< Ladin! 2008
Questo testo è da formattare.
Vecchie tradizioni della notte d’Ognissanti nella Valle del Boite
Alessandro Norsa
1 3

Alessandro Norsa

Vecchie tradizioni della notte d’Ognissanti nella Valle del Boite:

un’ipotesi di continuità con antichi riti celtici. Ultimi residui di una storia di migrazioni di popoli e dei loro riti.

Tornano per dissetarsi e nutrirsi, per allontanare le malvagità o per giocare a carte. Per assistere alla Messa, o recitare il rosario lungo le vie del paese. Tante sono le credenze legate al ritorno dei defunti nelle diverse zone d’Italia.

Anche nelle vallate ladine, un tempo erano in uso tradizioni che si riferivano a queste convinzioni; ad esempio a La Villa-La Ila in Val Badia, la sera di Ognissanti, dopo cena veniva imbandita nuovamente la tavola, come se si dovessero aspettare altri commensali. Si servivano, in grandi quantità, i cajincì (specie di tortelli ripieni di ricotta e/o spinaci) o le turtres (che sono una specie di frittelle), e/o una grande scodella di zuppa o latte scremato. La porta non andava chiusa, in modo che le anime potessero entrare.

L’opinione più diffusa era che, se il giorno dopo qualche piatto o posata era sporca, si desumeva che qualche anima fosse venuta a rifocillarsi. In questi giorni si era soliti suonare le campane all’una dopo pranzo per «suonare fuori» le povere anime (les anes gnê sonades fora). A questa tradizione, che cambiava di paese in paese, si aggiungeva ogni tipo di preghiere, accompagnate a riti particolari1[1] . Si tratta di tradizioni nate dall’idea che la vita e la morte siano comunque, sempre, inevitabilmente associate. Ma non solo: rappresentano anche il modo, per i vivi, per continuare a mantenere forti legami con i propri defunti, per sentirli più vicini.

I bambini erano i protagonisti di queste feste perché nell’immaginario popolare rappresentavano il mondo più vicino a quello dell’aldilà, da dove provenivano le anime dei defunti. In questo contesto, ad esempio, dare da mangiare ad un bambino aveva il significato di dare da mangiare al defunto, e di mantenere con lui il contatto. Il travestimento del bambino da «fantasma» o da «spettro» aveva il senso di rappresentare la visita del «caro estinto».

Era tradizione nel territorio bellunese che i bambini, racconta Gianluigi Secco, «andassero, alla sera, per le strade gridando «avanti e indrio par sti cortili i vivi par i morti, e i morti par i vivi» o «deme da magnar se volé restar, deme da magnar se volé restar». Queste frasi pronunciate con tanta partecipazione davano la sensazione che le anime volessero il cibo per poter tornare nuovamente nelle tombe e quindi nell’aldilà. Il rito garantiva la convinzione che le successive generazioni si sarebbero occupate della propria anima, come nel presente veniva fatto per i predecessori; suggellava inoltre l’idea della continuità tra le generazioni, e dell’eternità2[2] .

La zucca, il cui ciclo vegetativo si conclude proprio nel periodo dedicato alla commemorazione dei defunti, era il simbolo che le antiche popolazioni che abitavano Alessandro Norsa Vecchie tradizioni della notte d’Ognissanti nella Valle del Boite: un’ipotesi di continuità con antichi riti celtici. Ultimi residui di una storia di migrazioni di popoli e dei loro riti.

anche il nostro territorio attribuivano all’anima degli estinti. Queste tradizioni si trovano fino a non poco tempo fa anche nella provincia di Belluno, a Cancia, frazione di Borca nella Valle del Boite. Un informatore di questa frazione racconta: «Negli anni ’40, a fine ottobre i ragazzi costruivano un treppiede con sopra una zucca scavata con dentro un lumino, che poi posizionavano vicino alla strada. Si divertivano quindi ad osservare le espressioni spaventate degli automobilisti di passaggio. Il valore che i ragazzi davano a questi rituali era di «scherzo». La zucca scavata e illuminata al suo interno da una candela rappresentava la morte». Lo stesso informatore racconta che «il mascheramento consisteva in un mantello che copriva anche il viso per non essere riconosciuti. Questo artifizio veniva usato anche per spaventare i vecchietti per le strade, che appunto pensavano che la morte li inseguisse; a volte questi, spaventati, reagivano proprio come se si trovassero di fronte alla «Signora delle tenebre», scappando o, se erano sprovveduti, intavolando un dialogo per chiedere perdono per i propri peccati e la salvezza della propria anima.

Anche le persone che non avevano gli scuri alle finestre erano vittime prescelte del gruppo di ragazzi, che si attardavano di sera per le strade a fare scherzi». La tradizione delle zucche intagliate non è uniforme in tutti i paesi dell’arco alpino; ad esempio in Val Badia e Val Gardena non ne abbiamo tracce3[3] . Nel Vicentino, antiche tradizioni legate al periodo dei morti si sono in parte conservate: in alcuni paesi nelle campagne intorno a Vicenza, la mattina del 2 novembre le donne si alzano più presto del solito e si allontanano dalla casa dopo aver rifatto i letti per bene, perché le povere anime del Purgatorio possano trovarvi riposo per l’intera giornata. Altre tradizioni si stanno perdendo o sono definitivamente estinte. A ricordarle sono ormai solo gli anziani, preziosi custodi delle tradizioni popolari e delle celebrazioni religiose di un tempo; e sono loro a riportare la memoria a quell’usanza che, all’inizio del secolo scorso, portava nelle campagne dell’alto Vicentino a svuotare le zucche, dipingerle e far loro assumere forma di teschi, all’interno dei quali aggiungere una candela.

Nelle testimonianze del prof. Terenzio Sartore di Marano Vicentino, coordinatore di un gruppo di ricerca sulla civiltà rurale, leggiamo: «Da giovane, ho sempre visto questa zucca trasformata in morto. La morte con la «suca», detta anche «suca dei morti», o testa da morti, era uno scherzo un po’ macabro che si faceva ai bambini o alle ragazze quando si sapeva che dovevano passare di sera, soli, per qualche luogo isolato».

Così come in provincia di Belluno e Vicenza, anche a Verona si trovavano delle tracce nel territorio lessinico, un tempo abitato dai cimbri. Anche se Bruno Schweizer4 , che condusse ricerche in questa zona negli anni ’40 del secolo scorso, documenta che, in alcuni paesi cimbri, la ricorrenza del giorno di Ognissanti veniva festeggiata cuocendo la minestra dei morti (di suppa von di armel sel), erano le zucche in questo contesto le vere protagoniste di quelle manifestazioni giocose dei bambini, che caratterizzavano il periodo dei morti nella montagna veronese.

A tal proposito un informatore di Roverè Veronese racconta: «La zucca era montata su di un bastone che il mascherato teneva in mano, un tabarro, infine, ne copriva la testa ed il resto del corpo; queste mascherate venivano chiamate «Lumiere». La zucca appoggiava sulla testa, la persona sembrava molto più alta del normale, e il tutto le conferiva un aspetto particolarmente spettrale».

Le persone che componevano il piccolo corteo «terrifico» erano generalmente tre. Gli altri due avevano dei tabarri scuri ed un cappellaccio nero in testa. Non portavano una vera e propria maschera sul viso, ma potevano avere il volto dipinto (ad esempio potevano disegnarsi dei baffi), per rendersi meno riconoscibili. Si appostavano fuori delle stalle ed aspettavano che le persone uscissero dai filò. Le prime volte che le persone vedevano questo mascheramento si spaventavano moltissimo, poi ci facevano l’abitudine. Gli intervistati ricordano, però, che anche qualche anziano, che nel tempo avrebbe dovuto essersi abituato, reagiva con una certa emotività alla loro vista5 .

Questi scherzi venivano organizzati nei giorni compresi tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre. Quindi quello che a Verona erano le Lumiere, a Vicenza era la suca dei morti, in altre parti del Veneto la Suca Baruca, ma non solo; tracce nei ricordi degli anziani di altre regioni portano a riscoprire le Lumere a Milano e la Piligréna a Lugo di Romagna 6 , 7 , 8 . Alcuni informatori riferiscono che altri esempi di zucche scavate, illuminate dall’interno ed esposte si trovano anche in Romania, a Sapanta (Maramureş), a Chitoc e nel Comuna Lipovati (Moldavia romena); riferimenti di questo tipo, sempre in questo stato, si trovano anche in letteratura 9 , 10, 11. Sempre in Europa, nel versante più occidentale, tradizioni riconducibili a quelle celtiche si trovano nella regione del Minho, in Portogallo12. Tutti questi luoghi (o le zone limitrofe), anticamente, sono stati a contatto con popolazioni celtiche. La nostra idea è che questo genere di manifestazioni sia la rappresentazione di un culto dei morti di antichissime origini, riscontrabile in ogni parte del mondo (anche nella Nuova Guinea, ad esempio, si festeggia il ritorno dei morti)13, e che quella che (5) Nelle lunghe sere d’inverno, nei filò, che erano incontri di più famiglie nelle stalle rischiarate da una fioca luce di una lampada al cherosene e riscaldate dal tepore delle vacche, gli anziani erano soliti raccontare storie ed aneddoti, alcuni fatti anche per impressionare i più piccoli del gruppo o per prendersi gioco di quelli che davano loro credito. Una di queste «fole» riguarda proprio le tradizioni del periodo dei morti. «Un signore non desiderava che sua figlia sposasse il fidanzato. Organizzò allora uno scherzo per far rompere il rapporto dei giovani innamorati. Montò su di un toro con una lanterna a vento in mano ed i corni in testa. Tra le altre cose c’erano diverse catene che ciondolavano e tintinnavano facendo molto rumore Il ragazzo era così pauroso, al punto che per esorcizzare la sua paura raccontava spesso nei filò delle storie popolate da diavoli, streghe, maghi, ed altri esseri spaventosi. Vistosi di fronte una cosa tanto paurosa fece un infarto e morì, di seguito la fidanzata morì dal dispiacere, ed infine lo stesso padre impazzì dal dolore e dai sensi di colpa». (6) http://scuolaworld.provincia.padova.it/ddabano/giornalino/LO%20SAPEVATE%20CHE.htm (7) www.halloween.it/italia/leggende/italia.htm (8) www.blog.scuolaer.it/messaggio.aspx?IDBlog=1296&IDMsg=24579 (9) www.agero-stuttgart.de/REVISTA-AGERO/ISTORIE/Halloween%20de%20Julia%20Maria%20Cristea. htm (10) www.observatorul.com/articles_main.asp?action=articleviewdetail&ID=1579 (11) www.formula-as.ro/reviste_468_144_cimitiruldin-copaci...-.html (12) MOREAU M., As Civilizações das Estrelas, Lisboa, 1973, 245 e segg. (13) LANTERNARI V. La grande festa. Storia del Capodanno nelle civiltà primitive. Milano, Il Saggiatore Coll. La Cultura, 2, 1959. 22 Sezion 1 • Articole Scientifiche stiamo osservando sia di derivazione celtica. Gli antichi Celti iniziavano il loro anno nuovo il 1° novembre, celebrando ogni anno la fine della «stagione calda» e l’inizio della «stagione di tenebra e freddo». Questa ricorrenza segnava la fine dei raccolti e l’inizio dell’inverno. I Celti erano un popolo dedito all’agricoltura e alla pastorizia, quindi la fine dell’estate assumeva una rilevanza particolare; la vita cambiava radicalmente: le greggi venivano riportate giù dai verdi pascoli estivi, e le persone si chiudevano nelle loro case per trascorrere al caldo le lunghe e fredde notti invernali. Infatti Samhain in gaelico suona come sam + fuin e significa appunto «fine dell’estate», ma il suo significato era «assemblea» o «raduno». L’antica cultura celtica era permeata di leggende, attorno alle quali ruotavano tradizioni e riti. I Celti credevano, infatti, che alla vigilia di ogni nuovo anno (31 ottobre) Samhain, Signore della morte e Principe delle tenebre, chiamasse a sé tutti gli spiriti 23 (14) BATTAGLIN IGNAZZI C. Feste e usanze calendariali,.in CORTELLAZZO M. (a cura di), La casa e le tradizioni popolari, Vicenza, La Grafica e Stampa Editrice per conto di Neri Pozza Editore, 1998, 256-258. (15) http://web.tiscali.it/Ciriminna/halloween/ dei defunti. Una leggenda riferisce che tutte le persone morte l’anno precedente tornavano sulla terra, in cerca di nuovi corpi da possedere per l’anno prossimo venturo. Era necessario fare sacrifici per placare gli spiriti erranti e ossequiare la divinità: per tale scopo si offriva grano, ed animali per assicurarsi la prosperità futura. La tradizione popolare riferisce che la notte di Samhain si praticavano riti divinatori che riguardavano le previsioni metereologiche, i matrimoni e la fortuna per l’anno venturo. Vi erano due riti: quello dell’immersione delle mele e quello dello sbucciare la mela. L’immersione delle mele era una divinazione per un matrimonio: la prima persona che avrebbe morso una mela si sarebbe sposata l’anno seguente. Sbucciare la mela era una divinazione sulla durata della vita. Più lungo era il pezzo di mela sbucciato senza romperlo, più lunga sarebbe stata la vita di chi la sbucciava. Dopo i sacrifici si festeggiava per tre giorni, dal 31 ottobre al 2 novembre. I Celti si mascheravano con le pelli degli animali uccisi, per esorcizzare e spaventare gli spiriti. Vestiti con queste maschere grottesche ritornavano al villaggio, illuminando il loro cammino con lanterne costituite da zucche intagliate, al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro. Il collegamento, che stiamo osservando in diverse situazioni, tra frutti della terra (mele, zucche) e anime è dovuto al fatto che nelle religioni primitive il culto dei morti era collegato ai culti agrari per la fertilità della terra. Secondo questa convinzione, i defunti erano sotterrati in attesa di una loro rinascita, come rinasce la pianta dalle sementi inerti interrate14. Nel 400 a.C. i Celti, partendo dal proprio territorio d‘origine nella regione dell’Oder (ex Germania orientale), conquistarono l’Etruria Circumpadana (Italia del Nord-Est), arrivarono ad oriente nell’attuale Romania intorno al 300 a.C. e quindi lasciarono tracce delle loro tradizioni nelle aree conquistate. Durante il I secolo d.C. i Romani, condotti dall’Imperatore Claudio, invasero la Bretagna, nel frattempo celtizzata pure essa, e vennero a contatto con queste celebrazioni. Anche i Romani avevano una ricorrenza intorno al 1° novembre; in quel periodo, infatti, onoravano Pomona, dea dei frutti e dei giardini. Durante questa festività si offrivano frutti (soprattutto mele) alla divinità, per propiziare la fertilità futura. Con il passare dei secoli, i culti di Samhain e di Pomona si unificarono, e l’usanza dei sacrifici fu abbandonata: al suo posto si bruciavano effigi. La pratica di mascherarsi da fantasmi e streghe divenne parte del cerimoniale15. Successivamente il cristianesimo tentò di incorporare le vecchie festività pagane dando loro una connotazione compatibile con il suo messaggio; per questo motivo, nell’835 Papa Gregorio IV spostò la festa di Tutti i Santi dal 13 maggio al 1° novembre (giorno della fine dell’anno liturgico), e l’antica festa celtica chiamata «Samhain» prese il nome di «Halloween», che è la forma contratta di «All Hallows Even» ovvero notte o «Eve» (vigilia) di Ognissanti. Durante la seconda metà del ‘900, mentre in Italia con il tramonto della civiltà Sezion 1 • Articole Scientifiche contadina stavano scomparendo, queste antichissime tradizioni rifiorivano nel Nord America e negli altri Paesi in quel tempo sede di immigrazione (Australia, Canada, Brasile…). Ad esempio, a S. Gregorio Atzompa nel Messico Centrale (Puebla), figli di emigranti veneti di seconda e terza generazione, ricordano ancora della tradizione delle Lumiere di cui narravano i loro progenitori16. La festività di Halloween fu portata con questo nome negli Stati Uniti d’America dagli immigrati europei, soprattutto irlandesi, legati alla propria cultura ed alla fede religiosa. Alcuni emigrati italiani che abbiamo potuto intervistare sull’argomento, raccontano che fino agli anni ’60 anche negli USA Halloween conservava un aspetto spirituale. Ad esempio in alcune località era festeggiato con cortei di bambini tutti travestiti con lenzuoli bianchi, la tradizione popolare conservava l’idea che fossero le anime dei morti tutte vestite nello stesso modo ed irriconoscibili come quei «fantasmini questuanti». In altre località c’era l’idea che i vestiti mostruosi o macabri «esorcizzassero gli spiriti cattivi». Negli ultimi decenni tale festività è stata spogliata completamente del valore propiziatorio agrario che i druidi celti le conferivano (morte e rinascita della vita sulla terra), e del suo valore religioso (visita dei propri cari estinti); è poi rientrata in Europa quarant’anni dopo la sua scomparsa, prevalentemente per motivi commerciali. Si ringraziano per la cortese collaborazione i seguenti informatori: Mariano Sala (+), Sisto De Lotto, Ambra Talamini (Valle del Boite-Cadore), Aldo Ridolfi, Alfeo Guerra (Verona e Lessinia), Julian Ciuraru e Michela Vasiliu (Romania), Andrew Arduini e Anna Crisconi (Stati Uniti d’America). Illustrazioni dell’Autore. 24 Sezion 1 • Articole Scientifiche (16) Informatrice: Luisa Mazzocco Orlanzino, intervistata nel 2002 da L. Secco in: http://www.soraimar.it/ Soraimar/protagonista/dettaglio.asp?G=D&ID=118

  1. (1) TREBO Lois, Val Badia. Usanzes, cherdënzes y tradiziuns, San Martin de Tor, Istitut Ladin Micurà de
  2. (2) http://www.soraimar.it/Soraimar/archivio/lista.asp?G=L
  3. (3) FORNI M. Ladinische Einblicke. Erzählte Vergangenheit, erlebte Gegenwart in den ladinischen
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.