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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA PADRONA BBIZZÒCA.1
L’osso-duro de casa è ddonna Teta,2
La sorella ppiù ggranne der padrone,
Che ssagràta3 e sse4 mozzica le deta5
Si6 la ggente nun fa ll’opere bbone.
Disce: “Sét’ito a mmessa oggi, Larione?.„7
Dico: “Sì.„ “E ddove?„ “A Ssan Zimon Profeta.„
“A cche ora?„ “Un po’ ddoppo er campanone.„
“E de che ccolor’era la pianeta?„
Allora me zompòrno,8 e jj’arispose:9
“Ôh, ssa cche jj’ho da dì? Cquann’io sto a mmessa,
Sento messa e nun bado a ttante cose.
Sarìa10 bbella ch’er prete da l’artare
Scutrinassi11 la robba che ss’è mmessa
La ggente! oggnuno va ccome je pare.„
16 aprile 1835
- ↑ [Pizzocchera.]
- ↑ [Teresa.]
- ↑ Bestemmia.
- ↑ Si.
- ↑ [Morde]Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte le dita.
- ↑ Se.
- ↑ Ilarione.
- ↑ Mi saltarono.
- ↑ Le [gli] risposi.
- ↑ Sarebbe.
- ↑ Scrutinasse: scrutasse.
Note
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