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Gianpiero Ponti
La tutela delle minoranze linguistiche: una elementare prospettazione del sistema delle fonti limitata al diritto interno
La Costituzione della Repubblica italiana è formalmente divisa in due parti, denominate in maniera sufficientemente esplicativa: la Parte I è dedicata ai «Diritti e doveri dei cittadini», la Parte II all’«Ordinamento della Repubblica».
Ai due complessi di norme è anteposta una serie di dodici articoli riuniti sotto la denominazione, altrettanto precisa, «Principi fondamentali». Queste sono disposizioni mirate a delineare i valori di fondo, e quindi le ragioni ultime, del nostro ordinamento giuridico, del nostro vivere associato, necessariamente bisognoso di essere regolato1[1]
In questo contesto introduttivo, declaratorio e solenne, tra le prime indicazioni, nel mezzo tra l’affermazione del principio autonomistico2[2] e l’impronta data ai rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, trova spazio una disposizione specificamente dedicata alle minoranze linguistiche. Si tratta dell’art. 6, che nel suo unico comma recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche».
Evidentemente i Costituenti ritennero di assegnare massimo rilievo alla problematica delle minoranze linguistiche e di farlo nell’indiscutibile segno del favor3.[3]
Quindi la Costituzione fornisce una sorta di riconoscimento di fondo dell’esistenza, nel contesto sociale italiano, di gruppi linguistici minoritari e afferma che tale pluralismo linguistico costituisce un valore, aprendosi così una prospettiva di tutela4[4] . Merita di essere evidenziato che, nel momento in cui si ricostruivano le basi della civile convivenza, il valore in oggetto è stato fatto proprio dal nostro Paese totalmente a prescindere da eventuali vincoli di diritto internazionale, come dire, senza fare dipendere ciò da obblighi assunti per il tramite di accordi con altri Stati5[5] . Nella meccanica del sistema delle fonti di diritto, dalle previsioni costituzionali discende l’obbligo per il legislatore di dare attuazione al principio, realizzando concretamente la tutela delle minoranze linguistiche. Invero, come emerge chiaramente dalla lettura della suddetta disposizione costituzionale, a fronte di questo dovere, non esistono vincoli in termini di modalità attuative6[6] . Di fatto, sul piano della legislazione, la strada seguita in un primo momento, durato circa cinquant’anni, non è stata quella di dare luogo ad una disciplina organica mirata alla tutela di tutte le minoranze linguistiche d’Italia, bensì quella di approntare soluzioni ritagliate su misura, e pertanto anche radicalmente diverse, caso per caso, più precisamente, per alcuni casi soltanto, quelli rispetto ai quali si è presentata un’impellente necessità politica di fornire una soluzione. Si aggiunga che l’assenza di linearità include anche il fatto che allorquando si è realiz-
Sezion 1 • Articole Scientifiche 41 zata una qualche forma di tutela, la si è costruita prescindendo dal disegno costituzionale contenuto nell’art. 6.: infatti, la tutela della minoranza di lingua tedesca dell’Alto Adige è stata apprestata, e successivamente consolidata, sulla base di accordi di diritto internazionale7[7]
- risvolti internazionali caratterizzano anche la non meno complessa
vicenda del gruppo sloveno in Friuli-Venezia Giulia8
- la tutela della minoranza francofona
della Valle d’Aosta, in buona misura, anticipa la stessa Costituzione9 . Soltanto nel 1999 con la legge n. 482 è stata introdotta una disciplina organica10. Anche la Corte Costituzionale, con la sua ponderosa giurisprudenza, soprattutto a partire dagli anni ‘80 del secolo appena trascorso, ha rivestito un ruolo di primo piano nel marcare le linee evolutive della tutela delle minoranze linguistiche11. Ad essa fondamentalmente vanno ascritti due meriti: avere imposto al legislatore la previsione di livelli minimi di tutela per tutte le minoranze riconosciute12 e di avere chiarito che con l’art. 6 è affermato un vero e proprio «principio» e non semplicemente indicata una «materia», oggetto di una presunta riserva a favore della legge statale13. Sezion 1 • Articole Scientifiche 8 In conseguenza della mancata ratifica da parte dell’Italia del Memorandum d’Intesa del 1954 (siglato a Londra tra Stati Uniti, Regno Unito, Italia e Jugoslavia), le questioni tra Italia e Jugoslavia furono definitivamente risolte soltanto nel 1975 con il Trattato di Osimo. 9 Alla vasta autonomia amministrativa, attribuita dal decreto legislativo n. 545 del 1945, si aggiunse l’autonomia legislativa riconosciuta dall’Assemblea Costituente che approvò la legge costituzionale n. 4 del 1948, contenente lo Statuto speciale. 10 La legge n. 482 del 1999 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», individua tutti i gruppi linguistici minoritari d’Italia, storicamente radicati, ed impone una disciplina generale, che introduce uno standard minimo di tutela, valevole per ciascuna minoranza, fatte salve le discipline speciali in quanto più favorevoli. 11 Prima di allora, la posizione della Corte era quella di sostenere la riserva di legge per lo Stato, negando del tutto, in tema di tutela delle minoranze linguistiche, la competenza regionale, e delle Province autonome, ritenendo che essa non rientrasse nelle materie attribuite, con previsione tassativa, alla loro competenza legislativa. 12 Ciò è avvenuto con la sentenza n. 28 del 1982. 13 Ciò è avvenuto con la sentenza n. 312 del 1983, e poi ribadito con la sentenza n. 289 del 1987, affermandosi che la tutela delle minoranze linguistiche è un interesse nazionale, un principio fondamentale dell’ordinamento, che costituisce limite, ed in positivo indirizzo, rispetto alla potestà legislativa dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome. L’impossibilità, anche pratica, di considerare la tutela delle minoranze linguistiche quale una materia è agevolmente comprensibile soltanto che si pensi alla necessarietà di adattare «corpi di norme» già esistenti, così che la competenza a disciplinare l’uso delle lingue non può che seguire il riparto di competenza legislativa (PIZZORUSSO). Invero, non può nemmeno sfuggire che la Costituzione, all’Art. 6, non fa riferimento esclusivo allo Stato, giacché stabilisce, letteralmente, che sia la Repubblica a tutelare le minoranze linguistiche. 14 Al rango costituzionale attengono anche gli Statuti speciali, poiché sono adottati con legge Ciò ha comportato, da un lato, l’avviarsi di un minimo grado di livellamento nel trattamento dei diversi gruppi e, dall’altro, il dischiudersi delle porte all’intervento del legislatore regionale.
Sulla base di quanto sopra esposto, dovrebbe risultare agevole la ricostruzione, in via estremamente succinta e schematica, del quadro delle fonti di diritto interno, concernenti la tutela della minoranza linguistica ladina della provincia di Belluno. In sintesi: la Costituzione fissa il principio di tutela delle minoranze linguistiche14; con legge ordinaria dello Stato sono individuate le minoranze linguistiche destinatarie di tale tutela ed è data disciplina alla stessa15[8]; la salvaguardia dei gruppi minoritari si realizza anche attraverso leggi regionali16.[9]
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- • P. Zatti, V. Colussi, Lineamenti di diritto privato, Padova, 1991, ppg. 9 ssg.
costituzionale (Cfr. Art. 116 Cost.).16
- ↑ 1 Se l’ordinamento giuridico è un sistema ordinato di norme giuridiche, prodotte in conformità ad un apparato di fonti, cioè di fatti o atti idonei a produrre norme giuridiche, la Costituzione è, in un certo qual modo, la fonte che contiene le norme delle norme, ed inoltre l’indicazione dei valori fondamentali, fermo punto di riferimento, pur nel dinamismo che caratterizza la società.
- ↑ 2 Art. 5 Cost.: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».
- ↑ 3 Certamente questo fu l’esito finale, frutto della dialettica interna alla Assemblea Costituente, nel cui seno invero si contrapposero posizioni alquanto differenti. Il progetto di Costituzione predisposto dalla «Commissione dei 75» non prevedeva una disposizione del tenore di quella del definitivo Art. 6, che si deve infatti ad un emendamento proposto dall’On. Codignola, il quale mirava, per questa via, ad evitare la creazione di Statuti speciali per le aree in cui si presentava la problematica etno-linguistica. All’accoglimento dell’emendamento non corrispose però lo stralcio delle parti concernenti le autonomie speciali. La collocazione tra i Principi fondamentali, piuttosto che nel Titolo dedicato alle autonomie, si deve alla proposta dell’On. Tosato, il cui indirizzo fu accolto dall’Assemblea, che quindi ritenne la tutela delle minoranze linguistiche un problema di carattere generale e non soltanto di ristretto ambito regionale. 40
- ↑ 4 La tutela delle minoranze linguistiche si inserisce, e ne è riflesso, nella più ampia visione pluralistica che permea la nostra Costituzione, secondo cui va riconosciuta e trattata con favore la coesistenza di gruppi differenti all’interno di uno stesso Stato. Il principio pluralistico è espressamente sancito dall’Art. 2 Cost.: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, (…)». Per quanto attiene alle relazioni intercorrenti tra principio di tutela delle minoranze linguistiche e principio di eguaglianza, di cui all’Art. 3 della Costituzione, in dottrina è controverso se considerare il primo quale autonomo principio o piuttosto ritenerlo alla stregua di una precisazione/specificazione del secondo.
- ↑ 5 Storicamente la problematica della tutela delle minoranze linguistiche emerge soltanto nell’era moderna, in connessione con le questioni relative alla tutela delle minoranze religiose. Infatti, a partire dal secolo XVII furono approntati degli istituti giuridici di diritto internazionale, finalizzati a garantire lo spostamento di popolazioni da uno Stato all’altro, a fronte del principio cuius regio eius religio, i quali vennero poi adattati, dal secolo XIX, per risolvere problematiche legate all’esistenza di gruppi appartenenti a nazionalità diverse da quella predominante nello Stato, o nel caso di Stati plurinazionali. In sostanza si trattava di accordi internazionali, cioè tra Stati, volti a fornire garanzie di libertà a gruppi etnicamente e linguisticamente appartenenti ad un Paese, ma per vicende storiche e politiche collocati sotto un governo d’altro segno etno-linguistico. Il senso della visione propria della Costituzione italiana del 1948 è così riassumibile: l’Italia contiene in sé delle minoranze linguistiche ed essa stessa provvede alla loro tutela, senza necessità di ricorrere, per fare ciò, ad accordi con altri Paesi. Il che, si badi bene, non esclude la possibilità di contrarre anche obblighi internazionali.
- ↑ 6 La Costituzione impone genericamente al legislatore di fornire tutela alle minoranze linguistiche, senza indirizzarlo verso specifiche modalità realizzative di tale obiettivo. Esiste quindi un vastissimo campo di scelte che sono lasciate al livello subcostituzionale. Ad esempio, se creare un regime di «bilinguismo totale» (nell’area mistilingue si possono utilizzare indifferentemente entrambi gli idiomi) o di «separatismo linguistico» (nell’area mistilingue ciascun gruppo utilizza in modo esclusivo il proprio idioma) lo decide il legislatore, a propria discrezionalità.
- ↑ 7 Le parti sono l’Italia e l’Austria. Più precisamente: l’accordo c.d. «De Gasperi-Gruber» fu concluso a Parigi il 5 settembre 1946 ed allegato al trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, avente come parti l’Italia e le potenze alleate; successivamente l’accordo c.d. «Moro-Waldheim» concluso, tra Italia ed Austria, nel novembre del 1969, fissava una serie di impegni, cui ci si riferisce con il nome di «pacchetto» ad indicare che si tratta di misure inscindibili tra loro, diretti a perfezionare l’implementazione e la garanzia della tutela per la minoranza di lingua tedesca (e ladina).
- ↑ 15 La già richiamata legge n. 482 del 1999, il cui art. 2, include, nell’elencazione delle minoranze linguistiche, quella ladina. Pur mantenendo un’estrema semplicità di esposizione, va precisato che il quadro si completa con riferimento ai regolamenti di esecuzione, fonte sublegislativa, cui l’Esecutivo ricorre laddove la disciplina legislativa necessiti di essere integrata in via normativa.
- ↑ Per i Ladini della provincia di Belluno si tratta della legge regionale n. 73 del 1994 «Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto», quella da cui dipende l’esistenza della Federazione tra le Unioni culturali dei Ladini dolomitici della Regione Veneto.