Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1889

LA ZECCA DI TRESANA




Un bizzarro ingegno del cinquecento, Tomaso Porcacchi, scrivendo la storia della famiglia Malaspina1, fu il primo a parlare del diritto di zecca concesso a questa nobile stirpe: sembra però che le asserzioni dell’enciclopedico toscano non fossero appoggiate che a qualche tradizione, se pure non furono inventate di pianta da lui stesso, perchè egli nel suo libro fa risalire la data della concessione ad Ottone II imperatore che restituì ad Obizzo Malaspina lo stato con tutti gli antichi privilegi e con autorità di battere moneta. Dimostrare l’insussistenza di quest’ultima frangia non è cosa difficile: a quell’epoca l’importantissimo diritto della moneta era riserbato a poche città d’Italia, e nessuna famiglia, per quanto nobile e potente, lo godette mai: inoltre in tutti i documenti di quel secolo ed anche nei posteriori, i signori Malaspina conteggiarono e fecero pagamenti solo a moneta lucchese o pavese o di altre città, mentre, se avessero avuto zecca propria, sarebbe stato per loro più proficuo e più naturale il far uso della loro moneta. Per ultimo mancano completamente le prove di fatto.

Tuttavia se i signori Malaspina non ebbero diritto di zecca nel medio evo, era naturale che al pari di tante altre nobili famiglie italiane lo ottenessero nel secolo decimosesto quando gli imperatori largheggiarono tanto in concessioni e privilegi di questo genere; e appunto nella seconda metà del cinquecento Guglielmo Malaspina, marchese di Tresana, otteneva da Massimiliano II imperatore il diritto di battere moneta d’oro, d’argento e di rame nel suo feudo, per se e per i suoi discendenti. Prima però d’entrar a parlare dell’officina monetaria di Tresana sarà opportuno dar qualche cenno di questo ramo dei Malaspina, tanto più che le notizie intorno ad esso dei vari scrittori sono poco esatte e si contraddicono spesso: la storia di questa famiglia è intricatissima e malagevole, ed è solo coll’aiuto di documenti sincroni che ho potuto rettificare parecchie inesattezze in cui sono caduti coloro che mi hanno preceduto nel trattare questo argomento 2.

I Malaspina di Tresana furono un ramo dei marchesi di Lusuolo, e questi alla lor volta ebbero origine dal ramo di Villafranca, derivato da quel di Mulazzo: loro capostipite fu un Giovan Iacopo, marchese di Tresana, Ponzano e Brina, che viveva negli ultimi anni del secolo decimoquarto; lasciando di parlare dei vari marchesi che si succedettero nel dominio di questi feudi durante il quindicesimo secolo, verrò a dire dei signori di Tresana nel secolo susseguente, curando di schiarirne un poco la genealogia. Nel 1510 Guglielmo Malaspina, era succeduto al padre Gian Giorgio nel marchesato: risiedeva per lo più in Mantova e sposò anzi una Benedetta Pii di quella città: nel 1515 segui le parti dei Francesi, ma con poco vantaggio e morì nel 15283. Dei quattro figliuoli che ebbe, Ercole, Carlo, Rodolfo e Guglielmo postumo, non so per quale ragione ottenne il feudo di Tresana quest’ultimo: di lui ben poche notizie abbiamo ed è probabile che abbia quasi sempre vissuto alla corte di Mantova e che vi fosse venuto in grande credito perchè fu nel gennaio del 1568 mandato ambasciatore alla corte cesarea dal duca Guglielmo Gonzaga e rimase colà sino a tutto l’anno 1571, ottenendo prima di partire dall’imperatore Massimiliano II il privilegio di battere moneta in Tresana4. Morì nel 1580 lasciando erede del marchesato il figlio Francesco Guglielmo, di cui ora avrò a dire più lungamente.

Ancor giovanetto Francesco Guglielmo era stato condotto alla corte imperiale di Germania dal padre, quando questi vi era andato ambasciatore pel duca di Mantova; e là restò prima come paggio, poi come coppiere dell’imperatore. Guglielmo, alla sua morte, lo aveva posto sotto la tutela dell’avola Benedetta Pii, perchè tuttora minorenne, e la saggia gentildonna credè opportuno di lasciarlo alla corte di Vienna fino al 15875; trascorso il qual anno e fattosi già uomo, Francesco Guglielmo tornò in Italia a prender possesso de’ suoi feudi e si acconciò al servizio di Ferdinando de’ Medici, granduca di Toscana. Stette tre anni a Firenze, coprendo vari ufficii e nel 1591 fu dal Granduca mandato ambasciatore presso la corte degli Estensi a Ferrara; e quando, morto Alfonso d’Este, il nuovo duca Cesare fu spogliato dal pontefice Clemente VIII della capitale dei suoi stati, lo seguì, sempre come ambasciatore toscano, a Modena.

Naturalmente essendo sempre assente, Francesco Guglielmo aveva pensato a nominare un luogotenente generale a Tresana che lo rappresentasse in tutto e che doveva in modo speciale sorvegliare la zecca in cui fin dal tempo del marchese Guglielmo si battevano moneto minute. Era luogotenente nel 1598 certo Castruccio Baldissori lucchese, che fidando nell’assenza del suo signore pensò bene di mettersi d’accordo col maestro di zecca, Claudio di Antonio Anglese, francese, per coniare grande quantità di monete contraffatte a diversi tipi di Francia, di Savoia, di Venezia, di Genova, di Bologna, di Massa e di Roma e compiutane in breve tempo una numerosa battitura le fece spargere in vari stati italiani e sopratutto nel Veneto per mezzo di tal Salomone, detto Flaminio, ebreo e negoziante veronese. Il reato era pur troppo assai comune a quei tempi, in cui una folla di signorotti inondavano l’Europa di monete adulterate, trincerandosi dietro inconcludenti privilegi di zecca: in questo caso però sembra che i falsari fossero andati troppo oltre tantoché se ne mossero da varie parti accuse a Francesco Guglielmo. Fu pronto questi a scrivere al luogotenente ingiungendogli di incarcerare l’Anglese e di istruire processo contro di lui; ma il Baldissori che stava male in coscienza, lasciò fuggire lo zecchiere e poco dopo egli stesso si ridusse in salvo. Allora il marchese recatosi in persona a Tresana potè far arrestare l’ebreo Salomone e raccolte le prove del delitto fu fatto con sollecitudine il processo ai tre delinquenti, tantoché il 20 novembre 1598 il podestà di Tresana emanò la sentenza con cui il maestro di zecca veniva condannato al rogo e il luogotenente alla forca, ambedue poi alla confisca dei beni; l’ebreo Salomone pagò anche pei due contumaci, giacché condannato a perpetua prigionia, di li a poco morì in carcere.

Lo spiacevole avvenimento fece rumore per tutta Italia e si credette da molti alla colpabilità di Francesco Guglielmo: anzi il papa Clemente VIII, che era stato danneggiato dalle contraffazioni di Tresana imitanti le monete romane e bolognesi, fondandosi su non so quali diritti fece istruire un processo contro il Malaspina e con monitorio del 14 agosto 1600 lo citò a comparire insieme ai suoi complici davanti la Curia Pontificia per giustificarsi e difendersi, sotto pena di essere condannato in contumacia ove non comparisse e comminandogli anche la multa di diecimila ducati d’oro.

Il marchese in sì duro frangente, preso consiglio da’ suoi amici e specialmente dal granduca Ferdinando de’ Medici, credette miglior partito non presentarsi a Roma, giudicando inopportuno lo scolparsi di un delitto che non aveva commesso: e per questo dopo due anni la Curia romana pronunziò sentenza con cui lo si dichiarava reo di aver fatto battere e spendere monete false e lo si condannava alla multa di diecimila ducati d’oro, non pagando i quali sarebbe incorso nella scomunica maggiore, che portava la confisca dei beni, la decadenza da ogni feudo e ufficio sì ecclesiastico che laico, mentre i sudditi venivano sciolti dal giuramento di fedeltà verso di lui.

E forse a questo rigore del pontefice verso il Malaspina non fu estranea la deposizione dello zecchiere Claudio Anglese che domandò a Roma un salvacondotto per venire a far da testimonio nel processo intentato contro il suo signore; nel memoriale diretto al governatore di Roma e pubblicato dal sig. Bertolotti6, il francese cercava di gettare tutta la colpa sul marchese, protestando di aver commesso il delitto solo per ordine di lui.

Com’era naturale Francesco Guglielmo non pensò punto a pagare l’esorbitante multa, sì perchè non lo poteva materialmente, sì anche perchè credeva con diritto che la Curia romana fosse in questo caso incompetente a giudicarlo, dipendendo i feudatari imperiali dal solo imperatore. Per questo di li a non molto fu colpito dalla scomunica maggiore; i terrazzani di Tresana, indettati forse dal governatore spagnolo di Pontremoli, gli si ribellarono, ed egli dovette riparare alla corte di Modena dove era stato ambasciatore pel granduca di Toscana sino al 1602. Qui cominciò a cercar di reagire contro la sentenza ingiusta che lo aveva colpito e si appellò all’imperatore, che non gli potè essere di alcun giovamento; indarno il Granduca di Toscana e i duchi di Modena di Parma e di Mantova attestavano della sua onorabilità e della sua innocenza: Roma non si lasciò smuovere e il povero marchese non aveva pur troppo i diecimila ducati d’oro per saziare la bramosa voglia della Curia pontificia. Intanto il governatore di Pontremoli aveva occupato Tresana a nome della Spagna e vi si manteneva col diritto del più forte, per cui al marchese, per riavere il feudo ed i beni, convenne far atto di sottomissione al re di Spagna e ricevere da lui una nuova investitura, prestandogli il debito giuramento di fedeltà. Le pratiche furono lunghe e difficili e solo verso la fine del 1606, dietro buoni uffici degli Anziani di Pontremoli, il conte di Fuentes ordinava a quel governatore di restituire al Malaspina il castello e marchesato di Tresana7. Ma la sua posizione rapporto ai sudditi era scossa: la scomunica gravava sempre su di lui con tutte le sue funeste conseguenze e per questo dietro nuove divergenze e nuove accuse fu consigliato dal governatore di Milano ad abbandonare il feudo e a ritirarsi lontano. Francesco Guglielmo comprese che il consiglio, sebbene interessato, meritava d’essere seguito, e benché a malincuore parti colla famiglia da Tresana e andò a stabilirsi alla Mirandola, dove pochi anni dopo, nel 1613, morì8. Gli successe il figlio Guglielmo, che ottenuta con grandissime difficoltà dalla Spagna l’investitura dei suoi stati, cercò, largheggiando in concessioni, di cattivarsi gli animi de’ suoi vassalli: ma non seppe governarsi colla voluta prudenza e anzi si diede a una vita piuttosto facile e dispendiosa, tantoché non sapendo in qual modo far danaro, pensò a riaprire la zecca. Infatti nel 1623 si cominciò a battere cavallotti di abbastanza buona lega e si seguitò per qualche anno, senza uscire dai limiti del giusto e dell’onesto: ma pur troppo le cose non procedettero sempre cosi. Nel 1626 la zecca fu data in affitto al famigerato Giovan Agostino Rivarola di Genova, uno dei più abili contraffattori di monete di quei tempi, che fu, si può dire, il genio malefico e il principale autore della rovina del principe Siro da Correggio. Non parve vero al Rivarola di avere un luogo di più ove esercitare la sua colpevole industria e il marchese Guglielmo, che pure doveva aver presente l’esempio del padre, rovinato per cagione della zecca, fu tanto stolto da permettergli di battere monete evidentemente adulterate, senza pensare al pericolo in cui incorreva. Fortunatamente per lui, il Rivarola non potè occuparsi molto dell’officina di Tresana e il suo arresto seguito poco dopo a Correggio impedì che anche il marchese Guglielmo seguisse le sorti del principe Siro: ma nel processo che si fece al Rivarola vennero in luce concessioni fattegli dal Malaspina di stampare monete contraffatte, e sebbene non potesse provarsi che la battitura avesse avuto realmente luogo, tornò in campo contro il marchese di Tresana l’accusa che aveva già gravato sul padre di lui. Da questo tempo in avanti non fu che una non interrotta sequela di lotte tra lui ed i suoi vassalli, a sedare le quali indarno si intromisero i signori vicini: e queste lotte andarono tant’oltre che il 6 gennaio 1651 in una scaramuccia coi terrazzani di Tresana il marchese Guglielmo restò ucciso da un’archibugiata9.

Il governatore di Milano s’impossessò subito del feudo pel re di Spagna, che lo vendette poi coll’altro di Castagnetolo al marchese Bartolomeo Corsini di Firenze, nel 1660.

Detto così dei tre marchesi che ebbero dominio su Tresana, dopoché questo castello ebbe privilegio di zecca, sarà ora più facile il trattare delle monete che in varii tempi vi si batterono.

Dal marchese Guglielmo, che chiamerò seniore, non si conoscono che sesini e quattrini di bassa lega o di rame, a diversi tipi, che si possono però ridurre ai seguenti principali:

I. — Stemma Malaspina nel diritto, e figura di san Francesco di Paola nel rovescio (2 varietà)10;

II. — Stemma Malaspina nel diritto e mezza figura di san Francesco di Paola nel rovescio (1 varietà)11;

III. — Stemma Malaspina nel diritto, e busto di san Luigi re di Francia nel rovescio (4 varietà); imitazione assai libera dei sesini lucchesi12;

IV. — Croce nel diritto e busto di san Luigi nel rovescio (2 varietà)13;

V. — Pianta di spino secco nel diritto ed aquila coronata nel rovescio (1 varietà); contraffazione dei quattrini dei duchi d’Urbino14.

Tutte queste monetucce sono piuttosto rare e difficili a trovarsi ben conservate: non credo che il marchese Guglielmo abbia battuto monete d’argento e molto meno d’oro, perchè lo spaccio ne sarebbe riuscito difficilissimo a meno che non fossero state contraffazioni aperte.

Al marchese Francesco Guglielmo spettano tutte le monete che sinora sono andate sotto il nome di Francesco Guglielmo e di Francesco. I tipi che se ne conoscono sono già più numerosi di quelli del padre e restano ancora a scoprirsi le monete battute dallo zecchiere Anglese imitate a quelle degli stati che più sopra ho riferito cioè Francia, Savol., Venezia, Genova, Bologna, Roma, e Massa15: sommariamente si possono quindi enumerare i seguenti:

I. — Cavallotto, col nome Francesco Guglielmo; busto nel diritto e san Giorgio nel rovescio (6 varietà)16;

II. — Cavallotto, col nome Francesco, allo stesso tipo (3 varietà)17; III. — Mezzo Cavallotto, col nome Francesco, allo stesso tipo (1 varietà)18;

IV. — Soldo con stemma Malaspina nel diritto e figura intera di san Rocco nel rovescio (2 varietà)19;

V. — Sesino con croce nel diritto e busto di san Luigi re di Francia nel rovescio (1 varietà); simile a quelli battuti dal padre Guglielmo20;

VI. — Sesino con mezzaluna nel diritto e monogramma formato da due C nel rovescio (1 varietà); contraffazione dei sesini mantovani del duca Vincenzo Gonzaga, pubblicati dal Promis come spettanti a Casale e comunissimi21.

Finalmente un ultimo tipo ci è dato dalla seguente monetuccia inedita, di cui un amico volle gentilmente favorirmi un calco:


D/ — FRA • G • MAL • SP • MA .....
Busto barbato a sin.

R/ — SVB • VMBRA A .....
Aquila coronata ad ali spiegate.

È di puro rame e pesa grammi 0,92; si nel diritto che nel rovescio imita i quattrini estensi e particolarmente mente quelli battuti dal duca Ercole II a Reggio d’Emilia.

Le monete del marchese Francesco Guglielmo sono le più facili a rinvenirsi fra quelle di Tresana: specialmente i cavallotti, di cui s’incontrano molte varianti, dovettero essere battuti in grande quantità ed ebbero corso non solo in Lunigiana, ma anche negli stati vicini, sebbene non fossero di titolo molto alto (circa 416 millesimi). Trovo infatti che a Parma nel 1596 e successivamente nel 1610 e nel 1616 furono tariffati a soldi cinque di moneta parmigiana22; lo stesso valore fu loro assegnato in Modena23 ed in Firenze24 nel 1618, mentre in Bologna e in Ferrara nel 1612 furono limitati a soldi tre, denari tre25.

Dal marchese Guglielmo, ultimo di questo ramo dei Malaspina, non sono conosciuti che due cavallotti26, uno dei quali è battuto al tipo di quelli del padre nel 1623 e l’altro, di due anni posteriore, ha per rovescio l’impresa personale del marchese, che era un cane accosciato col motto Mai morte muterà mia mente. Se però, come è probabilissimo, la locazione collo zecchiere Rivarola ebbe effetto, dall’officina di Tresana dovettero uscire molte altre monete a tipo adulterato, che per mancanza di contrassegni precisi, oggi difficilmente si riconoscono fra le loro congeneri. La cortesia del cav. Ercole Gnecchi mi permette appunto di pubblicare i disegni di alcune di queste monete tolti da un documento del 1627 e precisamente dalla copia di una concessione del marchese Guglielmo Malaspina, sequestrata al Rivarola e che comparì in atti nel processo che si fece allo zecchiere genovese.


D/ – SVB • VMBRA – ALARVM • TVARVM (fra due stellette).
La beata Vergine coronata, col bambino in braccio, assisa sopra una mezzaluna.

R/ – S – LADISLAVS • REX • 1620.
Figura in piedi di re guerriero con un’azza d’arme nella destra.

Come si può agevolmente vedere dal disegno, questa moneta d’oro è un’imitazione degli ongari d’Ungheria che secondo la concessione del marchese Guglielmo doveva esaere della bontà, di carati dodici per onza, cioè di circa 600 millesimi; le leggende non danno indicazione alcuna della zecca e solo l’autenticità, del documento ci prova che è di Tresana. Non è del resto difficile il credere che il Rivarola che lavorò in diverse officine di contraffazioni abbia battuto iu parecchi luoghi delle monete con gli stessi conii, ottenendo così il doppio vantaggio di non rinnovare troppo spesso il materiale di zecca e di emettere monete che non portassero traccia alcuna del nome del luogo ove si esercitava la criminosa industria.

D/ — CONCORDIA • RES • PAR • GRES • TRA
Figura in piedi di guerriero, con spada nella destra; nel campo la data 16-19.

R/ — MO • NOVA • BONA • AVREA • BATVTA • IN • TRE (in cinque righe entro una cartella quadrata con ornati).

Anche questa è imitazione di un ongaro battuto a Utrecht e come la precedente era alla bontà di 600 millesimi: la leggenda del rovescio ha chiaramente la prima sillaba del nome Tresana.


D/ — Leggenda in caratteri arabi.

R/ — Simile.

Questa terza moneta d’oro fu battuta certo per essere spacciata in Levante e doveva essere al titolo delle precedenti 27.

D/ — DEVS • SPES · NOSTRA · EST 1622.
Aquila bicipite con corona imperiale, recante in petto uno scudetto partito colle armi d’Austria; nel basso un globo crucigero con la cifra 24.

R/ ― S • OSMADVS • D · G · HORMAN • REX • PROTE • NOSTER
Busto barbato a destra, con corona, collare increspato e paludamento.

Non ho potuto trovare precisamente a quale moneta sia stata imitata questa che qui produco, sebbene sia evidente che il prototipo debba esser stato al conio dell’imperatore Ferdinando II. Comunque sia, questo pezzo che stando alla cifra 24 dell’esergo avrebbe dovuto aver il valore di ventiquattro soldi, era invece di un titolo bassissimo, circa 166 millesimi, di guisa che costituiva non un’imitazione discreta, ma una fraudolentissima falsificazione28.


D/ — S • LEODEGARIVS DO― EPISCOPVS • AVGVSTODVNEN • P
Busto barbato di ecclesiastico a destra; nel campo la data 1621.

R/ – INSIGNIA ― ANTIQVISSIMA • ET • MATERNA
Stemma con ornati e corona.

Questo tallero che era della derisoria bontà di 250 millesimi, imitava completamente il tallero del Tirolo dell’arciduca Leopoldo, terzo figlio dì Carlo di Stiria29. Nel gabinetto di Brera si conserva un esemplare della moneta genuina che ha lo stesso anno 1621; lo stemma poi è identico a quello del tallero di Tresana, che riproduce senza variarle le armi di casa d’Austria legittimandole colla solita leggenda Insignia aniiquissima et materna, sfruttata da tutti i principi contraffattori di monete a quell’epoca. E dire che il buon padre Affò, illustrando delle monete di Guastalla di simil natura, faceva dell’acrobatismo araldico, sforzandosi di far passare per armi Borromeo e Gonzaga, gli stemmi tedeschi dei fiorini battuti da Ferrante secondo!

Il documento che mi ha fornito i disegni di queste contraffazioni chiude la storia dell’officina di Tresana, che viene così ad assumere un’importanza maggiore di quanto ha avuto sin qui. Molte delle monete tresanesi restano ancora da scoprirsi e non è difficile che qualche ripostiglio e ricerche più accurate ne mettano in luce dei nuovi esemplari, che accresceranno la serie già numerosissima delle falsificazioni italiane; e poiché sono in materia non vo’ chiudere questi brevi studii senza esprimere ancora una volta un desiderio, che, cioè, qualche studioso imprenda a trattare delle contraffazioni di monete operate in Italia nei secoli decimosesto e decimosettimo: l’argomento è interessantissimo e da questa specie di numismatica comparata, si potrebbero trarre deduzioni assai importanti e per la storia e per la economia e per l’arte.





  1. Porcacchi. Historia dell’origine et successione dell’illustrissima famiglia Malaspina, Verona, 1585.
  2. Della zecca di Tresana e dei marchesi Malaspina che la esercitarono hanno scritto diffusamente lo Zanetti, (Delle zecche della Lunigiana, nel tomo V della sua Raccolta), il Litta nella Famiglia Malaspina e ultimamente il cav. Eugenio Branchi nella Illustrazione storica di alcuni sigilli antichi della Lunigiana, edita dal prof. Giovanni Sforza nel Giornale Ligustico, anno X. Il sig. Branchi pubblicando un sigillo di Francesco Guglielmo Malaspina lo corredò di preziose notizie, alle quali ho dovuto attingere moltissimo e che mi sono state di grande aiuto per questo breve lavoro.
  3. A questo primo Guglielmo lo Zanetti attribuisce le monete battute da suo figlio, che, come vedremo, si chiamò pure Guglielmo: egli ha fatto dì due individui un personaggio solo, che secondo le sue notizie sarebbe morto nel 1578. È inutile il dire come ciò sia completamente inesatto.
  4. Il privilegio è datato da Vienna, addì 28 ottobre 1571 ed è intestato al marchese Guglielmo Malaspina. Secondo il Litta e il Branchi, questo Guglielmo postumo invece di chiamarsi col nome del padre, si chiamò Francesco Guglielmo come il figlio: ma anche su questo credo debba farsi una rettifica perché le molte lettere che si conservano di lui nell’Archivio Gonzaga di Mantova son tutte firmate Guglielmo; di più il Porcacchi che era suo contemporaneo e che si occupò ex professo della storia dei Malaspina, a pag. 189 della sua opera citata, dice: « Ora de Azzo son discesi i marchesi di Tresana et di Lusolo, de’ quali sono Guglielmo et Hercole ch’abitano in Mantova.»
  5. In quest’anno al primo di settembre si trovava a Praga al seguito della Corte e di là scriveva al duca Vincenzo Gonzaga condolendosi della morte del di lui padre, il duca Guglielmo.
  6. Bertolotti. Artisti francesi in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, pag. 57.
  7. Francesco Guglielmo ne partecipava da Reggio la notizia al duca di Mantova con lettera del 17 novembre 1606.
  8. Ebbe in moglie Susanna di Gian Vincenzo Malaspina marchese di Monteregio, da cai gli nacquero tre figli: Guglielmo, Alfonso e Giulio Cesare. Negli ultimi anni della sua vita soleva firmarsi soltanto Francesco e con questo solo nome sono improntate parecchie dello sue monete o anche il suo sigillo, pubblicato dal Branchi: negli atti notarili però si disse sempre Francesco Guglielmo.
  9. Guglielmo fa ammogliato con Anna di Lazaro Malaspina marchese d’Olivola, vedova di Galeazzo Canossa, da cei non ebbe prole che gli sopravivesse. Il Litta fa una strana confusione ponendo Susanna Malaspina moglie di Guglielmo morto nel 1580 e Anna moglie di Francesco Guglielmo morto nel 1513: ma per rettificare queste inesattezze basta pensare che Anna nacque nel 1603 e che quando sposò il Malaspina era già vedova di Galeazzo Canossa.
  10. Pubblicati dallo Zanetti, op. cit. tav. XIX, 4 e dal Kunz nel Museo Bottacin.
  11. Pubblicato nelle Zecche dei Malaspina per nozze Malaspina-Giacobazzi, tav. I, 2.
  12. Pubblicati dallo Zanetti, op. cit., tav. XIX, 1. 2. 8; un’altra varietà citata dal catalogo della Collezione Rossi
  13. Pubblicato dal Promis, Monete di zecche italiane inedite o corrette; un’altra varietà esisteva nella collezione Rossi.
  14. Pubblicato dallo Zanetti, op. cit. tav. XIX, 6.
  15. Un accurato esame delle contraffazioni sinora inesplicate spettanti a quelle zecche, metterà forse in luce delle nuove monete di Tresana: più avanti cito appunto due falsificazioni di sesini mantovani e reggiani, che furono trovate nel mare magnum delle monetuccie sconosciute.
  16. Pubblicati dallo Zanetti, op. cit., tav. XIX, 7. 8; quattro altre varietà esistevano nelle collezioni Rossi, Borghesi e Remedi.
  17. Pubblicati dallo Zanetti, op. cit., tav. XIX, 10 e nelle Zecche dei Malaspina, tav. I, 8; un’altra varietà esisteva nella raccolta Remedi.
  18. Pubblicato dallo Zanetti, op. cit, tav. XIX, 9.
  19. Pubblicato nelle Zecche dei Malaspina, tav. 1, 8; un’altra varietà esiste nel Regio Museo di Parma.
  20. Già nella collezione Rossi a Roma.
  21. Pubblicato nelle Zecche dei Malaspina, tav. I, 6. È un curiosissimo e raro saggio di contraffazione di moneta mantovana: invece del motto sic il falsario, forse l’Anglese, ha posto entro la mezzaluna le lettere f c g; le leggende un po’ consunte dicono pel diritto: franc . o . ma . . . . m e pel rovescio: .... xana . fe . mon ....
  22. Affò. La zecca e moneta parmigiana, pag. 211, 220, 230.
  23. Lotti. Raccolta delle monete d’oro, d’argento e di rame battute e spese nella città e stati di Modena, pag. 12.
  24. Manni. Osservazioni storiche sopra i sigilli antichi, XIX, pag. 138.
  25. Bellini. Dell’antica lira ferrarese di marchesini, pag. 176.
  26. Pubblicati dallo Zanetti, op. cit., XIX, 11 e 12.
  27. Ecco la prima parte della concessione che riguarda le tre monete d’oro suddescritte.

    “Concede S. S. Ill.ma a Gio. Agostino Rivarola suo zecchiere di Treggiana le suddette monete di oro nominate fiorini di bontà di carati dodici per “onza et a pesso numero cento otto alla libra che ualerano l’uno libre otto moneta di Treggiana e per tanto li potrà spendere nel nostro stato et dette moneto li potrà fare conforme li suddetti impronti durante la sua locatione et le potrà fare di maggior bontà et peso se le piacerà, ordinando alli Ministri della zecca che trouandoli delle dette qualità li liberano senz’altro ordine.”
    “Io Gulielmo Malaspina Marchese di Treggiana.”
  28. La concessione per questa moneta è la seguente:
    Concede S. S. Ill.ma a Gio: Agostino Rinarola suo zecchiero di Treggiana la suddetta moneta d’argento, di bontà de onze due per libra et e di pesi numero cento alla libra che ualerano l’una soldi quattro e mezzo “e per tanto li potrà spenderà nel nostro stato, et detta moneta la potrà fare conforme il sudetto impronto duranti la sua locatione, o la potrà fare di maggior bontà e peso se li piacerà, ordinando alli nostri Ministri della zecca che trouandola della detta qualità la liberano senz’altro ordine.”
  29. La concessione relativa al tallero è la seguente:
    Concede S. S. Ill.ma a Gio: Agostino Rinarola suo zecchiero una moneta d’argento di bontà di onze tre per libra e pesi n. dodici e mezzo alla libra, che ualerano l’una soldi cinquantasei e por tanto la potrà spendere nel nostro stato, et detta moneta la potrà fare conforme il sudetto impronto durante la sua locatione et la potrà faro di maggior bontà e poso se li piacerà, ordinando alli Ministri della zecca che trouandola della suddetta qualità la liberano senz’altro ordine.
    Alle concessioni segue l’autenticazione del notaio:

    Et ego Joannse f. quondam Petri Mariæ ex Villanis de Pontremulo pubblicus imperiali auctoritate Notarius Collegiatus etc. ac de presenti incola ciuitatis Guastallæ copiam predictam trium concessionum fideliter “per me extractam suprascriptasque decem immagines sine impromptus manu mihi fida etc. extractos ex quodam orginali praesentato et exhibito per D. Paulum de Fortis actuarium criminalem in Curia Mirandalæ, coram perillustri et exc.mo D. Pomponio Spilimbergo I. V. D. Guastallæ habitatoro et snbdelegato Caesareo ad effectam præsentem copiam extrahendi, cum eodem originali collationaui de mandato et ex decreto dicti D. Subdelegati cesarei, de quo apparet in constituto dicti Joannis Angustini Riuarolse Janunensis in ciuitate Mirandnlæ coram dominatione sua accepto sub die 17 Maij anni 1627 et per rogatum ad quod etc. et quia concordare inueni, ideo me subscripsi, appositis meis nomine, cognomino ac signo magno consuetis, ad laudem Dei eiusque gloriosissimæ genitricis Mariæ», etc.”

Note

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