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UNA MARCIA D’ESTATE.
Era una bella giornata d’agosto; non una nuvola, non un soffio di vento; l’aria immobile e infocata. La strada per cui il reggimento camminava era larga diritta e lunga che non se ne vedeva la fine, e coperta d’una polvere finissima che si sollevava a nuvoli, penetrando negli occhi, nella bocca, sotto i panni, e imbiancando barbe e capelli. A destra e a sinistra della strada non un albero, non un cespuglio, non un palmo d’ombra, non una goccia d’acqua. La campagna era secca, nuda, deserta; nelle poche case sparse qua e là, un silenzio, una quiete, che parevano disabitate. Non si poteva fermar lo sguardo sulla via, nè sui muri, nè sui campi, tanto vi batteva il sole. Si camminava a capo basso e a occhi socchiusi. Insomma, una bellissima giornata d’agosto, una pessima giornata di marcia.
Il reggimento camminava da poco più di un’ora. Malgrado quella polvere e quel caldo soffocante, i soldati erano ancora vispi ed allegri come al momento ch’eran partiti. Due file camminavano a destra e due a sinistra della strada, e dall’una all’altra parte era un continuo scoccare e incrociarsi e ricambiarsi di motti, di frizzi e di mille voci lepide e strane; e di tratto in tratto una gran risata e un batter clamoroso di mani, a cui seguiva sempre un: — Al posto, via, in ordine! — che ristabiliva momentaneamente il silenzio e la quiete. A tre, a quattro, a cinque voci assieme, si sentiva cantare qua l’allegro stornello toscano, là la patetica romanza meridionale, più oltre la canzone guerriera delle Alpi; ed altri smettere, ed altri cominciare, e mille accenti e dialetti svariati succedersi e mescolarsi. La marcia procedeva in tutto e per tutto a norma del regolamento; le file serrate, il passo franco, gli ufficiali al posto; tutto in ordine, tutto appuntino. Benone! E si andava, e si andava...
Ma — oh vedete là il second’uomo della prima fila, che comincia a perder la distanza! Adesso l’aggiusto io. Oh là! Volete serrare sì o no?... — Ha serrato.
Altri dieci o dodici passi. — Un altro. — E dàgli! Volete marciare al posto, sì o no? — Oh vedete come va quella coda! Corpo di... Animo, serriamo, laggiù; passo di corsa. — Una rapida corsa, un gran battere di borraccie sui fianchi, un rumoroso ballar di cartucce nelle giberne, una confusione, un polverio che tutto investe, che tutto copre... La coda ha serrato. — Bisogna sfiatarsi, non c’è che dire; ci vorrebbero dei polmoni di ferro. Gli è un gran brutto marciare quest’oggi... Un sole che brucia il cervello... una polvere che leva il respiro... e questa strada che non finisce mai... e questo cheppì.... Ci fosse un albero almeno! un palmo d’ombra, un po’ d’acqua! Ma niente... È un deserto questo. —
I canti che si udivano dianzi son già calati di una nota; il dialogo è un po’ meno vivo; le file un po’ meno serrate. Il comandante del primo pelottone è già alla testa della seconda squadra; il comandante del secondo è alla coda della terza. Si vede che il reggimento è in marcia da tre ore.
La via diritta è finita; comincia a serpeggiare. L'occhio non può precorrere il cammino e confortarsi sui tetti di qualche lontano villaggio, sul campanile di una chiesuola, su qualcosa che dia indizio di abitazione e prometta una fermata, un po’ di riposo, un po’ di respiro... un momento di vita. Dio mio, che strada! Non si vede cento passi innanzi. Coraggio, via; ancora cinque minuti, e saremo alla voltata. Chi sa che, svoltando, non ci apparisca, lontano lontano, un paesello o un folto d’alberi, dove ci facciano fermare! La speranza rinvigorisce le forze; si studia il passo; siamo alla voltata; si corre per mettersi presto sulla nuova direzione, si allunga il collo, si spinge innanzi avidamente lo sguardo... Case? Alberi? Villaggi? Fermate? Niente! Strada, strada, e sempre strada. Oh disperazione! I menti ripiombano sui petti, gli occhi ricadono a terra, le schiene si ricurvano sotto gli zaini; le file, dalla momentanea pressa ristrette, si riaprono; la coda segna il passo; il comandante del primo pelottone è già alla testa del secondo, il comandante del secondo è già alla testa della compagnia che vien dietro; il capitano... dove sarà il capitano?
I canti che si udivano due ore fa son già calati di due note. Si canta perchè s’è cominciato a cantare; forse non si ricomincerebbe più. Il dialogo è stentato; gli scherzi non hanno più sale. Ah! si vede che il reggimento è in marcia da quattro ore.
E si va, e si va, e si va. I volti arsi dal sole, grondanti sudore, neri, contratti, trasfigurati; il respiro affannoso; le labbra pendenti; la lingua grossa; le mani gonfie, pesanti; le piante indolenzite; in tutta la persona una cascaggine, un abbandono; gli zaini vengon giù sulle reni, le giberne sulle natiche, i cappotti su per la schiena raggrinzati e fradici; le cravatte sciolte; i cheppì spinti all’indietro fin sulla nuca o colla tesa calata sul naso. Gli occhi, offesi dalla luce soverchia, o si figgono immobili sull’orma del compagno che precede, o errano qua e là avidamente in cerca di un rigagnolo, di una fonte, di... di un pantano, anco; purchè si potesse mitigare questo foco infernale che ci brucia le viscere... Oh la sete! E qui s’affacciano alla mente alterata immagini varie e confuse di caffè altra volta (quando si era felici!) frequentati; si vedon là gli avventori sorbire lentamente dei grandi bicchieri di birra spumante, gelata; si vedono delle fonti d’acqua viva sgorgare, spumeggiando, da una roccia; se ne sente il mormorio, se ne vede lo splendore cristallino serpeggiare e perdersi fra l’erbe.... Oh poterlo raggiungere! — Arrivato alla tappa, beverò tanto da morire! Volerò subito al caffè, vuoterò una bottiglia di un fiato, due, e se non basta, tre...
E si va, e si va. I canti sono cessati; il dialogo morto. Uno scherzo forzato scocca qualche volta dalle labbra dei più vigorosi; indarno; è accolto con glaciale silenzio. Si marcia taciti taciti. Molti che erano alla testa, ora, zoppicando, si trovano alla coda. I più forti che erano alla coda, eccoli, senza che se ne avvedano, alla testa. Le compagnie si confondono — Al posto! per Dio! al posto! Gli è il modo di marciare codesto?... — Non dan retta; è lo stesso che predicare ai muri. — Ohelà! voi! perchè vi fermate? Avanti, animo, su. — Tenente, non mi fido. — Niente, niente; levatevi; avanti... Inutile; egli già dorme. — Serrate, voi altri, laggiù. Animo. Oramai non c’è che poco.
— Oh sì, c’è poco! — Dicono sempre così. — Intanto non si fa mai alto. — E il brodo di questa mattina era acqua. — E il prestito non l’hanno ancora dato. — E con questo sole, ci potevano far partire un po’ prima. — E alto intanto non si fa mai, — e il brodo... — e il prestito...
Largo! largo! — Che c’è? Chi viene?... Un precipitoso scalpitìo di cavali, un denso nuvolo di polvere... è passato. Era un ufficiale di stato maggiore.
Già, eccoli lì quelli che ci fanno correre. — Gli è comodo, da cavallo, gridare avanti a quelli che vanno a piedi! — Se avesse lui lo zaino... Ohe, tu, di’! alza quei piedi; non ce n’è abbastanza della polvere, non è vero? —
Molti si arrestano. Molti, accorciando il passo, lasciano passare innanzi la propria compagnia per fermarsi non visti. La voce dei superiori suona stizzosa, non più autorevole. Gli ordini sono radi radi. — Il comandante del primo pelottone... Dov’è il comandante del primo pelottone? — Ah, si vede che il reggimento è in marcia da cinque ore!
O ch’è questo? S’udì uno squillo di tromba. Un oh! prolungato gli fece eco dall’uno all’altro capo della colonna. Tutti si arrestano, e qui comincia una confusione, un parapiglia, un rovesciarsi di zaini, un cader di fucili, un rotolar di cheppì giù pei fossi della via, un correre a destra e a sinistra... In due minuti il reggimento è sparito. Dentro i fossi, di qua e di là della strada, un serra serra, un gridìo, un disputarsi a spintoni e a colpi di gomito un palmo d’ombra, un palmo d’erba. Pei campi un va e vieni di assetati in traccia d’acqua, che si cercano, si scontrano e si arrestano, come una processione di formiche su per la scorza d’un albero; un chiedere da bere con voce lamentevole, un negare di voci stizzite, o un concedere a stento, uno strapparsi dalle mani i gamellini con rabbia gelosa... A poco a poco il tumulto scema, il movimento diminuisce, la quiete ritorna; tutti, o bene o male, giacciono a terra, tutti riposano, tutti chiudono gli occhi... Ancora un minuto e tutto il reggimento dormirà.
— Largo! largo, ragazzi! Un po’ di passo. Di’, tu, bada che ti passerà addosso la ruota. E tu leva quello zaino di mezzo alla strada... Un po’ di passo, via. Fatemi largo. — Oh eccolo l’apportatore della vita, ecco l’amico dei galantuomini, ecco la provvidenza! Il vivandiere! — I dormenti si scuotono, stirano le braccia, si fregano gli occhi, puntano i gomiti in terra; su, su, su, eccoli in piedi; corrono e fanno ressa intorno al carro, e vi si rimescolano e vi si addossano come i cavalloni del mare attorno alla nave nel forte della tempesta. Al disopra di tutta quella calca un tender di mani, un agitar di braccia, un porgere e un ricevere quattrini, un lamentarsi cruccioso di esser là da un’ora e di non aver ancora avuto niente, un insistere ora minaccioso ora supplichevole... Il pover uomo è ansante, suda, sbuffa, domanda un po’ di largo, un po’ di fiato...
Un altro squillo di tromba; è l’attenti. Un lungo mormorio di sorpresa e di malcontento gli fa eco. — Non c’è tempo di mandar giù un boccone. — Era meglio non fermarsi, allora. — Ci vogliono ammazzare. — Sicuro. — La folla si disperde lentamente; i giacenti si levano faticosamente a sedere; parte si drizzano in piedi lemme lemme; parte stan lì a godere l’ultimo minuto, l’ultimo istante; a poco a poco tutti son saliti dai fossi sulla via, gli zaini sono sulle spalle, gli ordini son ricomposti. — Un altro suono; la prima compagnia si muove... la seconda, la terza... tutto il reggimento è in moto. — Al posto, eh! Non ripetiamo la babilonia di prima.
Per una mezz’ora le cose vanno un po’ meno peggio che per l’addietro; comunque le membra si risentano dolorosamente del breve riposo, e non tutti abbiano sazia la sete. — Ma guardate come marcia quella coda! Ma volete serrare una volta? — Per una mezz’ora, come si diceva, le cose vanno un po’ men peggio di prima; le file si sono serrate, chi stava addietro ha raggiunto la sua compagnia, gli ufficiali sono tornati al posto... — Ma questo sole brucia il cervello! Questo è un caldo d’Africa! È impossibile resistere!... I piedi non han più forza di sollevarsi da terra, strisciano; le braccia cadono spenzoloni, il cinturino scivola giù dai fianchi, le cinghie dello zaino segano le spalle, il cappotto opprime lo stomaco... E non si arriva mai! E dove ci vogliono condurre?
— Una fontana! una fontana! — Un grido di gioia risponde all’avviso. Gli ordini si rompono, tutti accorrono; a cinque, a sei, a dieci si cacciano a corpo morto sull’acqua: urti, spintoni, litigi, grida, percosse. — Al posto, al posto, per Dio! — tuona un ufficiale sdegnato. La turba si rompe e si sperde in tutte le direzioni; molti, lo stomaco gravato dall’acqua, tentano invano di raggiungere il proprio posto; altri vi giungono dopo una corsa affannosa e sono costretti a fermarsi poco dopo; altri restano là ancora per un sorso, per una goccia, un minuto, un momento!... Le forze mancano, i vacui si allargano, i fossi si popolano di estenuati; tutto vacilla, tutto cade... All’improvviso, allo svoltare della via, si vede un campanile, un villaggio. — È la tappa! È la tappa! — Il grido si propaga in un istante dalla testa alla coda; l’effetto è mirabile; le forze si rinfrancano, le file si serrano, le compagnie si riformano, gli sbandati accorrono; tutto è mutato. Echeggia la musica; siamo al villaggio; si entra. Le soglie delle officine, le imboccature delle vie, le finestre, i balconi, si riempiono di curiosi; qua e là ai davanzali si affacciano dei visini atteggiati a pietosa curiosità. — Poveretti! come saranno stanchi! — Oh, gli effetti di quegli occhi! Chi andava curvo si addirizza con grande sforzo per l’ultima volta; chi zoppicava piglia un’andatura più risoluta; chi stava per cadere, stremato di forze, si fa animo e tira innanzi.... — Olà, voi, dove andate? — Un sorso d’acqua, tenente. — Niente, niente! al posto! — Oh, i crudeli! — si mormora all’intorno dalle mamme compassionevoli; — come li trattano, poveri ragazzi! Neppure un sorso d’acqua! —
Il reggimento è passato, ha posate le armi, ha spiegato le tende.... Oh che campo animato ed allegro! E le fatiche e gli stenti della marcia non si ricordano più?
Ah!... nemmen per sogno.