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Traduzione dal latino di Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi (1902)
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Della Taciturnità.
CAP. 6.°
Facciamo come cantò il Profeta: Io
dissi, guarderò le mie azioni, per non
cadere in difetto con la lingua. Posi
una guardia alla mia bocca; mi feci
muto e mi umiliai, e mi tacqui anche
sopra cose buone. — Qui il Profeta
ci mostra, che se talvolta per amore
della taciturnità, devesi anche
cessare dai buoni discorsi, or tanto
maggiormente, per isfuggire la pena del peccato, convien guardarsi dal cattivo
parlare. Adunque, per serbare la
gravità del silenzio, di rado si conceda
ai perfetti discepoli licenza di parlare,
ancora che di buone, sante ed
edificanti cose; poiché sta scritto: Nel
molto parlare non isfuggirai il
peccato. — E altrove: La morte e la
vita sono in potere della lingua. —
Giacché conviene al maestro il parlare
e l’insegnare, e al discepolo il tacere
e l’ascoltare. Epperò se si ha da
richiedere qualcosa al Superiore, si
faccia con ogni umiltà e soggezione e
riverenza. Gli scherzi poi e le parole
oziose e ridevoli vogliamo in tutti
luoghi perpetuamente vietate, né a
simile parlare permettiamo che il
discepolo schiuda mai il suo labbro.