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Traduzione dal latino di Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi (1902)
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Dell’Obbedienza.
CAP. 5.°
Il primo grado di umiltà è l’obbedienza,
ma pronta. Questa si esercita
da coloro che, nulla ponendo innanzi
a Cristo, per l’amore del divino
servizio che hanno professato, o pel
timore dell’inferno, o per la gloria
della vita eterna, appena loro vien
comandata qualche cosa dal Superiore,
come se fosse cenno di Dio,
non mettono indugio all’eseguire. Dei
quali dice il Signore: Appena udito
mi obbedì. — E similmente dice ai
maestri: Chi voi ascolta, me ascolta. —
E questi tali, abbandonando tosto le
cose loro, e rinnegando la propria
volontà, subito lasciando imperfetto
quello che avevano tra mani o che
facevano, seguitano la voce di colui
che domanda, prestando all’opera
dell’obbedienza rapido il piede: sicché
coloro cui preme il desiderio di salire a vita eterna, nella velocità del timore
di Dio, quasi in un medesimo istante
fanno veder compiuti il comando del
maestro e l’esecuzione perfetta del
discepolo. Perciò si attengono alla via
stretta, come il Signore disse: Stretta
è la via che conduce alla vita. —
Ond’essi, non vivendo a loro talento, né
chinandosi ai desiderii e alle voluttà,
ma movendosi secondo il giudizio e
l’ordine altrui, vivendo nei chiostri,
bramano che un Abbate a loro
presieda. Coloro senza dubbio si
conformano a quella sentenza del Signore,
che dice: Io non venni a fare la
volontà mia, ma di Colui che mi
mandò. — Ma questa stessa obbedienza allora
sarà accetta a Dio e soave agli
uomini, se il comando sia seguito senza
trepidazione, senza tardità, senza
svogliatezza o mormorazione, e senza
rifiuti; perchè l’obbedienza che si usa
ai superiori, rendesi a Dio. E lui
infatti che dice: Chi voi ascolta, me
ascolta. — E si conviene ai discepoli prestarla di buon animo; poiché Iddio
ama il sincero donatore.
Conciossiachè se il discepolo obbedisce di malo
animo, e se mormori, non che con la
bocca, solo col cuore; se bene
adempia il comando, pure non sarà accetto
a Dio, il quale scruta ben dentro il
cuore di chi mormora. Né poi di tale
fatto acquista alcuna grazia; anzi
incorre nella pena dei mormoranti,
se non si emendi e faccia penitenza.