pregò, ricordò sua madre, invocò suo padre che le desse animo, e le parve che egli l’esaudisse. Pensò dopo ai tanti esempi di fortezza e di coraggio, tolti dalla religione e dalla storia, che ella aveva tante volte raccontati o letti ai suoi piccoli alunni, con l’ardore di chi si sente capace di imitarli, e si vergognò, pensando che era una così misera cosa appetto a quelle la virtù che a lei occorreva; che non aveva se non da tener con dignità il posto suo; che non correva nessun pericolo nella sua persona, e che, infine, la paura era viltà in un insegnante quanto in un soldato. — Coraggio! — disse risolutamente rialzandosi, e rinfrancata, impaziente d’affrontar la paura, s’avviò per uscire. Arrivata alla bussola, mentre alzava la cortina pesante di quella specie di camerino ch’era tra lei e la porta, si vide davanti un uomo. Riconobbe subito il Muroni e tremò all’idea d’esser sola con lui in quel luogo chiuso ed oscuro. Ma si rincorò sull’atto, pensando ch’era impossibile ch’egli tentasse una violenza lì, nella chiesa. E andò innanzi.
— Signora maestra — disse il giovane con voce triste e ferma ad un tempo — preghi per me.
Essa voleva rispondere; ma non le venne la voce.
Nello stesso punto si sentì prendere una mano, con riguardo, come da chi non vuol altro che dare un saluto; ma nel fare uno sforzo per svincolarla, ella ebbe una contrazione alle dita, che strinsero quelle di lui, e le rimase ancora tanta chiarezza di mente da comprendere che l’atto ch’egli fece subito dopo non era premeditato, ma imposto da un improvviso ribollimento del sangue, suscitatogli dalla sua stretta. In un baleno, si sentì serrata alla vita, poi alle braccia, poi alle spalle, e respirò l’alito di quella bocca che cercava il suo viso: resistè con tutte le sue forze puntandogli le mani sul petto, si contorse, si dibattè, cercò di sfuggirgli inginocchiandosi, udì la sua voce rauca: — Un bacio.... un bacio.... un bacio, nel nome di Cristo! — La lotta durò qualche momento disperata, in quel buio odorato d’incenso, rotta da aneliti ardenti e da singhiozzi strozzati.... Quando sonò un passo vicino, dentro la chiesa: egli la lasciò, ella si lanciò fuori.
Aveva appena infilato il viale, raggiustandosi il cappuccio con le mani convulse, che risentì la voce di lui nella nebbia, dietro di sè, una voce angosciata e supplichevole: — Mi perdoni. Sono stato un vigliacco. Non lo farò mai più; lo giuro sull’anima mia!
Ma essa non si voltò, corse alla scuola, salì in furia nella sua camera, cadde in ginocchio davanti al ritratto di suo padre, e scoppiò in singhiozzi.