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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA MODESTIA IN PUBBRICO
La maggior parte de le donne cqui
Tutto er merito lòro e ll’onestà
Vve lo fanno conziste1 in nun guardà
Ggnisuno2 in faccia, pe’ nnun dà da dì.3
Drento casa però nun è accusì;4
E ssi nun fussi5 pe’ la carità,
Vergine santa mia de la pietà!,
Ve dirìa cose da favve stordì.6
Pe’ strada scerte sciurme7 che nun più,8
Mane9 ar petto, occhi bbassi, che a vvedé
Pareno ar terzo scelo10 e un po’ ppiù ssù.
Ma in cammera, su cquelli canapè,
Scerte galantarìe, scerte vertù
Da fà rrestà Ssantaccia11 all’abbeccè.12
1° settembre 1835
- ↑ Consistere.
- ↑ Nessuno.
- ↑ Per non dar da dire, da mormorare.
- ↑ Così.
- ↑ Se non fosse.
- ↑ Vi direi cose da farvi stordire.
- ↑ Certi cipigli.
- ↑ Che non potrebbero andar più oltre.
- ↑ Mani.
- ↑ Cielo.
- ↑ Famosa bagascia da plebe.
- ↑ All’a bi ci, al noviziato dell’arte.
Note
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