Questo testo è incompleto.
Alla luna (Prati) La notte de' morti
Questo testo fa parte della raccolta VIII. Da 'Storia e fantasia'

II

LA PASSEGGIATA

Lungo i platani, in cui vive
ogni fronda innamorata,
sotto Paure fuggitive
della sera e del mattin,
5su una sponda infrequentata,
fuor del volgo, che mi accora,
col tramonto e coll’aurora
fo soletto il mio cammin.
Miro i fior, la vòlta azzurra,
10guardo all’acque, ascolto il vento,
e dal labbro, che susurra
i fantasmi che ho nel cor,
vo esalando un fumo lento,
che coi vortici leggieri
15accompagna i miei pensieri
di gaiezza o di dolor.
Fisso gli occhi ai colli adorni
di verdura, e vo sciamando:
— Dove siete, o rosei giorni
20della bella gioventú?

che veniste carolando
su’ miei prati in lieta danza,
col coraggio e la speranza,
colla fede e la virtú?
25Fresche aurore, oh! chi vi ha spente
quando sotto a’ miei balconi
mi destava la fremente
allegria dei cacciator,
e del corno agli acri suoni
30rispondea con varia legge
il tumulto delle gregge
e la tibia dei pastori
Oh, notturni allegri fochi
del novembre, in mezzo ai solchi,
35dov’io stava ed altri pochi
fanciulletti ad ascoltar
dal piú vecchio dei bifolchi
le prodezze e il vario marte,
quando, insiem con Bonaparte,
40scese l’Alpi e passò il mar!
Il mio nome, ignoto ai cupi
tradimenti dei mortali,
quante volte per le rupi
d’eco in eco udii morir!
45Né d’incensi né di strali
fu mai segno il fanciulletto,
che, con Dante e col moschetto,
giá le lepri a perseguir.

Era il meglio un nome occulto
50serbar sempre in mezzo ai monti,
che recarlo nel tumulto
delle querule cittá;
dove siede in sulle fronti
il timor, la noia oscura,
55dove langue la natura,
dove muor la libertá.
Miglior senno arar le glebe,
o dar gli estri all’aura molle,
che versarli ad una plebe
60scissa d’opre e di pensier,
che, ululando al par del folle,
gira il trivio e sempre sogna,
e, pasciuta di menzogna,
sfregia il bene, esiglia il ver.
65Oh mia musa! oh mia compagna
dell’etá ridente e lieta!
quando in cima alla montagna
i tuoi canti aprivi al ciel,
tu credesti il tuo poeta
70cosa sacra infra le cose:
cinto l’hai delle tue rose,
l’hai bendato del tuo vel.
Ahi fatale, ahi tristo inganno!
Sul destrier dei dolci incanti
75ei s’assise; e il negro affanno
sul destrier gli cavalcò.

Sfumar vide i sogni amanti,
come nebbie della valle,
e, spossato a mezzo il calle,
80di morir desiderò.
Deh! ciò avvenga. A questa guen
cupa, eterna, il cor mi cade.
Letto angusto in poca terra
chiedo, e pace all’ombre in sen.
85Sotto il vel delle rugiade
dormirá la creta stanca,
e ai dolor del di che manca
sará premio il di che vien.
Viator, che sotto al faggio
90pigliò sonno in tetra selva,
e al rosato e fresco raggio
del mattin si risvegliò,
piú non teme abisso o belva,
esce all’aure, al sol ridente,
95ed un sogno è della mente
ogni rischio che passò.
Come pia sará la mano
che mi scavi il nido oscuro,
fuor degli uomini, lontano
100da fastidio e vanitá!
Fregi e simboli non curo
sulla povera mia pietra:
senza lauro e senza cetra
tuttavia si dormirá.

105Quando solo il di reclina,
quando è mesto il cielo e il core,
sull’avel mi porti Erma
il giacinto del suo crin;
poi la rosa, allegro fiore,
110orni sempre i suoi capelli,
e, sommersa in di piti belli,
pensi appena al mio destin. —
Cosí ognor passeggio e canto,
e, cantando, il cor lusingo.
115Ride il volgo. Ed io frattanto
spiro vita a’ miei pensier.
Col mio carme io vo solingo,
del mio carme il core ho lieto,
alle lucciole il ripeto,
120come al gallo mattinier.
E, in mirar la vòlta azzurra,
e in udire il voi del vento,
fuor del labbro, che susurra
i fantasmi che ho nel cor,
125vo esalando un fumo lento,
che coi vortici leggieri
accompagna i miei pensieri
di gaiezza o di dolor.

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