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Traduzione dal latino di Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi (1902)
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II.
DELL’EUCARISTIA SACRIFIZIO, O DELLA SANTA MESSA.
L’Eucaristia, come Sacrifizio, è una
offerta che Gesù Cristo fa di sé stesso
sotto la specie del pane e del vino,
all’Eterno suo Padre, per mezzo dei
sacerdoti suoi ministri. Questo
sacrifizio è lo stesso che quello offerto da
Lui sulla croce: esso è anzi la
continuazione e la rinnovazione del
medesimo. Gesù Cristo è sui nostri altari
in istato di vittima, nell’apparenza di
morte; perchè, se bene sia vivo e glorioso, vi apparisce come immolato;
mentre per le parole della consacrazione
il suo corpo apparisce separato
dal sangue; e questa separazione delle
specie è una viva rappresentazione
della morte volenta ch’Egli patì. Così,
tanto sulla Croce quanto sui nostri altari,
è la medesima vittima e lo stesso
sacrificatore, e non vi corre altra diversità,
che nel suo modo. Sulla Croce infatti
Egli si offrì da sè stesso, mentre
sui nostri altari si offre pel ministero
de’ sacerdoti: sulla Croce si offrì in
una maniera sanguinolenta, morendo
realmente e realmente spargendo il
suo sangue; mentre sui nostri altari
si offre in una maniera incruenta e
misteriosa. Questo sacrifizio si chiama
Messa, e si offerisce per i vivi e per i
morti: non si offerisce che a Dio solo;
ma vi si fa memoria de’ Santi per
onorarli, per ringraziare Iddio dei
favori che loro ha fatti, e per pregarli
che uniscano le preghiere loro alle
nostre. Nel divino Sacrifizio della Messa
adunque si contiene, e senza
spargimento di sangue si sacrifica sui nostri
altari, sotto le specie del pane e del
vino, lo stesso Gesù Cristo, il quale
sul Calvario offri se stesso con effusione
di sangue all’eterno Padre sull’altare
della Croce, come vittima di
espiazione per i peccati nostri e per
i peccati di tutto il mondo. E sebbene
il principale Sacerdote offerente nel
Sacrifizio della Messa sia Gesù Cristo
nostro Salvatore, nondimeno la Chiesa
Cattolica, cioè tutti i fedeli cattolici,
come suo corpo mistico, e in particolar
modo i circostanti, i quali con fede e
divozione, con timore e riverenza
assistono alla Santa Messa, offeriscono
ancor essi questo Sacrifizio per le
mani del Sacerdote ministro di Cristo.
Perciò ogni fedele che assiste alla Messa, affine di ottenere il frutto e gli effetti di essa, deve formare la propria intenzione di offerire anch’esso questo Sacrifizio pel ministero del Sacerdote, a lode e gloria di Dio, ad ottenere la contrizione del cuore, il perdono de’ peccati commessi, e la remissione della pena dovuta per essi alla divina Giustizia; a rendimento di grazie per gl’innumerevoli benefizi di natura e di grazia ricevuti da Dio; per impetrare le sue misericordie, la sua grazia trionfatrice, e il soccorso nelle proprie miserie spirituali e temporali, pubbliche, e private: e finalmente in suffragio delle anime del Purgatorio.
Il Sacrifizio della Croce, rinnovato sui nostri altari, manda al Trono di Dio l’adorazione più degna e più eccellente del divin culto, l’adorazione e l’omaggio più glorioso che possa salire dalla terra al cielo; perocché porta con sé nel cospetto dell’Onnipotente la riconoscenza e l’attestato solenne della sovranità sopra tutte le creature rappresentate e annichilate in qualche modo dinanzi all’impero di Dio nella gran vittima che si è immolata per tutto il mondo: e il nuovo cantico di onore, di lode e d’adorazione, che fa sentire la vittima santissima offerta al Padre, vince infinitamente gli omaggi e le glorie che gli tributano tulle le schiere dei Santi e degli angeli in cielo, e dei giusti sulla terra.
Il solo cantico del sacrifizio eucaristico può ringraziare e ringrazia l’Onnipotente nel modo il più degno della sua infinita bontà e maestà, per tutti i benefici e i doni che ha sparsi, e che di continuo sparge sopra la terra. E se tutte le umane generazioni si protraessero per dar gloria, onore e azioni di grazie a Colui che è vivente nei secoli, i loro cantici non potrebbero essere grati a Dio se non si alzassero tra i profumi del gran Sacrificio, nel quale si offre un Olocausto, e si porta ai piedi del divin Trono una vittima, che sola può soddisfare per tutti i doni di Dio.
Più, la vittima stessa nell’atto che offre l’adorazione e presenta l’azione di grazia dovuta alla sovranità e alla beneficienza infinita di Dio, impetra ed ottiene ancora la propiziazione e il perdono dei nostri peccati, mettendo davanti all’eterno Padre la morte volontaria alla quale si è sottomesso il suo diletto Figliolo per riconciliare i peccati; o piuttosto, mettendogli davanti il suo Figliuolo medesimo, sotto i segni di quella morte colla quale il Padre è stato placato. Così il sacrifizio dell’altare è propiziatorio per i peccati e per le pene de’ fedeli vivi e defunti, senza che siano assolutamente esclusi gl’infedeli, gli eretici e gli scismatici; ed è meritorio di tutte le propiziazioni e le grazie, non però come se Gesù Cristo acquistasse nuovi meriti nel sacrificio dell’altare (il tesoro infinito de’ suoi meriti è stato acquistato nel sacrificio della Croce), ma per la virtù che ha il Sacrificio incruento; essendo quello un solo e medesimo sacrifizio. Questa propiziazione però è mediata e per impetrazione; e il Sacrifizio dicesi impetratorio, mentre la remissione dei peccati con tutti gli altri beni si ottengono con la virtù che il Sacrifizio ha nei meriti di Gesù Cristo, per impetrare le grazie di conversione o di santificazione; le quali ci dispongono ad ottenere, mediante la costruzione col sacramento della penitenza, la remissione dei peccati, l’abolizione delle pene a quelli dovute, ed anche un aumento di grazie. Nel modo stesso questo sacrifizio vale anche a conseguire i beni temporali, la sanità e guarigione del corpo, i frutti della terra, la pace dei nostri giorni, la liberazione dai mali, e l’acquisto dei beni leciti ed onesti, i quali subordinatamente ai beni spirituali si possono cristianamente domandare e conseguire soltanto pei meriti di Gesù Cristo.
E vero che le orazioni, le limosine e tutte le opere di religione e di pietà cristiana hanno esse pure la virtù di impetrare ogni sorta di grazia; ma il sacrifizio ha questa virtù di per sé stesso e per la vittima offerta; mentre quelle non l’hanno che dalle buone disposizioni dei fedeli che le praticano. Sebbene però bisogna al tempo stesso confessare che anche nel Sacrifizio la virtù impetratoria e propiziatoria, infinita in sé stessa, è limitata nell’effetto e nell’applicazione; mentre non dipende così dalla quantità dell’obblazione, che non si misuri molto ancora sulla disposizione di chi l’offre e di quello per cui si offre, o almeno sempre secondo il disegno e beneplacito di Dio, che conosce i bisogni e le disposizioni di tutti: e questo deve far riflettere alla ricchezza inestimabile delle grazie che otterrebbe nella Santa Messa quegli che sapesse proporzionare in qualche modo con il fervore la quantità e qualità sempre limitata dell’affetto alla quantità e qualità essenzialmente infinita dell’offerta.