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Ciò che abbiamo detto intorno all'evoluzione dei sentimenti umani in rapporto alla morfologia dell'arte ed al nuovo concetto poetico c'induce ragionevolmente a credere che la poesia tende sempre più a divenire filosofica, ad avere cioè un contenuto ideale ispirato dai grandi problemi della vita, quali sono stati posti dalla scienza moderna.
La scienza che si è impadronita di tutte le manifestazioni della vita, che tutto ha scrollato del vecchio edifizio metafisico del pensiero, che tutto tende a trasformare ed a rifare di sana pianta le istituzioni civili e politiche, la scienza che difendendo e distruggendo le, religioni storiche sta per divenire essa stessa la religione vera e razionale delle nuove generazioni, doveva necessariamente spostare i poli dell'ispirazione poetica, dare alle arti un impulso potente verso i nuovi ideali, fornire ad esso nuovo capitale di sentimenti e di immagini rispondenti alle condizioni ed agli atteggiamenti della vita nella natura, quale essa ci è stata rivelata, spingere insomma le arti e specialmente la poesia alla rappresentazione di quella vita, ch'essa va sminuzzando in tutte le sue forme e fare del pensiero filosofico il fuoco centrale dell'arte nuova.
In Italia dove gli ingegni più liberi sono spesso costretti a sacrificare qualche cosa della propria personalità ai pregiudizi di una retorica rivelata e dispotica, basta il solo nome di poesia filosofica e scientifica per far accaponare la pelle ai custodi più o meno zelanti della paganità più o meno vergiliana delle nostre muse.
La critica italiana nonostante i generosi tentativi del De Sanctis e del Trezza, si aggira ancora, col debito rispetto agli Anfitrioni, come una mula bendata che tragge al bindolo entro al cerchio incantato delle vecchie teorie. Il classicismo è stato al pensiero poetico italiano una ferrea palla da galeotto. Esso se l'ha portata e se la trascina ancora pazientemente non solo, ma si ribella a coloro che la vorrebbero liberare, non dissimile dagli schiavi americani che presero le armi e si fecero scannare per difendere la propria schiavitù.
Per questo appunto vengono salutati come gloriosi avvenimenti letterari quegl'infecondi ritorni alla paganità e si decretano gli onori del trionfo e magari l'apoteosi a quei cucinieri non so se più astuti od ignoranti che osano imbandire agli albori del secolo XX° il broccolo lessato del classicismo con salsa piccante di epiteti bislacchi e con guernitura di metrica nuova infarcita di vecchio.
Per questo le oche ed i paperi guardiani del Campidoglio della critica schiamazzano maledettamente ad ogni tentativo di infondere nuovo sangue e vigore nelle vene clorotiche della musa italica a cui dovrebbero, secondo loro, bastare per rimetterla in forze le uova stantie della chioccia maremmana alternate alle pillole di cocaina ed a qualche bicchieraccio di sangue caldo sboccante dalla vena maestra del torello romagnolo.
Eppure la poesia filosofica ha nobili e gloriose tradizioni fra noi.
Per non parlare del Bruno, del Campanella filosofi più che poeti, non fu animata forse dal pensiero filosofico, qualunque ei fosse, quasi tutta la poesia della scuola siciliana e della bolognese? E la vecchia e la nuova scuola toscana dello stil nuovo non ci diedero memorabili esempi di lirica filosofica specialmente nelle canzoni dell'Alighieri? E la Divina Commedia a qual genere appartiene se non al filosofico? Molte liriche e molti poemi del XIV e XV° secolo potrei rammentare, i quali ancorchè miseri e triviali nella forma provano la tendenza della nostra poesia e dello ingegno italiano a tentare nell'arte la rappresentazione dei grandi problemi dell'anima e dell'universo; ma degne di dimenticanza non sono alcune tra le migliori poesie del Testi, del Guidi e del Maggi su argomenti filosofici e morali; e mirabili di concezione e di stile alcuni sonetti del Tasso. Anche Vittorio Alfieri ci ha lasciato un buon manipolo di rime filosofiche. E non è forse altamente filosofica tutta la poesia di Giacomo Leopardi?
Ma la critica italiana formicolante e brulicante intorno alle fonti alle date ed alle cronologie ragionate, non è obbligata a sapere ed a rammentare queste miserie; salvo poi a scandalizzarsi ed a gridare per tutti gli orifici delle sue trombe ufficiali ed in tutti i luoghi comodi delle gazzette contro le poesie più o meno indiziate da tendenze filosofiche e i poemi tendenziosi, come dicono i pappagalli ammaestrati; i quali con discernimento che li distingue, confondendo la poesia scientifica con la poesia didascalica, rabbuffano ferocemente le penne verdi e vibrano il becco adunco, ripetendo con voce chioccia fatta rauca dalla collera, che la poesia didattica è una sciocchezza.
Ora con tutto il rispetto dovuto alla nobile indignazione di tanti verdognoli parrucchetti ed al loro trespolo giornalistico, da cui tirano dì per dì, ora per ora le bombe odorose della loro critica, io mi permetto osservare che quando dico poesia filosofica o scientifica, la poesia didascalica non mi passa neppure per la controcassa del cervello e che il voler confondere l'una con l'altra è tanto enorme quanto sarebbe il prendere per critici infallibili i pappagalli.
E se gli esempi citati non bastano a dichiarare ciò che io intendo per poesia filosofica e se i nomi dei poeti che ho richiamato alla vostra memoria vi fanno sospettare che poesia tale è ormai roba da museo, lasciate che io vi faccia osservare come appunto al genere filosofico devono l'Inghilterra e la Francia contemporanea tutta una fioritura poetica splendidissima : da Victor Hugo a Shelley a Browningh.
Pare impossible che in Italia dove si è trovata e si trova tuttora una buona falange di manipolatori di romanzi, di racconti secondo gli ultimi figurini di Parigi, si faccia il viso dell'armi a chi tenta un genere di poesia che in Francia è stato glorificato nelle opere del più grande poeta del secolo.
Merita conto fermarsi alquanto su questo proposito e provare che la ripugnanza della cosidetta critica italiana alla poesia scientifica è in contraddizione con tutto il movimento scientifico e letterario del tempo e con gli esempi della poesia contemporanea delle altre nazioni e specialmente della Francia.
Uno dei tratti caratteristici del pensiero letterario del nostro tempo è il potere esercitato su di esso dalle idee scientifiche. La teoria benintesa dell'arte per l'arte e la teoria che assegna all'arte un ufficio morale e sociale sono egualmente vere e non si escludono a vicenda. Non è dunque strano nè inutile che il poeta abbia e sia convinto di avere una missione come l'ebbe Dante, che ad essa allude più volte chiaramente nel suo poema.
Il vero scrittore, ha detto Victor Hugo, si riconosce appunto alla fede ch'egli ha dell'ideale.
Anche il pensatore in questo secolo può e deve avere una fede santa ed utile al tempo stesso alla patria, alla giustizia, alla libertà, alla poesia. Avere una convinzione ed una fede vuol dire mirare ad un intento ideale, misurare, adunare le proprie forze per rimuovere gli ostacoli che si frappongono ad esso per avvicinarlo, raggiungerlo e possederlo. La convinzione è inoltre un principio di forza e di sincerità, un'attività dell'anima verso la verità che è fine della vita insieme e dell'arte e produce l'emozione e la simpatia.
La convinzione è il centro della proiezione luminosa del genio, essa fa vibrare le armoniche potenze dell'anima nella parola, che diviene per essa una forza irresistibile di attrazione e di repulsione, un'energia suggestiva a cui la mente dei mortali soggiace come a un fascino magnetico.
Volete voi distinguere un genio da un ingegno? un poeta da un verseggiatore? Domandategli se ha una fede.
Coloro, e son molti, cui la fama va oggi celebrando quali scrittori insigni, e che sorridono del genio, dell'ispirazione, e della missione come di parole ciarlatanesche, non sono che retori pretenziosi, larve non uomini, vestiti non anime; inducono la poesia ad un meccanismo di parole, di frasi, di rime; scambiano la prosodia con la poesia.
Victor Hugo comprese di buon'ora e molto meglio dei suoi successori che l'idea inseparabile dall'immagine è la sostanza della poesia, non esclusa la lirica.
Fin dal 1822 nella prefazione alle sue Odi e Ballate, egli osservò che l'Ode francese è rimasta sempre monotona ed impotente perchè essa è stata sempre costruita meccanicamente sopra un unico schema, dalla esclamazione, dall'apostrofe sino alla prosopopea. Invece di tutta questa simmetrica impalcatura di versi, di strofe, di figure, invece della macchina poetica, come allora si diceva, bisogna saper cavare dalle viscere dell'argomento la nota fondamentale, l'idea caratteristica, e svolgere intorno a questa tutta l'ode con un movimento, un colore, un calore che procede intimamente dalle idee anzichè dalle parole.
Aveva perciò ragione lo Chateaubriand di scrivere che i poeti sono di stirpe divina e che essi posseggono il solo incontestabile ingegno di cui la natura abbia fatto dono alla terra. La loro vita è semplice ad un tempo e sublime; essi celebrano gli Dei con la bocca d'oro e sono gli uomini più ingenui.
Che il verso sia bello ed elegante non basta; è necessario anzitutto ch'esso contenga un'idea, un'immagine, un sentimento.
Odio il verso che suona e che non crea, esclamava Foscolo.
L'ape costruisce artisticamente gli alveoli e poi li riempie di miele; l'alveare è il verso, il miele è la poesia. I grandi poeti ed i grandi artisti ridiventeranno come un tempo i grandi istitutori del popolo, i sacerdoti di una religione senza dogmi e senza Dio. Si può dire dell'alta poesia filosofica e morale ciò che Victor Hugo ha detto della natura: essa mescola sempre un po' di ebbrezza al latte delle sue mammelle. Le religioni dogmatiche si vanno dileguando dalla coscienza; esse saranno fra non guari scomparse; più saranno insufficienti a contenere la grande idealità umana, più la coscienza umana le rinnegherà.
L'arte, la grande arte, ispirata ed animata dal soffio della scienza è destinata a surrogare la religione. Gli uomini che non sentono il fascino dell'arte sono condannati a vivere bestialmente; la loro stessa bestialità li sottrae al sentimento del dolore universale. Coloro che hanno l'animo aperto alle voci dolorose che si levano dal gran tutto, hanno due soli mezzi per sottrarsi alla legge che condanna tutti gli esseri viventi al dolore: il vino ed il sogno.
Gli animi volgari si ubbriacano di vino; gli animi bennati si ubbriacano di sogni.
Il vino tronca l'attività del nostro pensiero, ci toglie la percezione della triste realtà; il sogno dischiude al nostro spirito le prospettive meravigliose dell'ideale, ci mette in comunicazione con esseri migliori, con un mondo più bello del nostro; ci solleva alla contemplazione di una vita luminosa, che risponde alla brama perpetua del nostro amore; ci dipinge come veri e reali e viventi gli obbietti iridescenti delle nostre speranze, apre alla nostra mente il miraggio della umana felicità.
Questo sogno, che è il più bello di tutti, è appunto la poesia, mirabile colonna di luce simile a quella che proietta Sirio imminente sulle ombre tremule e scintillanti e che attraverso I'infinita del mare e del cielo unisce per mezzo di una striscia luminosa il remoto astro porporino al crepuscolo del nostro pianeta.
La poesia filosofica, ho detto a consolazione di coloro che inorridiscono al suo nome, non intende provare e dimostrare nulla, non vuole neppure insegnare come la poesia didascalica, nè descrivere per sè stessa trovati della scienza; essa vuole soltanto far sentire le verità filosofiche, diffondere negli animi la certezza di esse per mezzo dei sentimenti che da esse derivano, scuotere la fede più alta, più armonica, più consentanea alla natura umana.
Il filosofo avrà un bel sorridere di questa fede e dell'arte che la suscita nel cuore dei mortali. Anche nelle anime più riflessive e più fredde v'è una moltitudine di echi misteriosi pronti a svegliarsi: basta una semplice idea, caduta per caso nei penetrali della coscienza, perchè un numero infinito di sentimenti, di voci e di suoni si levino dal fondo e si accordino in un'armonia improvvisa e sublime, in una specie di coro in cui gli spiriti reconditi delle cose parlano un linguaggio mai prima sentito.
Tutto ciò che voi avete pensato, sentito, amato si sveglia e si fonde in questo coro misterioso che si leva dalla coscienza come dal fondo di una prigione. Ogni anima umana ha dentro di sè una serie più o meno varia e profonda di armonie. Il vero poeta è colui che le sa destare. Le concezioni astratte della filosofia e della scienza non sono fatte (e chi lo nega?) per il linguaggio della poesia, ma v'ha pure in ogni filosofia ed in ogni scienza una parte che si riferisce a ciò che v'ha di più concreto e di più reale nel mondo e nella vita; la parte che riguarda il nostro destino, il problema della nostra esistenza.
La scienza si compone di un numero determinate di idee, che l'intelletto apprende nella loro integrità, essa è una vittoria e segna perciò un riposo della intelligenza; la poesia al contrario è prodotta dalla evocazione di una moltitudine di immagini e di sentimenti che popolano lo spirito, ma che non possono essere osservati in ogni loro particolare; essa è una suggestione perfetta delle nostre facoltà; uno sguardo gettato nel fondo misterioso ed infinito dell'essere.
I nostri scienziati sono simili a minatori che lavorano in una cava profonda; la lampada che portano getta un chiarore più o meno vivo intorno alle cose che li circondano immediatamente; ma al di là di questo cerchio ristretto non c'è per il loro sguardo che l'oscurità e l'ignoto.
Non tener conto se non di quei pochi oggetti visibili nella breve cerchia rischiarata dalla lampada, voler in essa limitare la nostra veduta, senza pensare all'immensità che strugge la nostra pupilla, è mezzo, anzi proposito di molti di coloro che si dicono filosofi positivisti; rassegnarsi al destino della talpa è misera ambizione della scienza moderna.
Ma questo meschino concetto che si ha della ricerca scientifica riesce, secondo me, alla negazione della parte migliore del pensiero umano ed è perciò contrario al metodo ed al fine del vero positivismo o, per dir meglio, materialismo il quale non dovrebbe trascurare nessuna delle forze della natura e dell'anima nè rinunziare a quel sentimento profondo dell'umana coscienza che ci spinge irresistibilmente ad integrare la sfinge dell'essere sull'origine e la destinazione delle cose ed a penetrare in qualunque modo in quell'ignoto regno di cui un gretto positivismo ci vorrebbe chiudere eternamente le porte.
La poesia filosofica moderna ha perciò l'ufficio e diciamo pure la missione di compiere e d'ingrandire la scienza contemporanea aggiungendo ad essa ciò che le manca, illuminando della sua luce soave le regioni inesplorate dell'anima e della vita universale. La scienza risponde metodicamente alle interrogazioni della nostra mente; la poesia lancia perpetuamente nell'infinito la interpretazione del nostro cuore.
La scienza, ragionando e sperimentando, si acqueta nella scoperta di una verità sia essa di ordine fisico o di ordine morale; la poesia prende l'ispirazione da questa verità, e sull'ale dell'immaginazione e del sentimento, spaziando ardimentosa sul gran mare della vita, ci fa sentire i dolori e le gioie che ci hanno accompagnato nel faticoso cammino, presentire tutti quei popoli indistinti di esseri, tutta la vita non ancora esplorata dell'universo dalla cui sublime nostalgia l'animo umano sarà perpetuamente tormentato e purificato.
Intese a questo modo la scienza e la poesia, lungi dall'escludersi e dall'usurparsi a vicenda gli uffici propri, si compiono e si armonizzano in una grande unità: la poesia diventa scientifica in quanto g'inspira alle scoperte ed alle verità della scienza; la scienza nonostante la rigidità del suo metodo è in sè stessa altamente poetica, in quanto dischiude al sentimento ed alla fantasia gli abissi infiniti dell'essere, facendo presentire in virtù del suo metodo stesso gli avanzamenti perpetui del pensiero umano nelle vie della verità, della giustizia, della libertà e della fratellanza universale degli esseri umani.
La stessa grande ombra d'ignoranza e di dolore, che sta sempre al di là delle più luminose conquiste del genio scientifico, diviene sorgente perpetua di sentimenti poetici elevatissimi, i quali prenderanno sempre più luogo nell'animo umano e si sostituiranno alla cieca fede nei dogmi ed alla religione dell'errore e della paura.
Da questo nuovo concetto della poesia scaturisce l'ufficio e l'apostolato di essa nella moderna società.
In Chateaubriand ed in Lamartine c'è il presentimento di questa nuova fase del pensiero poetico, ma esso rimane come annebbiato in un misticismo che ha più del teologico che del filosofico. In Alfredo de Vigny esso esce dai luoghi comuni della rettorica, si libera dalle declamazioni e dalle prediche edificanti; in Victor Hugo esso diventa entusiasmo profetico e dà il verbum novum della poesia futura.
Fermiamoci un memento ai piedi di questo colosso.
A smentire e a confondere con l'esempio la critica miope e malaugurosa, uggiolante sulla dissoluzione delle grandi opere poetiche, egli tentò tutti i generi, ed in tutti impresse l'orma incancellabile del suo genio;dall'epopea al madrigale, dalla tragedia alla satira ei tutto trasformò, ei tutto rifece a suo modo nella sostanza e nella forma; a tutto comunicò l'impulso, la forza di una vita nuova, la luce di un grande ideale umano in tutti i campi della vita moderna.
Dalla sua poesia fatta spesso di nuvole tempestose e di fantasmi cozzanti, si sprigiona un gran fascio di luce fulminia che lascia intravedere gli abissi infiniti dell'essere, il fondo miste-rioso delle cose, l'anima individuale e l'anima universale. La sua voce che ha squilli di tromba e lamenti di usignolo, ruggiti di leone e tubamenti di tortora, sa trovare tutte le vie del cuore, vi desta echi e musiche nuove fatte di memoria e di speranza, di collere magnanime e di generosi rimpianti.
L'occhio penetrante e pensoso del suo genio si apre come quello di un Dio su tutto ciò che vive, che ama, che piange nei penetrali più reconditi della natura, sugli strati più profondi della società, sull'uomo, sul bruto e sulle piante; e su tutto egli diffonde un raggio benefico di compassione, di tenerezza, di carità.
Occhio divino che ha lacrime soavi, irresistibili come quelle di una giovinetta innamorata, che ha sor risi di amore purissimo e fulmini di sdegno implacabili; che ha uno sguardo, per ogni dolore ed una saetta per ogni viltà.
Nessun poeta in nessun tempo ed in nessun paese ha innalzato un edifizio cosi vasto, cosi nuovo, cosi mostruoso; non vi scandalizzi la parola, perchè l'edificio poetico di Victor Hugo non ha l’ordine e la simmetria greca o latina, ma la varietà e la vastità meravigliosa dei colossi egiziani, delle foreste inesplorate dell'equatore.
Quivi immagini e forme e colori d'ogni specie; il reale più crudo s'intreccia al più bizzarro fantastico; il Dio greco si abbraccia al mostro orientale, Gumplaine a Graziana.
E tutti gli stili vi sono composti e fusi in un'armonia che solo può sfuggire ai volgari; il più puro è innestato al più barocco; Palladio e Bernini si abbracciano; è una fantasmagoria suscitata in un momento d'entusiasmo dinanzi ai nostri occhi stupiti da una potenza misteriosa in uno spazio interplanetare, in un crepuscolo popolato di mostri e di sogni.
E' un'invocazione meravigliosa di esseri che nulla hanno di umano nell'aspetto e nei costumi fluttuanti sempre tra la belva e il Dio da cui si sprigiona tanto dramma di passione umana, tanto fascino di simpatia che tu ti senti trasformato in essi ed affratellato con tutte le forme della vita universale di cui essi non sono che divinazioni e rappresentazioni fantastiche.
Con Victor Hugo la poesia diventa veramente e profondamente sociale in quanto che essa rappresenta i pensieri ed i sentimenti di tutta la società civile dopo la catastrofe della grande rivoluzione. Nei poeti e nei pensatori che preparano questo processo di rinnovamento noi sentiamo l'urlo dei gladiatori di Spartaco, le loro membra portano ancora le stimmate della schiavitù.
In Victor Hugo, poeta pensatore, il gladiatore vittorioso diventa apostolo e profeta di libertà. Attraverso le rovine di un mondo egli passa agitando le due fiaccole che rischiarano l'avvenire: la fiaccola dell'arte e la fiaccola della verità. Pensatore ho detto ed aggiungo sognatore: come il pensiero poetico compie il pensiero filosofico, così il sogno e il compimento del pensare.
Ciò che gli uomini volgari trascurano o deridono come cosa fuori della realtà e perciò inutile alla vita, ciò che essi rigettano in faccia ai pensatori e ai poeti da loro scherniti col nome di sognatori, e spesso il fiore più bello del pensiero il frutto più saporito della realtà, fiore e frutto che stanno in cima all'albero come la mela lazzeruola di Saffo, dimenticata ma non raggiunta, ma che però è disprezzata dalle volpi borghesi che non arrivano più in là con la loro zampa.
Se ci fosse dato, diceva il grande poeta, penetrare nell'altrui coscienza, noi potremmo certamente e con maggior sicurezza giudicare un uomo da ciò che sogna anzichè da ciò che pensa; nel pensiero concorre la volontà, il sogno è involontario. Le nostre chimere sono quelle che conservano meglio l'immagine dell'anima nostra. Tutti i così detti profeti, gli uomini che hanno presentito le grandi aurore dello spirito sono stati sempre sognatori. Il principio del giorno ha una grandiosità meravigliosa in cui uno sente il prolungamento di un sogno e il cominciamento di un pensiero.
In questo senso noi possiamo chiamare pensatore e filosofo il poeta di Notre Dame.
Un critico che volesse con i pensieri filosofici del poeta costruire tutto un sistema di filosofia, sarebbe semplicemente uno stolto. Ma egli è incontestabile che tutta l'opera generale di Victor Hugo è inspirata e pervasa da una grande serie di sentimenti che si riferiscono tutti ai moderni problemi filosofici e morali sull'Inconoscibile, sulla religione, sulla libertà e sulla fratellanza umana. Perchè la scienza si faccia ispiratrice dell'arte, bisogna che passi dal dominio del pensiero astratto a quello dell'immaginazione e del sentimento.
Per potere scrivere un giorno sulle idee universali della scienza, occorrerà servirsi delle emozioni che essa desta. La scienza allora diventerà poetica, sarà essa stessa una poesia o una musica ideale, come diceva lo Schiller. La poesia infatti (e non bisogna ricorrere all'autorità degli estetici tedeschi per sentirlo e comprenderlo) ha molta analogia con la musica, che altro non è se non la poesia dei suoni.
Ora noi che assistiamo ad una grande rivoluzione musicale sappiamo che quest'arte diviene sempre più dotta e complessa, tende ad armonizzare la voce umana alle voci misteriose di tutta la natura vivente, ai fremiti delle cose, ai palpiti dell'universo.
Il canto cede il luogo all'orchestra. L'opera teatrale sta per diventare un'opera sinfonica. L'individuo umano non basta più alla concezione dell'arte, si vuole, si cerca l'unisono dell'immenso. Così alla grande poesia che noi presentiamo non sarà più sufficiente, anzi parrà addirittura meschino e ridicolo, il semplice lavorio del verso, il ricamo e la cesellatura della strofe, assunto come a scopo e fine principale dell'opera d'arte; essa cercherà un'armonia più ampia, più alta e più varia, studierà d'intendere e tradurre a suo modo i molteplici accordi delle cose, l'armonia profonda dell'universo.
Se noi avessimo un apparecchio acustico infinitamente delicato, noi saremmo in grado di attraversare una foresta, di percepire la palpitazione delle foglie, le vibrazioni dei raggi, il mormorio continuo del succo vegetale che scorre nelle fibre e nelle cellule delle piante, il passo degli insetti, la goccia di brina che si dissolve, quel fremito insomma di tutte le cose, quel linguaggio di tutti gli esseri che forma la sinfonia irnmensa della natura.
La filosofia e la scienza possono farci intendere tutte le ricchezze armoniche della vita universale, la musica con l' indefinita potenza delle sue risonanze può farcele indovinare, la sola poesia può farcele sentire con la suggestione irresistibile che il genio sa dare ai suoi canti. Possiamo distinguere tre periodi nello svolgimento storico della poesia. In origine la poesia e la filosofia naturale formano un sol tutto, creano la medesima cosa.
Il Rig-Veda, la Bhaga-vad-gita, la Bibbia, non sono altro che grandi poemi metafisici, in cui la visione colorata della superficie non è che un velo fantasticamente istoriato che adombra i melanconici abissi della vita futura.
Parimente Empedocle, lo stesso Eraclito e lo stesso Platone erano poeti e filosofi ad un tempo e pensatore e poeta sommo fu Lucrezio.
A questo primo periodo tenne dietro una specie di ripartizione del lavoro: i filosofi se ne andarono per le vie nebulose della metafisica, gli scienziati si chiusero nella cerchia ristretta dei loro fluidi speciali e gli uni e gli altri si fecero un vanto di rimanere indifferenti ed insensibili ai danni profondi della vita; mentre i poeti abbandonate le alte cime del pensiero, si trastullarono in amori, in cortesie, in leggiadre imprese e riducendo tutta la vita ai sensi ci diedero una poesia tutta superficiale.
In un avvenire più o meno lontano l'armonia delle facoltà poetiche con le filosofiche for merà probabilmente l'originalità vera e la grandezza durevole di un poeta. Il poeta che è stato e sarà sempre un creatore di immagini e di miti sarà nello stesso tempo un creatore di idee e di sentimenti, precursore ed apostolo di civiltà. Ma perchè la poesia filosofica e scientifica abbia l'importanza morale e sociale che di ragione le spetta e che Victor Hugo ha saputo darle, deve essere cosa viva e veggente come la poesia religiosa.
E nessuno infatti dei moderni si accostò più del sommo poeta francese ai poeti ebrei. Ma coloro che lo hanno seguito, nonostante l'elevatezza dei loro intenti e la squisitezza dei loro sentimenti, o sono caduti nella vecchia confusione dell'arte con la scienza o ci hanno dato spesso dell'arida poesia in versi più o meno artificiosi, come il Sully-Prudhomme; o il contenuto filosofico e i sentimenti che da esso derivano hanno sacrificato alla ricerca pretenziosa della frase, alla costruzione impeccabile del verso, alla lucentezza serena e dirò anche glaciale della superficie.
Quando il genio manca l'ingegno che vuol farne le veci ricorre sempre a tali industrie, ovvero dominato dal concetto di mettere in luce ed in rilievo ciò che è umile e negletto e dispregiato nella natura e nella società, ha dato un tuffo nel tritume e nelle sciatterie della vita giornaliera come è avvenuto a Francois Coppée, il quale ultimamente ha detto questa verità, che la poesia se vuole continuare a vivere ha da farsi sociale.
L'aurora dei tempi nuovi, o miei cari, e che presto o tardi si muterà in un vento terribile di tempesta, è penetrata da più che mezzo secolo nella mente dei pensatori e nella fantasia dei poeti e l'ha rinfrescata e rinnovata di nuovi concetti e nuove immagini. Settantasei volte è fiorita la primavera inebriante di Roma intorno al cuore inconsunto di Shelley dacchè il poeta precursore liberava Prometeo dalla rupe maledetta.
E qui intanto in Italia, in questa famosa terra, dove fiorisce il limone e si infrasca la pedanteria, si va dissertando e disputando ancora con una gravità degna del Marfurio di Giordano Bruno o del Plataristotile di Pietro Aretino sulla possibilità di una poesia filosofica, anzi che dico? disputando!
Qui si grida la croce a chi tenta un tal genere di poesia o gli si volta dignitosamente le groppe come a chi dicesse di avere scoperta la quadratura del circolo.
In Italia la moderna rivoluzione scientifica ha prodotto, la Dio mercè, il sonetto afrodisiaco e la strofetta alcaica, una troiaggine ed una ciurmeria. E la critica bollata e patentata e salariata si scalmana intorno a queste due produzioni luminose del genio latino!
Arruffate le penne e rizzate la caruncola o tacchini innamorati di Lidje e di Lalle, fate pure la ruota sbuffante e gorgogliante o galli di India barbareschi, ma pregate il vostro Signore Iddio giacchè anche le bestie ne hanno uno) che la Pasqua sia lontana e che il coltello del cuciniere non tocchi i vostri corallini barbigli.
Noi poveri diavoli intanto, seduti tranquillamente nella modesta penombra dell'aspettativa ci contentimo di tendere l'orecchio nella speranza di sentire presto squillare per l'aria le campane del Resurrexit.
(2 marzo 1898).