Questo testo è stato riletto e controllato.
Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


LA MIA GIOVENTÙ.





Cor mundum crea in me, Deus.

(Ps. 50).



Lamento sui fuggiti anni primieri,
     Che fecondi di speme Iddio mi dava,
     3E di ricchi d’amore alti pensieri!

Tra giubili ed affanni io m’agitava,
     Ed incessanti studi, e bramosia
     6Di sollevarmi dalla turba ignava;

E spesso dentro al cor parola udìa
     Che diceami dell’uom sublimi cose,
     9Tali che d’esser uomo insuperbìa.


Pupille aver credea sì generose
     Il mio intelletto, che dovesser tutte
     12Schiudersi a lui le verità nascose;

E di ragion nelle più forti lutte
     lo mi scagliava indomito; sognante
     15Che sempre indagin lumi eccelsi frutte.

Quella vita arditissima ed amante
     Di scïenza e di gloria e di giustizia
     18Alzarmi imprometteva a gioie sante.

Nè sol fremeva dell’altrui nequizia,
     Ma quando reo me stesso io discopriva,
     21L’ore mi s’avvolgean d’onta e mestizia.

Poi dal perturbamento io risaliva
     A proposti elevati ed a preghiere,
     24Me concitando a carità più viva.

Perocchè m’avvedea ch’uom possedere
     Stima non può di se medesmo e pace,
     27S’ei non calca del Bel le vie sincere.

Ma allor che fulger più parea la face
     Di mia virtù, vi si mescea repente
     30D’innato orgoglio il luccicar fallace.


E allor Dio si scostava da mia mente,
     E a gravi rischi mi traea baldanza,
     33Ed infelice er’io novellamente.

Se così vissi in lunga titubanza,
     Ond’or vergogno, ah! tu pur sai, mio Dio,
     36Che tremenda cingeami ostil possanza!

Sfavillante d’ingegno il secol mio,
     Ma da irreligïose ire insanito,
     39Parlava audace, ed ascoltaval’io.

E perocchè tra’ suoi sofismi ordito
     Pur tralucea qualche pregevol lampo,
     42Spesso da quelli io mi sentìa irretito.

Egli imprecando ogni maligno inciampo
     Sciogliea della ragion laudi stupende,
     45Ma insiem menava di bestemmie vampo.

Ed io, come colui che intento pende
     Da labbra eloquentissime e divine,
     48E ogni lor detto all’alma gli s’apprende,

Meditando del secol le dottrine,
     Inclinava i miei sensi alcuna volta
     51Di servil riverenza entro il confine.


Tardi vid’io ch’a indegne colpe avvolta
     Era sua sapïenza, e vidi tardi
     54Ch’ei debaccava per superbia stolta.

Trasvolaron frattanto i dì gagliardi
     Della mia giovinezza, e sovra mille
     57Splendide larve io posto avea gli sguardi;

E nulla oprai che d’alta luce brille!
     E si sprecàr fra inani desidèri
     60Dell’alma mia bollente le faville!

Lamento sui fuggiti anni primieri
     Che d’eccelse speranze ebbi fecondi,
     63E di ricchi d’amore alti pensieri!

Ma sien grazie al Signor che, ne’ profondi
     Delirii miei, pur non sorrisi io mai
     66Agl’inimici suoi più furibondi:

Sempre attraverso tutte nebbie, i rai
     Del Vangel mi venian racconsolando;
     69Sempre la Croce occultamente amai.

Ed il maggior mio gaudio era allorquando
     In una chiesa io stava, i dì beati
     72Di mia credente infanzia rammentando:


Que’ dì pieni di fede, in che insegnati
     Dal caro mi venian labbro materno
     75I portenti onde al ciel siamo appellati!

Di nuovo fean di me poscia governo
     La incostanza, gli esempi, ed il timore
     78Dell’altrui vile e tracotante scherno;

E l’ira tua mertai per tanto errore:
     Ma gl’indelebili anni che passaro
     81Ritesser non m’è dato, o mio Signore!

Presentarti non posso altro riparo
     Che duolo e preci e fè nel divo sangue,
     84Di cui non fosti sulla terra avaro

Per chiunque a’ tuoi piè pentito langue.


Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.