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CANTO XXVII
Finito l’atto, vanno i pastori alle lor capanne. Appare l’angelo,
che annunzia la nativitá di Cristo, e vanno a lui.
Data la fine allo spettacol, degno
cui fosse assiso il principe Ottaviano,
ch’avea del mondo allor fatto un sol regno,
il popolo, con suon di voce e mano
5renduto il plauso onesto, a torchi, a faci
per tornarsi a lor case dan di mano.
Io veggo i palchi ed i solar capaci
di tanta gente a un tratto restar vóti:
chi qua, chi lá sen vanno alle lor paci,
io Vanno compunti ed umili e devoti,
favoleggiando di quest’atto e quello,
che in mente a lor piú di staranno immoti.
Io l’ultim fui, che col mio vecchiarello,
seguendo un lume, uscimmo di teatro,
15e a noi venia da tergo anco un drappello.
Era con gran silenzio cheto ed atro
il ciel, né ancor l’armento boreale
tratto d’intorno al polo avea l’aratro.
Noi drizzavamo i passi al principale
20di cento alberghi, ove Palermo, ch’era
il re, tenea lo scettro pastorale.
Ed ecco d’oriente una gran spera
di tanta luce appar, ch’abbarbagliati
cademmo il vecchio ed io con l’altra schiera.
25Gli altri pastori, agli antri giá tirati,
giacean su lor fronde chiusi e stanchi,
e per molto vegghiar sono assonnati.
Noi soli, a quel splendor c’ha fatto bianchi
gli aspetti allor notturni, stiamo chini
e per spavento batte il polso e’ fianchi.
30
Piú sempre e piú s’appressan quei divini
raggi alla volta nostra, infin che, sopre
a noi fermati, assai n’eran vicini.
S’apre quel globo, e in mille rai si scopre
35un angiol, non di carne piú né finto,
com’or m’avean mostrato l’uman’opre.
Un bel donzello alato, eh’è dipinto
di sol vivaci empirei colori,
fuor delle fiamme alquanto si fu spinto.
40— Non — disse a noi — temete, o buon pastori
Ecco, d’un magno gaudio son eletto
nunzio da Dio fra quanti ha intorno cori.
Il Ben promesso, c’han saputo e detto
e atteso e sospirato i padri santi,
45lo avete in voi, di voi salute e oggetto!
Vi mostreremo quinci molto innanti
nella cittá di David quel Signore,
Cristo aspettato giá tant’anni e tanti.
Non d’un sol popol gaudio e salvatore,
50ma fia degli universi. Or dunque a lui
voi ne verrete; e ognun di voi l’adore!
Giá non vi s’offrirá come colui
che in grembo ha ciò eh’è fatto, ma sul fieno
de’ piú vili animali sta fra dui.
55Un puro infante il vederete, e meno
degli altri assai vicino alle delicce,
anzi d’inopia e di disagi pieno.
Or chi va storto e giú di via, si dricce;
chi cieco palpa l’ombre, al sol diverta;
60chi è secco e vóto, inverda ed ammassicce!
Il calle dritto, il vero ardor, la certa
e piena grazia ornai vosco dimora:
correte a lei, ché in dono vi s’è offerta! —
Cosi diss’egli, e subito in quell’ora
65coro celeste appar, che veri accenti
e non mortali ruppe inver’ l’aurora:
— Gloria nel cielo a Dio, pace alle genti
di pio volere in terra! ti lodiamo,
o Tu, per cui siam tutti alfin redenti!
70Noi ben preghiamo a te, noi t’adoriamo;
noi gloria, onore e grazie ti rendemo,
per lo splendore sempre in te specchiamo.
Signor Dio, Re del ciel, Padre supremo,
e tu del Padre Figlio, Agnel di Dio,
75Cristo Signor, donde beati semo;
Tu che svelli d’errore il mondo rio,
abbi mercé; Tu, che togli il peccato
del mondo, accetta i prieghi e voti, pio!
Tu che starai del Padre al destro lato.
So miserere di noi, ché sol Tu santo,
sol Tu Signore altissimo levato,
sol Tu levato in quella gloria tanto,
quant’è lo Padre, quanto il Paracleto,
se pur in Dio può caper tanto e quanto! —
85Cosi cantando, in un trionfo lieto
miramo quegli a duoi a duoi muovèrsi,
tornando all’alba, e noi gli andiamo drieto.
Ma tanto in quella gloria eramo immersi,
ch’a chiuse bocche, ad occhi e orecchie aperte,
90seguendo lor stiliamo ai dolci versi.
Son le ricchezze orientai scoperte:
lá verso il coro angelico va lento,
scorgendo noi. ch’andiam per vie deserte.
Il buon vecchio Palermo ed io non sento
95sforzo veruno al corpo né stanchezza:
cosi degli altri ognun non v’ha tormento.
Tanto è del canto e vista la dolcezza,
che i nostri alzati spirti seco a forza
traean li corpi senza lor gravezza.
100Non è di noi chi dal sentier si torza;
sia il monte alto pur, la valle bassa,
amor non sa fatica e i danni ammorza.
Le tribú tutte e il santo coro passa
da Neptalim fin all’estremo Giuda;
105dietro montagne, laghi e fiumi lassa.
Giá d’Oriente umor gelato suda.
La gerarchia fermossi alfm lá, dove
stanza trovammo abbandonata e nuda.
— Qui — i’angel disse — state e non altrove,
no Siete fuor la cittá; non gite dentro;
ma cose qua vedrete immense e nòve! —
Io con Palermo e gli altri avanti ch’entro,
pastori ebrei, siccome noi gentili,
usciali dal luogo (ed altri ancor son dentro),
11.15 uscian devoti ai lor propinqui ovili,
poi ch’adoráro Quel per che fúr presti
lasciar, dall’angel scorti, i lor fenili.
Tosto a Palermo furon manifesti ;
e, poi lor stretti abbracciamenti, vanno
120con gli altri ancora, ed un non è che resti.
Gli angeli ad alto tuttavia pur stanno,
sol da noi visti, per voler divino,
e posto fine all’armonia lor hanno.
Compiuto dunque il nostro util cammino,
125Palermo ed io con quelli ch’eran nosco
entramo ancor dormendo il matutino.
Prima trovamo un lungo andar, cli’è fosco
non sol di notte, ma di mezzogiorno,
umido loco, basso e pien di mosco.
130In capo a quel si viene, ove soggiorno
fèr giá gambili, bovi ed asinelli
e quanti con le some vanno intorno.
Or sta deserto e pien di mali e felli;
non ha porte o fenestre ch’apra e serre,
135ma topi annidan dentro e pipastrel 1 i.
Di Marc’Antonio e di Pompeo le guerre,
come sferze di Dio, col ferro acuto
avean distrutto e queste ed altre terre
e dato a Erode il regno e a sé il tributo.