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Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1826)
I secolo

LA NOVELLA


DELLA MATRONA EFESINA


DI PETRONIO


Volgarizzata da


ANTONIO CESARI.


Fu già in Efeso una matrona in tanta fama di pudicizia, che eziandio dalle terre vicine tirava le femmine a vederla per meraviglia. Ora essendole morto il marito, non contenta di seguitar, com’era in costume generalmente, il funerale di lui co’ capelli scarmigliati, e di darsi coram populo nel nudo petto, accompagnò il corpo altresì dentro del monumento, ed essendo posto (come fanno i Greci) sotterra, si mise a guardarlo dì e notte piangendo continuo. Macerandosi adunque così, e deliberata di voler morire di fame, non fu mai potuta da ciò rivolgere nè da’ genitori, nè da’ parenti; ed essendovisi messo da ultimo eziandio il maestrato, n’andarono con la repulsa. Onde compianta da tutti per donna di esempio miracoloso, era già venuta al quinto dì senza romper digiuno. Stava allato seduta all’addolorata donna una fante sua fedelissima, la quale prestavale eziandio le sue lagrime, ed ogni volta che la lucerna posta nel monumento fosse venuta meno, rifornivala d’olio. Adunque in tutta la città non si parlava che pure di questo fatto; protestando (affermando) tutti gli ordini delle persone unico al mondo essere quello specchio di pudicizia ed amore che così risplendeva.

In questo mezzo tempo il governatore della provincia avea fatto impendere alle forche alquanti ladroni lunghesso quel luoghicciuolo medesimo, nel quale stava la donna piangendo sul morto. Ora era stato ordinato la notte appresso un soldato a guardia di quelle forche; non forse alcuno ne levasse i corpi per loro dar sepoltura. Costui avendo posto mente al lume, che in uno de’ monumenti splendea più chiaro, e udito il nicchiarsi che facea la donna piangendo; come porta il vezzo degli uomini, entrò in desiderio di sapere quello che fosse ciò, e chi sel facesse. Si mise giù pertanto nel monimento, e veduta la donna bellissima, al primo, a vedere un mostro od una larva d’inferno, turbato si resse; appresso come gli venne veduto il cadavere posto, e ragguardate le lagrime e la faccia di lei solcata dalle ugne, indovinando (quello che era) la donna dal dolore del morto essere spasimata (non trovar luogo), le arrecò laggiù quel po’ di cenetta che avea; e piangendo lei, la cominciò confortare. Non volesse menar più in lungo quell’inutil dolore, nè trassinar il petto con un (quel) gemito, che a nulla le gioverebbe; tutti gli uomini convenir venire a questo, come anche al medesimo domicilio; e di questa fatta altri conforti, da ricondurne a sanità gli animi esulcerati. Ma la donna trafitta da quella ignota (ignota consolatione percussa) consolazione, rimise mano a fendersi il petto più duramente (fieramente), e svellendosi i capelli, li pose addosso al cadavere. Ma non per questo si partì il soldato anzi coi conforti medesimi si provò di condurre a mangiare la fanticella (mulierculæ. Intendo della fante): finchè essa certamente da lui vinta (soggiogata) all’odore del vino, ed alla pietosa profferta cominciò a stender la mano. Così dal cibo e dalla bevanda rifocillata (riavuta), mise mano ad espugnare l'ostinato (l'ostinazione) proponimento della padrona; ed, or che ti farà, disse, che disfatta dal digiuno tu muoia? che viva ti seppellisca? che prima del destinato tempo (innanzi ora) ne mandi l'anima non condannata? O credi tu che la cenere e' morti seppelliti facciano di ciò gran caso? o speri forse, in dispetto dei fati, il morto tornare a vita? o non vuoi tu anzi che riscossa da questo errore donnesco, goderti il ben della luce? quanto gli Dei tel consentano? ma esso cadavere di questo morto ti dee confortare d'aver cara (di guardarti) la vita. Non è al mondo persona che indispettisca, perchè di mangiare e di vivere gli sia fatta forza. Per queste parole la donna attenuata (assottigliata) per l'inedia di tanti giorni, si lasciò piegare dal duro proposto; e non meno cupidamente che la convertita fante l'avesse fatto mangiò quanto potè capirvene. Del resto, sapete voi forza di tentazione che soglia avere negli uomini la sazietà? Colle lusinghe medesime, onde il soldato recato avea la padrona a consentire di vivere, con le medesime ebbe altresì espugnato (assalita) la sua pudicizia. Il soldato, che era giovine, non parve alla casta donna una befana nè mal parlante; mettendoglielo in amore la fante (riscaldandola nel costui amore la fante), la quale seguì dicendole: O repugnerai tu ancora ad un amore che ti solletica? (che ti va a genio? - che ti gradisce?) e non ti sovviene anche il luogo, nel quale tu sei? Che bado io più? nè in questa parte eziandio gli si rendette la donna più malagevole (fu più ritrosa la donna): e il soldato vincitore come dell'una cosa così dell'altra la tirò ad esser contenta. Giacquero adunque insieme; e non pur quella notte delle sponsalizie, ma e il dì seguente ed il terzo; avendo chiuse (s'intende) le porte del monimento, per far credere ai conoscenti e agli strani, se alcuno colà ne fosse venuto, la castissima moglie essere spirata sopra il cadavere del morto marito. Adunque il soldato assai contento sì della bella donna, e sì del segreto del loro amore, tutto quel po' di bene che gli dava la sua possibilità, compratolo, di presente portavalo nel monumento.

Ma i genitori di uno degli impiccati, veduto che la guardia era fatta loro più al largo (lor più cortese), di notte ferma nel dispiccarono e gli diedero sepoltura (fecero il mortorio, il mestiero). Mentre adunque il soldato cattivello (affascinato, circumscriptus. Altri ha circumspectus, o circumpectus) se la piglia un po' consolata, l'altro dì vede da una delle forche spiccato il morto. Il perchè aspettandosi la morte, raccontò ogni cosa alla donna; protestandole ch'egli non aspetterebbe la sentenza del giudice, ma colla spada sarebbesi imposta la pena della sua scioperaggine, solamente ella gli desse al morire la mano, (leggo: manum morituro commodaret sibi) e concedesse il fatal monumento a comune all'amico e al marito. La donna, non meno pietosa che casta; Cessi Iddio, rispose, che io nel medesimo tempo voglia essere spettatrice di due morti di due persone che di tutte ho carissime: io patirò meglio d'impendere un morto, che un vivo ammazzare. Così detto, l'aiutò levare (così mi par da voltare il jussit tolli) dall'arca il cadavere del marito e impendere alla croce rimasa vota. Il soldato non si lasciò scappare (usò, prese a bocca baciata, di bel patto), l'argomento (il trovato) della savissima donna: di che il dì appresso la gente uscita di sè diceva: Or come dee essere stato che il morto è risalito sopra le forche? ― La commedia fu risa da' navichieri; arrossando non poco Trifena, che si lasciò amorosamente cadere sul collo di Gitone. Non rise già Lica; ma crollando per ira il capo, rispose: Se il governatore avesse voluto esser giusto, egli era da far riporre nel monimento il cadavere del marito, ed in costui scambio cacciar sulle forche la donna.


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