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Traduzione dal latino di Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi (1902)
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Se debbano i monaci avere cosa alcuna di proprio.
CAP. 33.°
Sopra di ogni altro questo vizio sia
estirpato sin dalle radici nel
monastero; che niuno cioè ardisca nè dare
nè ricevere nulla senza il comando
dell’Abbate, nè avere cosa alcuna di
proprio, niente affatto; nè codice, nè
tavolette, nè stilo, nulla in somma;
come è giusto che non abbia siffatte
cose chi non ha più balìa nè della
propria volontà nè del proprio corpo.
Tutto quello però ch’è loro
necessario, debbono sperarlo dal Padre del
monastero, senza mai ritenere nulla
di ciò che l’Abbate non abbia dato o
permesso. E tutte le cose siano comuni
a tutti, come sta scritto; e niuno dica
o mai si creda che una cosa sia sua.
Che se qualcuno fosse scoperto
inchinare a questo pessimo vizio, venga
ammonito una e due volte; e se non
si sarà emendato, sia sottoposto alla
correzione.
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