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Traduzione dal latino di Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi (1902)
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IV.
LE CERIMONIE DELLA MESSA.
Sono nel sacrifizio della Messa molte
preghiere, oblazioni e cerimonie, le
quali furono aggiunte parte dagli
Apostoli e parte dai loro successori,
tante per la maggior solennità di
questo sacrifizio, quanto per eccitare
la nostra devozione, e meglio spiegare
il mistero che rappresenta, cioè la
passione e la morte di Gesù Cristo.
L’altare con i suoi ornamenti e il Crocifisso sopra di esso, ci richiamano alla mente il Monte Calvario, e Cristo ivi crocifisso. Il sacerdote co’ suoi paramenti rappresenta Cristo legato nell’orto, e beffeggiato in vesti di derisione alle corti di Pilato e di Erode: la separata consecrazione dell’ostia e del vino rappresenta il suo Corpo ucciso, e il suo Sangue sparso: il silenzio durante il Canone significa la sua Crocifissione, la quale fece stupire e ammutolì tutta la natura: la elevazione dell’ostia e del calice per esser veduti e adorati dal popolo, rappresenta la sua elevazione sulla Croce: le diverse croci che si fanno dal sacerdote, son segni della sua passione; e la comunione è rappresentazione del suo spirar sulla croce e della sua sepoltura.
Una spiegazione poi più particolare di tutte le parti della messa è la seguente. Il sacerdote, per prepararsi al sacrifizio, comincia la Messa con un salmo di lode a Dio, che egli recita alternativamente col ministro, il quale rappresenta il popolo circostante, e consacrificante col sacerdote. A questo tien dietro il Confiteor o confessione dei peccati davanti a Dio e ai suoi Santi, imperocché il peccato offende Lui e tutta la corte celeste. Dopo avere così umilmente chiesto perdono delle nostre offese, il sacerdote ascende l’altare, lo bacia, ed implora insieme col popolo misericordia da Dio, dicendo in greco ed in latino Kyrie eleison, Christe eleison, ripetuto nove volte, cioè tre al Padre, tre al Figlio, e tre allo Spirito Santo. Quindi, cogli Angioli che scesero dal cielo alla nascita di Nostro Signore, dice il Gloria in excelsis; cioè, Sia gloria a Dio nei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Dopo questo cantico viene la preghiera o Colletta del giorno, nella quale il sacerdote prega per tutto il popolo. A questa si aggiunge la Lezione Epistola, presa dagli scritti dei Profeti o degli Apostoli, perchè la nostra istruzione comincia primieramente dalla loro dottrina. L’Epistola è seguita dal Graduale, che significa I nostri progressi nella vita spirituale. Ad esso tien dietro l’Alleluia che esprime gioia spirituale, e il Tratto, che esprime spirituale dolore; i quali affetti debbono essere ispirati dalla precedente Dottrina. Ma siccome Gesù Cristo è la verità incarnata, dalla quale i profeti, gli apostoli, i sacerdoti ed i popoli sono istruiti nella via di perfezione, perciò il sacerdote, venuto in mezzo all’altare, dove fa un’ammirabile preghiera per purificare il suo cuore e le labbra, si muove a leggere un passo del vangelo: e prima di cominciare la lettura, segna con la croce il libro, e poi sé stesso in fronte, sulla bocca e sul petto, perchè Gesù Cristo crocifisso è l’oggetto primario che ci è presentato dal vangelo, e ci avverte che noi dobbiamo portar la croce con Lui, per esser fatti degni di ascoltarlo e di eseguirlo. Dopo recita il Credo nelle Feste del Salvatore, della SS. Vergine, degli Apostoli e dei Dottori della Chiesa, dai quali è stata propagata questa Fede, perchè è in tali feste che il popolo fedele, ripieno del medesimo spirito, deve rinnovare in faccia ai santi altari la professione d’una medesima fede, e l’adorazione di tutti i nostri misteri.
Tale è la preparazione al Sacrifizio, o, com’era chiamata anticamente, la Messa de’ Catecumeni, alla quale era loro permesso d’esser presenti, prima che avessero ricevuto il Battesimo. Quando il fedele è così preparato, allora segue l’Offertorio, la Consacrazione, e la Comunione.
L’Offertorio consiste nelle oblazioni che fa il Sacerdote a Dio, pregando che si degni accettarle in favore dei popolo, che a lui si unisce in quell’offerta: e dopo l’oblazione e la benedizione dei doni, il Sacerdote si lava le mani, con che esprime il rispetto per i divini misteri che è per toccare, e la purità interiore con la quale bisogna accostarsi al Santo dei santi. Recita egli un salmo convenente a questa azione, e poi ritorna in mezzo all’altare, e dirige una preghiera alla SS.a Trinità, in cui per tutti i misteri della vita di Gesù Cristo domanda la grazia di profittare di un sì prezioso Sacrifizio: e voltandosi al popolo, lo esorta a pregare, dicendo: Orate, fratres, ed unirsi con lui a chiedere a Dio che accolga favorevolmente le offerte presentategli; perché i doni offerti da loro per la gloria del suo nome, siano utili a ciascuno per la propria salute.
La Consacrazione è preceduta dal Prefazio, nel quale il sacerdote esorta il popolo ad innalzare il cuore di Dio, ed unirsi divotamente agli Angeli in cielo, a lodare la divinita di Gesù Cristo insieme col Padre e con lo Spirito Santo, dicendo tre volte Santo, Santo Santo; e per lodare altresì la sua umanità, ripetendo coi fanciulli del tempio: «Osanna al figlio di David: benedetto colui che viene nel nome del Signore.» — Dopo di questo comincia il Canone, che in lingua greca significa Regola: e meritamente, perchè è la regola e la forma delle preghiere della Chiesa pel Sacrifizio. Questo è molto antico e pieno dei più grandi sentimenti di religione. In esso il Sacerdote fa commemorazione di quello per cui viene offerto questo Sacrifizio, e in particolare della Chiesa Cattolica, del Sommo Pontefice, del Vescovo, e di tutti quelli che vi assistono con devozione. Ciò vien seguito dalla commemorazione dei Santi, affinchè i loro meriti e la loro intercessione inducano Dio ad accordarci grazia ed aiuto: e il sacerdote termina la sua preghiera, implorando dal Signore che il Sacrifizio il quale sta per offrire, impedisca la dannazione, e sia ad eterna salvezza di coloro per cui è offerto. Questa parte della Messa è detta a voce bassa, perchè destinata ad una preghiera più raccolta ed interiore. Il Sacerdote fa frequenti segni di croce e sopra sè stesso, e sopra le cose offerte: la qual cerimonia vien messa in burla dagli eretici come superstizione! Ma dovrebbero ricordarsi quanto era ordinario e frequente un tal segno nella più remota antichità; mentre è naturalissima cosa rappresentare frequentemente Gesù Cristo Crocifisso in un’azione che è il memoriale di sua dolorosa morte, e in cui Egli dà a noi sé stesso per rinnovare continuamente il suo sacrifizio. Ma eccoci al momento della consacrazione. Quanto è giunto il sacerdote al punto di consacrare, di cangiare cioè il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Gesù Cristo, egli cessa di parlare da uomo. Rivestito della possanza di Gesù Cristo, ne prende le parole, e non è più lui che parla, ma Gesù Cristo stesso che parla per di lui bocca. Né possiamo dubitarne, basati sul precetto formale di Cristo medesimo, il quale disse: fate questo; cioè la cosa che Egli fece. Dopo le parole della consacrazione non v’ha più né pane né vino: Gesù Cristo trovasi tutto intiero sotto ambedue le specie; perchè sebbene la specie del pane contenga e significhi la sua carne, e la specie del vino il suo sangue, e queste due specie separate rappresentino la separazione violenta che del suo sangue e della carne sua avvenne sul Calvario, pure sappiamo che Gesù Cristo dopo la sua risurrezione non può più morire, e che nello stato suo glorioso ed impassibile, il suo Corpo ed il suo Sangue non potrebbero più essere separati realmente. Così chi riceve una delle due specie, riceve tutto Gesù Cristo, il suo Corpo cioè, il suo sangue, l’anima e la Divinità.
Essendo così disceso Gesù Cristo sui nostri altari, secondo la sua promessa, il sacerdote piegando a terra il suo ginocchio lo adora, e poi lo eleva per mostrarlo in tal modo al popolo, che prostrato esso pure lo adora. Indi tutte le volte che discuopre il calice o lo ricuopre, ei ripete in venerazione di Lui le sue genuflessioni. Tenendo in sua mano Gesù, il sacerdote dopo la consacrazione si scusa per avere osato di compiere un’azione così eccelsa, allegando la sua obbedienza al comando di Cristo; e prega che questo sacrifizio sia accolto di buon grado, come i sacrifizi di Abele, di Abramo, e di Melchisedec, e possa essere di profitto agli offerenti: non solamente a quelli che attualmente ne mangiano o vi partecipano, ma ai defunti ancora. E in ultimo prega per sé stesso, affinchè Iddio si degni accordare a Lui, quantunque peccatore, qualche parte fra gli apostoli, i martiri e gli altri santi, mediante l’immensità della misericordia, dicendo: Nobis quoque peccatoribus; cioè, anche per noi peccatori.
In seguito, pieno di gioia il sacerdote alla vista di questo mistero, leva la sua voce, e fa insieme con tutto il popolo quella divina preghiera che imparammo da Gesù Cristo medesimo simo: Pater noster qui es in coelis, preghiera alla quale nessun’altra merita di esser posta a confronto, e nella quale dobbiamo riporre tutta la nostra confidenza, se non vogliamo fare ingiuria a Gesù Cristo. Terminata questa orazione, il sacerdote prende la specie del pane e la spezza, per significare che il corpo di Gesù Cristo fu spezzato e immolato per noi; quindi mette una particella dell’ostia nel calice, per farci intendere la riunione del corpo suo col suo sangue nella sua trionfale risurrezione.
A questo punto si avvicina la comunione; e siccome quelli che ricevono questo sacramento debbono essere in pace con tutti, il sacerdote, arrestando gli occhi suoi sulla specie del pane, ripete alla vista di Gesù Cristo, percuotendosi il petto, le parole che disse S. Giovanni Battista, quando vide il Figlio di Dio: Agnus Dei... — Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi misericordia di noi, dacci la tua pace. — Quindi, recitate tre fervorose preghiere per chiedere a Dio il frutto del Sacrifizio, prima di comunicarsi riconoscesi indegno, e si percuote tre volte il pelto, ripetendo quelle toccanti parole del Centurione: Domine, non sum dignus. E dopo aver mangiato il pane celeste, beve il sangue prezioso. Dovrem noi stupire che Gesù Cristo abbia voluto essere nostro cibo per incorporarsi a noi? Prese la nostra carne per santificarla, e per divenire Egli stesso in noi principio di vita eterna. Abbassandosi ora sotto l’apparenza di un alimento sì familiare, non può nulla perdere di sua eterna maestà; e con colpire così i nostri sensi per mezzo di questa esteriore umiliazione, esercita a un tempo la nostra fede, e risveglia la nostra tenerezza. Così, quantunque si umilii, non si avvilisce perciò; tutto è degno di Lui in questo sacramento, continuazione delle sue bontà infinite. La Comunione è seguita da due abluzioni, la prima per facilitare il passaggio delle specie sacramentali, la seconda per raccogliere con rispetto le particelle e le goccie preziose che potrebbero restare nel calice.
Fatta la comunione, si conclude il tutto con un rendimento di grazie a Dio, che il sacerdote compie per sé e per il popolo, come dopo l’ultima cena fece lo stesso divino Maestro prima di andare all’orto degli olivi: ed avvertendo i circostanti che la Messa è finita, termina con dare la sua benedizione ai medesimi, desiderando loro ogni bene dal cielo.
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