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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LA SANTISSIMA TERNITÀ
“’Gni cosa ar monno ha er zu’ perchè, ffratello„,
Me disse marteddì Ffrà Ppascualone:
“li ggiudii adoraveno un vitello,
Noi un boccio,1 una pecora e un piccione.
Er boccio è ’r Padreterno cór cappello,
Che nnascé avanti all’antre du’ perzone;
E Ccristo è la figura de l’agnello,
Che sse fesce scannà ccome un cojjone.
E ’r piccione vò ddì che ttanto cuanto
Che la gabbia der crede ce se schioda,
Addio piccione, addio Spiritossanto.
E allora sti dottori de la bbroda
Currino appresso a mmetteje cór guanto
Un pizzico de sale in zu la coda„.2
In vettura, da Terni e Narni, Der medemo - 12 novembre 1832
- ↑ Vecchio.
- ↑ Cosa che si diceva a’ fanciulli per ischerzo, allorchè vogliono avere uccelli liberi. “Allorchè gli avrai messo un poco di sale sulla coda, quell’uccello non si muoverà più„.
Note
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