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XIII.
Ai primi di settembre nel villaggio di X... aveva luogo la gran festa patronale, che con fiera e pubblici divertimenti durava tre giorni: era la maggiore e più splendida di tutta quella contrada, e chiamava un popoloso concorso di gente da tutta la provincia. La famiglia conoscente dei Nori aveva fatto loro e ripetuto più volte con insistente premura l’invito di recarcisi e passare colà almeno due di quei giorni festajuoli.
Matilde, già poco disposta ad accettare, ebbe buona ragione al suo rifiuto nella salute del padre, che da qualche giorno erasi peggiorata; ma Alberto, temendo offendere quella buona famiglia, stimolato da Cesare, che desiderava di rompere con qualche divertimento la monotonìa di quell’esistenza, decise di andarci egli col cognato, e di assistere al gran ballo che davasi in quella casa la sera appunto della festa religiosa. I due cognati sarebbero così partiti alla mattina della domenica per tornare alla sera del lunedì.
Al sabato vi fu, fra Lograve e il servo Battista, un segreto, importante colloquio.
— Caro mio, cominciò il primo, è venuto il momento in cui io posso, e sta in te ch’io voglia, mantenere le mie promesse, ed effettuare i tuoi più cari desiderî.
— Come sarebbe a dire? domandò Battista coll’aria diplomatica d’uomo che si dispone a difendere con pertinacia e senza discrezione i suoi interessi.
— Sarebbe a dire che per isposare la Lisa e vivere felice, non hai che da volerlo.
— Altro che lo voglio!... Lei dunque ne ha trovato i mezzi?
— Sì.
— Una buona casa in cui servire ambedue?
— Meglio; una buona somma che può essere la sorgente della vostra fortuna.
— Ah! esclamò il servo con poco entusiasmo. Può essere la sorgente non vuol dire ancora che sia la fortuna.
Emilio guardò stupito quel giovane che a un tratto aveva smesso la sua aria da nesci, e lasciava travedere nello sguardo sicuro una ferma risoluzione.
— Nelle mani d’un uomo intelligente, destro, risoluto, come m’hai l’aria d’essere tu, diventerà una fortuna senza fallo.
— E qual è codesta somma?
— Diecimila lire! pronunziò lentamente Emilio spiccando chiare chiare le sillabe, per fare maggiore impressione sul suo ascoltatore.
— Ah! fece il servo, impassibile, chinando il capo e gli occhî, e non disse altro.
— La ti va? domandò Emilio dopo una pausa.
Battista guardava sempre fissamente la punta delle sue scarpe.
— Diecimila lire... peuh! disse poi con calma indifferente, al giorno d’oggi... peuh!... e per prenderle non avrei che da tendere la mano?
— Poco di più.
— Che cosa?
— Senti una supposizione. Una notte, tu sei solo a difesa della casa della padrona, perchè il marito e il fratello di costei sono andati...
— Alla festa di X... suggerì freddamente Battista.
— Sono assenti, finì Emilio la sua frase. Or bene, a un dato momento, s’introduce in casa un uomo...
— Un ladro?
— No... uno che ha qualche segreto interesse a sbrigare...
— Colla signora Matilde?
Emilio guardò un momento in silenzio il domestico; poi soggiunse abbassando la voce:
— Mettiamo che la signora si spaventi e gridi ajuto, tu cosa faresti?
— Accorro e getto quell’uomo dalla finestra.
— Quell’uomo può venire armato e avere tanta abilità da non isparare un colpo di pistola in fallo.
— Come lei!
— Ti faresti fracassare la testa?
— Credo che non avrebbe pur tempo a sparare, perchè gli sarei addosso d’un salto, e con queste mani lo strozzerei come un pollastro prima che dicesse «ahi!»
E tese innanzi due manaccie che promettevano di essere fedeli e esecutrici di quel programma.
Egli guardò quelle manaccie, la complessione tarchiata e il collo torso del giovane, e capì che nel caso non ci sarebbe stato da scherzare.
— Ma, soggiunse, per evitare ogni disgraziata conseguenza, il meglio sarebbe che quell’uomo e tu non vi trovaste al cimento.
— Che quell’altro non venisse?
— No... che tu non vi fossi.
— Ah, ah! Come?
— Se, per esempio, quella medesima sera tu di cheto te ne partissi con la Lisa per essere felici insieme... altrove...
— Capisco!... Ma ci resterebbero in casa la cuoca e il padre della signora...
Lograve fece un gesto che significava non importargliene.
— Capisco! rispose Battista con accento più malizioso. La cuoca dorme in alto, dall’altra parte della casa, e non potrebbe sentire... Ma il signor Danzàno, la cui camera non è lontana da quella della signora che di pochi passi?
— Veniamo a noi! interruppe con qualche impazienza il tentatore.
— Capisco! ripetè ancora il servo, di cui l’accento e il contegno pigliavano una sempre più insolente famigliarità, questo è l’affare di... di quell’uomo... Veniamo a noi, come lei dice. Io dunque dovrei partirmene?
— Partendo, darmi la chiave dell’uscio di casa.
— E per codesto che lei domanda, avrei diecimila lire?
— Contanti.
Battista appoggiò il gomito destro sulla mano sinistra, e accarezzandosi il mento colla destra disse, gli occhî impertinenti fissi sul volto del Lograve:
— Sa una cosa?... Che per quello che lei vuole, diecimila lire sono troppo poco.
— Ti pare?
— Assai troppo poco, Quella chiave ha un prezzo molto maggiore.
— Quale, per esempio?... Sentiam il tuo parere.
— Non tocca a me il dirlo... Tocca a lei che vuole procurarsela...
— Bè... accresciamola della metà: quindicimila lire.
Battista rimase impassibile, fregandosi sempre il mento.
— Diamine! riprese Emilio. Bada che, per voler troppo, perderai tutto.
Il servo si rizzò del busto e prese una mossa solenne.
— E chi le dice ch’io voglia qualche cosa? Oh non può nemmeno supporre che la mia onestà sia superiore alla tentazione di qualunque somma? Non sa ch’io sono affezionato ai miei padroni? Non pensa che il mio dovere è d’andare a svelar tutto al signor Alberto... e che ci vado?
Mosse alcuni passi verso l’uscio: Emilio, diventato livido in volto, gli si gettò dinanzi.
— Tu non uscirai, gli disse con voce soffocata dall’ira. Il segreto che tu hai è un segreto mortale: se una parola di esso ti sfugge dalla bocca, te lo giuro per l’anima mia, t’ammazzo come un cane.
Battista s’arretrò spaventato, tanto era terribile la figura di quel tristo.
Successe una pausa. Emilio, rifattosi calmo, s’avvicinò alla finestra, e trasse di tasca la rivoltella di cui andava sempre armato.
— Signore! esclamò Battista allibbito.
Ma l’altro, senza badargli:
— Come volano ratte quelle rondini! Ma vola più ratta la palla della mia pistola.
Sparò senza mirare e una rondinella cadde morta nel giardino.
— O signore! disse il servo sbalordito. Il suo occhio e la sua mano sono infallibili... Lo so.
— Or dunque, riprese il Lograve, affatto in calma, tu hai da scegliere: o servirmi come voglio o raccomandarti l’anima.
— C’è ancora una terza uscita, disse Battista tuttavia turbatello. Io non la servirò, ma le prometto di tacere...
— Non mi basta, proruppe l’altro. Quest’occasione che si presenta, sono anni ed anni che l’aspetto. Ho lavorato per farla nascere, per potermene giovare, con intensa tenacità: non la tornerà forse mai più. Non posso rinunziarvi... Ebbene, sì, tu hai ragione; la chiave che io ti domando ha un valore immenso per me. Sono pronto a tutto per averla... Vuoi ventimila lire?
Un’ondata di sangue salì al capo di Battista, le vene del collo gli si gonfiarono; un’aspra lotta si combatteva in lui; perchè il tentatore non gli potesse leggere nell’anima, egli si coprì colla destra gli occhî.
L’insidiatore insisteva:
— Siamo a due passi dalla frontiera, tu colla tua Lisa in due ore sei fuori... Porti teco in tasca la fortuna, l’indipendenza tua e di tua moglie...
Il servo non abbassò la mano dalla fronte, e con voce che appena s’udiva, domandò:
— Ventimila lire?... Quando me le darebbe?
Emilio ebbe sulle labbra un fugacissimo tristo sogghigno. La sua penetrazione non l’aveva fatto sbagliare sul conto di quel giovane.
— Al momento stesso in cui tu mi consegnerai la chiave, rispose.
Battista abbassò le braccia lungo la persona nella mossa del rispetto e tornando nel contegno umile d’un domestico bene ammaestrato, disse, gli occhî vòlti a terra, e un po’ esitante:
— Signore... avrei da fare delle spese... anche per la Lisa... affine di metterci in condizioni di partire.
Emilio levò di tasca il portabiglietti, e cavatone due polizze da cento lire, le porse a Battista.
— Prendi per le tue spese.
Il servo intascò inchinandosi e ringraziando.
— E ora, intendiamo per bene tutti i particolari, perchè non nascano imbrogli ed equivoci.
Battista usciva mezz’ora dopo dal palazzotto con tutte le occorrenti istruzioni.