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Piera Rizzolatti
In Friuli, tra ladino e plurilinguismo
Ho un’identità linguistica molto confusa, ammetto che non saprei indicare una lingua del cuore. Tra friulano, veneto e italiano sceglierei il friulano, non quello standard che insegno all’Università di Udine, ma piuttosto quello particolare della varietà di Clauzetto (PN).
Nella mia autobiografia sociolinguistica, il friulano pur avendo svolto il ruolo di lingua ‘madre’, nella realtà rappresentava la lingua di mio padre e il codice di comunicazione soltanto di una parte della mia famiglia. Il friulano era quello occidentale, caratteristico e arcaico, di una remota ‘villa’ della pedemontana occidentale, Clauzetto, appunto. Con mia madre parlavo – e continuo a parlare – nel veneto ‘ripulito’ di San Vito al Tagliamento (una varietà ‘coloniale’ intermedia tra il veneto udinese e quello pordenonese). Veneto e friulano s’intrecciavano tra loro in famiglia con continue commutazioni di codice. L’italiano era la lingua della radio, più tardi della televisione e dei bei libri illustrati che, in età prescolare, sfogliavo avidamente seguendo la compunta lettura della nonna paterna (anche lei friulanofona). In ambito extrafamiliare mi servo ancora del veneto in talune circostanze, con i vecchi compagni di scuola, ad esempio, per sottolineare un rapporto molto esclusivo di confidenza, oppure quando mi trovo in un contesto venetofono, in Friuli o più spesso fuori Regione, dove la curva intonativa unita ad alcune particolarità, rivela immediatamente le mie origini friulane. Nel paese dove sono nata più di cinquanta anni fa, Bannia, frazione di Fiume Veneto, Provincia di Pordenone, pochi si servono comunemente della koinè veneta e pochissimi parlano la varietà friulano-veneta della tradizione locale. Bannia si trova in quella che Giuseppe Francescato definiva ‘fascia friulana di transizione col veneto’, dove come dimostrato anche da Helmud Lüdke, vigeva, ancora negli anni sessanta, una situazione di diglossia per cui il patois a base friulana veniva utilizzato in situazioni informali, mentre un tipo più civile di veneto era la lingua di comunicazione con l’esterno. E, infatti, per i miei compagni di scuola, giunti dialettofoni, come me del resto, in prima elementare il veneto rappresentava il ponte per la conquista della ambita italofonia.
Come ho anticipato poco sopra la maggioranza dei compaesani conosce, oggi, soltanto poche parole della varietà più bassa e pochissimi sono coloro che, timorosamente, la utilizzano in famiglia e, a volte anche con me (tutti, comunque, ultrasessantenni). Si è affermata una nuova diglossia che vede al polo alto l’italiano e a quello basso il veneto della koinè pordenonese. Per contro, l’affezione alla vecchia parlata friulano-veneta appare fortissima: è oggetto di plauso e di entusiastica adesione qualsiasi intervento volto al recupero (es. a livello scolastico o letterario) della stessa. Mi fermo qui. Credo che questa testimonianza sia sufficiente a mostrare attraverso l’esperienza personale, come esistano all’interno del Friuli situazioni di plurilinguismo che cercherò ora di illustrare da un punto di vista meno sentimentale. Il Friuli è collocato all’estremo angolo di Nord-Est dell’Italia in una posizione strategica di cerniera: è il punto obbligato e naturale di passaggio, di incontro e di mediazioPiera Rizzolatti In Friuli, tra ladino e plurilinguismo ne fra tre culture e civiltà diverse: quella romanza, quella germanica e quella slava.
Il Friuli si è mostrato aperto alle influenze che si irradiavano da oltralpe, ma anche, lungo i secoli, partecipe della cultura italiana, che trovava in Venezia e nelle città della pianura padana centri plurimi di irradiazione.
E’ quindi naturale che si osservino entro l’area friulana comunità linguistiche diverse da quella friulanofona che rappresenta la maggioranza: è ben nota la presenza di tre piccole isole alloglotte tedesche di Sauris, Timau e Sappada (quest’ultima amministrativamente bellunese ma nelle pertinenze religiose dell’arcidiocesi di Udine), dove si parlano ancora varietà di tedesco antico. Inoltre lungo i confini orientali, dalla valle del Fella a Gorizia e poi ancora lungo il Carso triestino, sono vitali diversi dialetti sloveni. Plurilingue risulta in particolare la Val Canale (il «canale» del Fella) ove, caso unico in Europa, entrano in contatto e si sovrappongono il tedesco, lo sloveno e il friulano con il veneto e l’italiano.
Gli insediamenti tedeschi d’epoca medievale (XII-XIII sec.) presenti in Carnia non sono completamente omogenei dal punto di vista linguistico: il dialetto tedesco di Sappada (Pladen) rientra nel gruppo pustero-carinziano, alla pari di quello della colonia alloglotta di Sauris (Zahre), situata nell’alta valle del torrente Lumiei tributario del Tagliamento. Per quanto riguarda l’insediamento di Timau (Tamau), nell’alta valle del Bût, nei pressi del passo di Monte Croce Carnico, si potrebbe parlare di una penisola linguistica, piuttosto che di un’isola linguistica, in quanto il tipo dialettale riporta al carinziano dell’alta valle della Gail. All’interno della comunità, accanto al timavese, che è la lingua familiare, parlata abitualmente dagli anziani, c’è l’italiano, come lingua alta, e il friulano, lingua familiare ed alta allo stesso tempo, da cui è entrato il numero maggiori di prestiti.
In Val Canale è presente una duplice stratificazione alloglotta, slava e tedesca, che risale ai coloni chiamati nei secoli XII e XIII dai duchi di Baviera dalla vicina Carinzia germanofona e slavofona.
Per quanto concerne le parlate slovene presenti all’interno del Friuli, la varietà detta ziljsko (zegliano) va considerata appunto una propaggine italiana dei dialetti della valle della Gail, che rientra nella sezione sloveno-carinziana. Nelle rimanenti aree slavofone del Friuli (Slavia Friulana, o Slavia Veneta, o Benècija) si distinguono oggi almeno altri cinque tipi dialettali relativamente differenziati: rezijanski (dialetto della Val di Resia), tersko (dialetti della valle del Torre, in netto regresso rispetto al friulano), nadisko (dialetti sloveni della Val Natisone, dove l’area dello sloveno è più compatta ed estesa ma è largamente praticato anche il bilinguismo con il friulano), briski (varietà del Collio), kraski (dialetti carsici nei territori di Gorizia e di Trieste).
La frantumazione dialettale del Friuli, pur entro una struttura unitaria che identifica tutto il friulano, è frutto di un insieme di concause dovute a fattori naturali (la ripartizione valliva) e soprattutto storici (la romanizzazione del Friuli avvenuta in tempi diversi). A questi fattori si aggiungono la perifericità del friulano, che nel panorama degli idiomi romanzi occupa un’area marginale (che giustifica sia fenomeni di conservazione che tratti d’innovazione incondizionati) e quindi la diversificazione delle aree di gravitazione interna conseguenti alle ripartizioni ecclesiastiche maggiori (diocesi) e minori (pievi). Queste ultime (cioè le pievi) determinano l’orientamento antico, suscettibile di ulteriori ripartizioni d’epoca medievale e rinascimentali dovute alla frattura tra giurisdizioni diversificate e, poi, alla gravitazione su aree commerciali non sempre solidali.
La montagna, in questa prospettiva, è caratterizzata dalla maggior frammentazione dialettale, che assume una particolare fisionomia ad occidente del Tagliamento, dove manca, ed è mancato nei secoli, un tipo predominante e orientativo per l’evoluzione dei sottodialetti occidentali. Il Friuli, infatti, è carente nei secoli di centri urbani, comunque insufficienti a determinare aree di orientamento linguistico. Questo vale soprattutto per il Friuli occidentale, dove è massima la frantumazione linguistica conseguente all’assenza di centri di riferimento linguistico e all’impatto del modello veneto, maggiormente avvertibile in prossimità del confine geografico con il Veneto. La diversificazione tra friulano occidentale, friulano centro-orientale e friulano carnico si fonda su motivi storici che risalgono ai primordi della romanizzazione della regione friulana, con la fondazione di Aquileia, prima, e con la successiva creazione dei municipia romani di Julia Concordia (da cui diparte un’antropizzazione del territorio della colonia basata sugli assi del cardo e del decumano), di Forum Julii e di Julium Carnicum. Tempi e modalità di colonizzazione diversi e diverse provenienze dei soldati coloni, predispongono fin dai primi secoli della romanizzazione un diverso orientamento anche linguistico della regione. Da questo deriverà l’opposizione tre friulano centrale, friulano occidentale e friulano carnico. Quando poi dalla capitale Aquileia comincerà a muovere la cristianizzazione delle campagne, il rafforzamento delle sottovarietà municipali verrà potenziato dalla distrettualizzazione religiosa maggiore: le diocesi sorgeranno sui vecchi centri municipali e promuoveranno un’intensa cristianizzazione delle campagne e delle valli basata sull’istituto della pieve. La pieve già prima del 1000 si pone come centro di raduno, formazione ed orientamento religioso e di riferimento linguistico per un popolo, con conseguenze ancor visibili soprattutto nelle aree di montagna, meno recettive ai fenomeni di innovazione. Anche i sistemi idrografico ed orografico concorrono in buona parte alla frammentazione linguistica dell’area friulana, soprattutto per quanto riguarda le porzioni più interne della montagna, mentre i percorsi stradali – antichi e tardo-antichi – poi abbandonati, sono certamente responsabili della diffusione di innovazioni che, alla luce delle mutate condizioni della viabilità, oggi non sono più così evidenti e leggibili.
In questa prospettiva, le varietà friulane trovano una naturale ripartizione a seguito del corso del Tagliamento, dalle sorgenti al mare. Il Tagliamento nel suo corso alto segna i confini meridionali della regione carnica e dei tipi dialettali rappresentati su quello che storicamente fu il municipium romano di Julium Carnicum.Il corso medio del Tagliamento, tagliando in due porzioni la regione friulana, opera una cesura abbastanza netta tra le varietà parlate sulle due sponde del fiume. Sulla sponda occidentale, dalle montagne al mare, si trova l’area che aveva visto Julia Concordia come centro di romanizzazione e di antropizzazione del territorio. Ad oriente del fiume il cuore del Friuli è rappresentato dall’area un tempo direttamente soggetta all’espansione verso nord ed est di Aquileia e di Forum Julii. Alla luce di questo inquadramento una classificazione corretta delle varietà del friulano dovrà prendere in considerazione:
- - il friulano centro-orientale, a sua volta ripartibile in sottotipi (del medio Tagliamento,
prealpino orientale, collinare, centrale, della Bassa, goriziano;
- - il friulano carnico, da ripartire in carnico comune (o carnico centro-orientale), gortano
(o carnico nord-occidentale), e fornese ( o carnico sud-occidentale);
- - il friulano occidentale (o concordiese), differenziato in diversi tipi: friulano occidentale
comune (a sua volta suscettibile di sottotipi correlati alla maggiore o minore esposizione alla varietà venete oltre-liventine), varietà dell’alta Val Cellina, varietà tramontine, varietà asìne, varietà della fascia nord-occidentale del basso Tagliamento, varietà della fascia di transizione (diglossica) friulano-veneta, che deborda anche oltre il confine amministrativo con il Veneto.
Il Friuli storico comprendeva, infatti, anche il mandamento di Portogruaro, ora in provincia di Venezia, e quindi l’area dove si parla friulano va estesa oltre l’attuale confine regionale, in corrispondenza delle pertinenze dell’antico municipium romano di Julia Concordia.
Per contro alcuni territori, pur rientrando nel Friuli storico, non sono linguisticamente friulani in quanto vi si parlano varietà di tipo veneto. Sul confine segnato ad occidente anche dal fiume Livenza, la fascia dei comuni a contatto col Veneto (Caneva, Sacile, Brugnera, Prata, Pasiano, Chions, Azzano Decimo, Sesto al Reghena) è ormai venetizzata totalmente o quasi totalmente. Più all’interno è stato completamente catturato dal veneto Pordenone, mentre tracce minime di friulano permangono nei comuni di Porcia e di Fiume Veneto, dove pure le correnti immigratorie dall’esterno, conseguenti all’industrializzazione, hanno fortemente intaccato le realtà dialettali originarie.
I centri cittadini maggiori (Gorizia, Cividale, Cervignano, Palmanova, Codroipo, Spilimbergo, Maniago, San Vito al Tagliamento, a partire dalla città di Udine, dove al friulano si era affiancato un veneto di tipo coloniale) si sono rivelati pure molto sensibili al prestigio del veneto, che è stato introdotto secondo modelli e tipologie diverse in base alla gravitazione della singola cittadina verso Udine (veneto udinese), verso est (veneto giuliano) e verso ovest (koinè veneta dell’entroterra). Hanno origine veneta anche le parlate lagunari di Marano (in provincia di Udine) e di Grado (in provincia di Gorizia) e i dialetti parlati nel territorio di Monfalcone, il cosiddetto bisiacco.
I caratteri del gradese potrebbero derivare dalla neolatinità di Aquileia (da cui l’isola di Grado è separata da un braccio di laguna), ma già differenziata entro caratteri isolani e distinta dalla facies linguistica della terraferma. Le vicende storiche successive, a partire dall’epoca bizantina, staccano Grado dal Friuli, privilegiando i rapporti con Venezia e la sua laguna.
Il bisiacco si parla nel triangolo Sagrado - San Canziano - Monfalcone, nel cosiddetto teritori: le ipotesi per l’origine di questo tipo dialettale veneto (oggetto di una pesante interferenza da parte del veneto giuliano) sono ancora aperte, anche se quella più probante riterrebbe il bisiacco un veneto autoctono (connesso alla costante presenza veneziana in quest’area), sviluppatosi nell’entroterra d’irradiazione del gradese, in un’area esposta anche all’influsso del friulano.
Secondo stime di massima (la più recente è quella desumibile dalla Ricerca sulla condizione sociolinguistica del friulano, curata da Linda Picco e coordinata da Raimondo Strassoldo), in rapporto a un bacino potenziale calcolato in 715.000 abitanti, distribuiti entro le province di Udine, Pordenone e Gorizia, il friulano dovrebbe effettivamente venire praticato dal 57,2% della popolazione residente, e cioè da circa 430.000 parlanti. Si capisce che la popolarità del friulano è in calo se si pensa che il numero dei friulanofoni, appariva ancora piuttosto elevato e sull’ordine di diverse centinaia di migliaia (526.649 persone nelle ricerche effettuate dal Gruppo Alpina di Bellinzona, del 1975.
Ancora nel 1985, come ha mostrato come ha dimostrato la ricerca di Raimondo Strassoldo condotta per conto della provincia di Udine nel 1985 il friulano tipo (non necessariamente, ma più frequentemente anziano) tuttavia risiedeva in zone montane (42,6% in Carnia contro il 19,8% dell’Udinese) ed isolate, apparteneva a ceti mediobassi e possedeva una scolarizzazione assai modesta (licenza elementare 67%; medie inferiori 45%; medie superiori 42%; laurea 37,5%).
Tuttavia gli atteggiamenti di orgoglio e di lealtà alla marilenghe dichiarati dai parlanti, specie quando il friulano è sfidato dall’esterno, non si riflettono in un comportamento effettivo quando stati più razionali si sostituiscono all’emozione del momento. L’abbandono del friulano, sostituito direttamente dall’italiano e non più dal veneto, come invece fino a qualche decennio or sono, è tanto più evidente presso le giovani generazioni, coerentemente a quanto si verifica presso buona parte delle parlate di minoranza e dei dialetti italiani.
Indagini condotte presso le scuole del capoluogo udinese da Giuseppe Francescato hanno messo in evidenza come nell’arco di poco più di vent’anni (1956-1978) le famiglie udinesi abbiano accordato sempre maggior favore all’italiano, con un decremento del friulano del 66,95%.
Seppur con maggiori sacche di resistenza, la caduta d’uso del friulano si è mostrata sensibile anche nell’ambiente rurale, come io stessa ho potuto constatare (Morsano al Tagliamento, in Provincia di Pordenone) tra la generazione dei genitori e quella dei figli, ove si osserva una discesa dell’uso del friulano del 30,9%.
Il friulano viene percepito in ogni caso dai parlanti come un vincolo molto forte di coesione della comunità. Ciò contribuisce a ridurre eventuali fratture interne, che pur sono presenti nelle diverse aree dialettali, dove vicende storiche e socioeconomiche differenziate si riflettono nelle diverse varietà diatopiche.
Va, infatti, sottolineato come all’interno dell’area friulana pur a fronte di diverse tipologie dialettali (centro-orientale, occidentale o concordiese, carnico, ecc.), si riconosce un diasistema comune che garantisce nell’insieme la mutua comprensione alla maggioranza dei parlanti.
La frammentazione linguistica raggiunge il suo massimo ad occidente del Tagliamento, dove il veneto si è sovrapposto al friulano guadagnandone spazi e indebolendone la vitalità. In tale area, che coincide all’incirca con la Provincia di Pordenone, la situazione di diglossia ha cristallizzato ancora di più il friulano al ruolo di lingua subalterna dell’espressione familiare.
L’attenzione creata intorno al Friuli dopo il terremoto del 1976, l’azione sensibilizzatrice di gruppi culturali in difesa dell’identità, e ancor prima la creazione di una Regione a statuto speciale Friuli - Venezia Giulia, nonché da ultimo l’intervento della stessa Università di Udine, presso cui sono attivi corsi di insegnamento di Lingua e Letteratura Ladina e di Lingua e Letteratura Friulana, hanno in questi anni in parte ritardato e contrastato la perdita della lingua, contribuendo a dissociare dal friulano l’immagine tradizionalmente negativa.
L’uso del friulano, dopo il 1976, cioè l’anno del terremoto, sta riprendendo vigore grazie anche agli interventi legislativi regionali (L.R. 15/96) o nazionali (L. 482/1999): il parlante friulano non si sente più isolato né a disagio quando si serve della parlata materna in ambito cittadino. Tutto ciò concorre a far risalire il prestigio del friulano e quindi a difenderne gli spazi d’uso.
Va ugualmente osservato che la situazione normale dell’area friulana prevede di norma un repertorio duplice, di italiano e friulano, cui i friulani attingono tuttavia in situazioni differenziate. Il friulano è da sempre la lingua della comunicazione familiare, impiegata con funzioni meno ampie dell’italiano, che è invece il codice più formale e prestigioso, riservato ai contatti extrafamiliari.
La situazione friulana, che prevede una competenza generalizzata sia dell’italiano che della lingua locale, con una divisione degli ambiti funzionali delle due varietà, ricade quindi nei casi di bilinguismo con diglossia, piuttosto diffusi nelle regioni d’Italia dove il dialetto è più vivo.
La minoranza linguistica friulana, tuttavia, è sui generis: le altre minoranze presenti sul territorio nazionale di solito si avvalgono del sostegno di modelli elaborati in ambiti linguistici e culturali autosufficienti, nei quali si è giunti al pieno sviluppo delle possibilità linguistiche secondo schemi adeguati alle esigenze della vita moderna. In Friuli accade precisamente il contrario, in quanto per un ammodernamento linguistico e culturale finora ci si è rivolti alla lingua di cultura, o «lingua tetto», cui fa capo il friulano dal medioevo, cioè all’italiano, che è anche, nel contempo, la lingua antitetica da cui il friulano dovrebbe difendersi.
In questi ultimi decenni si è andata rafforzando la coscienza di una specifica autonomia ed indipendenza del friulano sia dalle varietà ladine, cui tradizionalmente era stato riunito, sia nell’ambito dei dialetti italiani. Anche da un sommario confronto tra la struttura fonologica, morfologica, sintattica e lessicale del friulano con quella dell’italiano e del veneto emergono numerosi e consistenti elementi di differenziazione, mentre le non meno numerose affinità di friulano, veneto e italiano si spiegano piuttosto con la comune appartenenza alla famiglia romanza. Naturalmente le divergenze aumentano nelle varietà friulane più conservative, mentre diminuiscono in quelle che hanno conosciuto contatti più diretti con il veneto, che, giova ribadire, ha filtrato, anche nei secoli dell’isolamento medievale del Friuli, l’immagine dell’italiano.
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