< La messa di nozze
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IV. Il rito Un sogno (De Roberto)

V.

L’addio.


Sulla spianata, dinanzi alla chiesa, il cocchiere che aspettava il ritorno degli sposi, fumando, spense il sigaro e lo intascò, vedendo uscire la comitiva, la moglie a braccio del marito, i due testimonî ai due lati della coppia; e cavatosi il cappello, già apriva lo sportello della carrozza perchè tutti vi rimontassero, quando la signora gli disse:

— No, non ancora: aspettate.... Sentite, Bertini, — soggiunse rivolta allo scultore, — mio marito ed io saremmo lieti di salutare un momento i vostri parenti....

— Saranno essi lietissimi....

Per il sentiero serpeggiante sul dorso della montagna, chiuso tra bassi muricciuoli dai quali sporgevano le siepi di vitalba, si avviarono tutti alla casa. Il cielo si era ancora più schiarito, le ultime volute dei vapori si diffondevano come chiome disciolte e ondeggianti al vento, canute nella bassa conca del lago, bionde nel sole delle altitudini.

— Vi fermate a lungo? — domandò ella a Perez, col quale procedeva ora avanti.

— Non tanto quanto vorrei. Debbo purtroppo tornare alla scuola.

— Tenete compagnia al vostro amico, — soggiunse; poi, dopo una breve pausa, con voce più bassa ma con più calore d’accento: — Ne ha bisogno.

In fondo al sentiero, tra le sbarre di un cancelletto di legno, si vide una testolina affacciarsi, poi ad un tratto sparire con un breve grido di sorpresa.

— La vostra nipotina? — domandò ella, voltandosi verso Bertini.

— E la mia, del cuore! — rispose Perez.

Ora il cancello si schiudeva, e la bimba, precedendo il babbo, la mamma ed i fratelli, si avanzava con le manine incrociate sul seno per reggere un enorme fascio di fiori e di fronde, una messe tanto copiosa che la vestiva tutta e quasi le nascondeva il visino. Giunta dinanzi alla sposa si fermò, la guardò con gli occhi color di cielo, e disse:

— Signora, la mamma ed io....

Ma già ella si chinava su lei, quasi in ginocchio, tendendole le braccia, attirandola a sè:

— Cara, cara, bimba mia cara....

Fu una cosa difficile raccogliere quei fiori, ricomporli, staccare i gambi delle rose impigliati nelle pieghe della vesticciuola della donatrice. La signora Laura vi diede mano, dicendo in tono d’amabile rimprovero:

— Ma bisognava ripulirli e legarli.... Non si offrono i fiori a questo modo....

— Lasci, lasci!... Sono anzi più belli!

Scambiarono così le prime parole prima della presentazione: poi, quando lo scultore ebbe pronunziato: «Mia sorella....» la signora Laura stese la mano alla visitatrice, dicendo con un sorriso di grande gentilezza e di profonda bontà:

— Sia la benvenuta fra noi. Mi permetta di esprimerle i nostri augurî più sinceri....

— La ringrazio, signora. Creda che sono fra i più graditi.

Compita la presentazione, scambiati gli inchini e le strette di mano, i padroni di casa lasciarono il passo agli ospiti.

— Rita!... — chiamò la straniera, volgendosi alla bambina. — Ti chiami Rita, lo so!... Dammi la tua manina.

La fanciulletta parve tutta orgogliosa di tornare a casa stringendo la destra della sposa, che reggeva con l’altra mano i fiori offerti da lei. Traversata la terrazza, dato uno sguardo al panorama, tutti entrarono nel salotto.

— Bertini, io interpreto il desiderio di mio marito ed esprimo il mio direttamente, chiedendovi di farci vedere il vostro studio.

— Sì, signora! — rispose pronta la minuscola donnina. — Lo zio non vi lavora più dacchè è a Firenze, ma vi sono dentro tante belle cose.... C’è anche la mia statua, di quando ero piccina....

— Ah, sì? — rispose ella sorridendo. — Rappresenterà un angioletto!... Andiamo a vederla.

Lo studio, vastissimo, tutto illuminato da un largo lucernario, ingombro nel mezzo da una forte impalcatura, pieno di gessi, di cere, di crete, con le pareti nascoste da pezzi di scultura antica, da modelli anatomici, da quadri, da bozzetti, da stampe, da stoffe, da armi, aveva un solo angolo ospitale, dietro un paravento: un largo divano basso, qualche sgabello, un tavolino a due palchetti sovraccarico di albi e di libri d’arte. Ma gli ospiti non vi si fermarono; guidati dalle due donne, girarono per lo stanzone, esaminando le opere che vi erano disseminate.

— Questo è il bozzetto dell’acquasantaio?... Questo è il gesso del «Fiore della memoria»?... Il busto del «Leopardi»....

L’amica dell’artista riconosceva ad una ad una tutte le sue opere e le additava al marito, che le considerava da vicino per esaminarne la fattura, e poi se ne discostava per coglierne l’effetto totale.

— E questa statua di quando eri piccina?

— Eccola, signora: venga con me.

In un angolo, sopra un tripode, la statuina di bronzo, alta poco più di un palmo, rappresentava la piccoletta, ritta in piedi, con la testolina piegata, le braccina protese, le manine dischiuse, nell’atto di offrirsi ad una persona diletta.

— Che mossa!... Che vita!... — esclamò Perez. — Se non par che si muova!...

— È la vita fermata nel metallo, — confermò il colonnello.

Ella disse soltanto:

— È molto bella.

— Mi permettete di offrirvela?

— E come, Bertini!... Sono permessi che si accordano molto volentieri.... Ma non vorrei privare i vostri cari....

— No, signora, — soggiunse la sorella, — noi abbiamo la nostra copia, in sala da pranzo.

Il dottore colse l’occasione per proporre:

— Se vogliono gradire una tazza di cioccolata....

— Grazie, dottore; ma abbiamo i minuti contati, e vorremmo ancora vedere tutte queste altre cose belle.

— Prendono il battello delle 10 e 15?

— No, scendiamo a Gozzana, prendiamo il treno delle 11.

— Ma si potrebbe anche fare un’altra cosa, — soggiunse la signora Laura: — far servire qui stesso la cioccolata....

Mentre ella andava a dare gli ordini, la visita continuò. Gli ospiti passarono dinanzi a tutto ciò che restava degli antichi lavori dello scultore, copie od abbozzi. Non vi era frammento che l’amica non riconoscesse.

— Questo è uno studio per la «Giovanna d’Arco»?... La prima idea dell’«Amerigo Vespucci».... Aveste ragione di modificare quelle figure di selvaggi: rammentavano troppo i mori del monumento mediceo di Livorno.

Si aggirò per ogni angolo, vide ogni cosa, rimosse tutti i cavalletti girevoli, lesse tutte le firme dei bozzetti pittorici, tutti i titoli dei libri sul tavolino. Vedendo sopra una mensoletta un calice da fiori, vuoto, disse alla piccola Rita:

— Ma come? Tu lasci senza fiori lo studio dello zio, e ne dài tanti agli estranei?

E mentre la piccina balbettava qualche confusa parola di scusa, ella stessa scelse tre rose dal fascio, una bianca, una gialla ed una rossa, e le dispose nel calice.

— Ricordati che sono senz’acqua, pensa a dar loro nuova vita.

Quando il servizio fu pronto sul tavolino sbarazzato dai libri, la conversazione, divenuta generale, sfiorò molti argomenti: la floricoltura del dottore, il movimento dei forestieri sul lago, le bellezze della natura e dell’arte italiana.

— Ora, — ella disse, levandosi, dando il segno dell’addio, — non bisogna dormire sugli allori, Bertini!

— Glielo dica lei, signora! — soggiunse la sorella. — Forse le sue raccomandazioni riesciranno più efficaci delle nostre.

— Di questo gruppo sacro, sulla cima Antalba, guardate che vogliamo avere presto notizia! Non è possibile che quassù, dinanzi a questo sublime spettacolo, non troviate motivi d’ispirazione.

Erano di nuovo usciti sulla terrazza; dopo una breve sosta, ridiscesero tutti, ospiti e padroni di casa, verso la chiesa. Tutte le nebbie erano ormai disciolte, nel trionfo del sole; solo un ultimo fiocco ne restava, sull’Antalba, piegato dal vento in modo da simulare il fumo d’un vulcano. Pareva veramente che, per un’improvvisa eruzione, dalle viscere del monte esalasse un ardente fiato.

— Meraviglioso! Divino!... — mormorò ella ancora, girando lo sguardo per la conca lacustre, quasi a raccogliere e imprimersi nella mente tutti i particolari di quella visione, come aveva fatto di ogni angolo e di ogni opera dello studio. Poi, rivolta alla padrona di casa: — Signora.... — disse, stendendole la mano.

Si tennero un momento per mano, guardandosi; poi, con moto concorde, si accostarono, si baciarono sulle due guance. Chinatasi sulla piccina, la straniera le prese la testolina fra le mani, la baciò sulla fronte.

— Rammenta tu allo zio che vogliamo vedere altre statue. Digli che ti scolpisca lassù!...

Strinse la mano a lui da ultimo, dopo aver preso congedo da tutti gli altri.

— Fate contenti i vostri cari e i vostri amici!... Avete un dovere, se non dinanzi ad essi, dinanzi all’Arte che aspetta grandi cose da voi.

Egli non potè rispondere; chinò soltanto il capo, per nascondere l’ultima contrazione del viso.

Quando fu in carrozza, dopo che la frusta schioccò e i cavalli si mossero, ella salutò ancora, con la mano, col capo; lanciò ancora un’ultima esortazione:

— Siamo intesi, Bertini!... Al lavoro!... Buon lavoro!...




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