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ELEGIA

 
Ecco deserto è il lido, e l’aer fosco,
  E al duol secreto e al flebile lamento
  Parmi opportuno il solitario bosco.

Tra questi orror non suona umano accento;
  5Sol delle piante le pieghevol cime
  Agita mormorando un picciol vento.

Qui lice almeno alle dolenti rime,
  E al trattenuto duol sciogliere il freno,
  Che largo pianto da questi occhi esprime.

10L’occulta doglia, ch’io nascondo in seno,
  Non è chi scopra: se silenzio e fede
  Serban le piante e i muti sassi almeno.

Or già sull’orizonte il giorno riede,
  E dell’erta montagna al dubbio raggio
  15La nuda cima biancheggiar si vede.

Oh conscio Sol!... ma quale in suo linguaggio
  Pietose note musico usignolo
  Medita ascoso nel vicino faggio?

Di ramo in ramo il breve e spesso volo
  20Spicca con l’inquïeta ala smarrita,
  E il canto tempra alle querele e al duolo.

O tu, cui forse amor della rapita
  Tua compagna fedele, o forse il pianto,
  E il mio lamento a lagrimare invita,

25Vieni, ed accorda il tuo pietoso canto
  Ai mesti versi, che del plettro mio
  Andrò tentando sulle corde intanto.

Alternerem tu dolci note, ed io
  I carmi, che sovente in questo lido
  30Odon le Ninfe e delle selve il Dio.

Ma tu non m’odi, e un interrotto grido
  Moduli gorgogliando, e il guardo fiso
  Pur tieni intorno errando al vuoto nido.

Ah ch’io t’intendo, e nel mio duol ravviso
  35Quello onde accusi l’empia man crudele,
  Che t’ha furtiva dal tuo ben diviso.

Cessa, misero il pianto e le querele,
  Che se rapace cacciator tel tolse,
  Lungi egli è sì, ma vive ancor fedele.

40Mentre a te il volo l’infelice sciolse,
  Come il guidava l’amoroso ardore,
  Occulta rete insidïosa il colse.

Si ricordò del tuo fedele amore
  In quel momento, e più che de’ suoi danni
  45Ebbe forse pietà del tuo dolore.

Ahi! che poscia al meschino i pinti vanni
  Tarpò forbice cruda, o in carcer stretto
  Pasce or di pianto i suoi secreti affanni.

Nè il suo dolor consola o il cibo eletto,
  50Che gentil man gli porge, o l’onda pura,
  Che in vetro ei beve, o il pinto aurato tetto.

Te quando nasce il Sol, te quando oscura
  Notte il ciel copre, in flebil mormorio
  Chiama piagnendo, e di te solo ei cura.

55Sempre ha presente il bosco amico e il rio;
  Che già compagni v’accoglieva, e quello,
  In cui teco posò, nido natío.

Che se mai canto di vicino augello
  Egli oda, oh come il carcere crudele
  60Sforza, e su e giù salta inquieto e snello!

Or cessa dunque il pianto e le querele,
  Che se diviso dal tuo ben tu sei,
  Lungi egli è sì, ma vive ancor fedele.

Ma non già più per me fedele oh Dei!
  65È la mia Nice; ahi Nice un tempo amica,
  A’ prieghi or sorda, ed a’ lamenti miei!

Ma qual mia colpa, o qual sorte nimica,
  Qual error suo, qual frode altrui cangiato
  Ha in odio sì crudel la fiamma antica?

70Oh solitaria valle! oh amico prato!
  Oh nota fonte! oh bosco ombroso e cheto!
  Dolce un tempo soggiorno ed ora ingrato.

Tempo già fu, che in questo orror secreto,
  L’ombra cercando di qualche arbor folto,
  75Con Nice m’assidea contento e lieto.

Dove or, dov’è? non torna più quel volto
  A rallegrarvi; orma non veggio intorno
  Più di quel piè, nè quella voce ascolto.

Invan la cerco, invan parto e ritorno
  80Ai noti luoghi, indarno più l’aspetto
  Dal nascer primo al declinar del giorno.

E pur credulo, oimè, se un zefiretto
  Sibilando talor more una fronda,
  Tendo l’orecchio, e il cor mi balza in petto.

85Parmi talor, che al mio chiamar risponda
  Languido suon; mi volgo. ahi lasso! e veggo
  Il fonte mormorar con flebil’onda.

Ah fuggiam questi luoghi, io più non reggo
  Fra tanti oggetti in cui sol per mia pena
  90Mille ingrate memorie incontro e leggo.

Qui la vid’io, su questa spiaggia amena
  La prima volta al fianco mio s’assise.
  Ah ch’ella forse or sel ricorda appena!

Qui d’eterna amistà fede promise,
  95Qui finse di sdegnarsi, e poi mi volse
  Furtiva il guardo, e languida sorrise.

Quivi a’ dolci rimproveri ella sciolse
  L’amico labbro, e mille volte e mille
  De’dubbj miei, del mio timor si dolse.

100Ed ahi gli occhi bagnò di calde stille,
  Ed io, che d’arte mai non seppi, io tersi
  Credulo di mia man le sue pupille.

Oh luoghi, oh giorni, oh quanto oimè diversi!...
  Ma quali in quelle piante?... Ah perchè al guardo
  105Vi offrite, o di mia mano incisi versi?

V’udia già Nice un dì, che al mio non tardo
  Estro Amor vi dettava, e per sua gloria
  Poi sulla scorza io vi scolpía col dardo.

Spesso del nostro amor la dolce istoria
  110Meco rilesse sugl’impressi segni.
  O di perduto ben cruda memoria!

Perite, o troppo omai miseri pegni,
  Nè più sia chi l’ardor, che mi divora,
  A queste selve in avvenire insegni.

115La man, che vi scolpì, vi cancelli ora,
  E delle acerbe mie doglie secreto
  Con voi si perda la memoria ancora.

Voi pur, che infausto monumento siete.
  D’infausto amar, piante odïose e spesse,
  120Tronchi il ferro, arda il foco... ah no, vivete.

Vivete, amiche piante, e voi con esse
  Crescete, o versi; e faccia il vostro stile
  Fede di quell’amor, che qui v’impresse.

Forse avverrà, che alcun pastor gentile
  125In passando vi legga, e forse ammiri
  Il facil canto non incolto e vile.

E forse fia, che Nice ancor vi miri,
  E per tarda pietà, ch’ella ne senta,
  Sul mio tradito amor pianga e sospiri.

130Ma che! ne ha dunque ogni memoria spenta?...
  No, nol cred’io; tanti d’amor veraci
  Pegni in secreto ancor forse rammenta.

E il tempo, i luoghi, le promesse... Ah taci,
  Taci, speme crudel; debole assai
  135Son’io pur anco, e tu lusinghi e piaci.

Eh che pur troppo anche il mio nome ornai
  Sparse d’ohblio coi dolci affetti insieme,
  Che o più non sente, o non sentì giammai.

E perchè dunque alla bugiarda speme
  140Cedi mio cor deluso, e nutrir vuoi
  D’inutil foco le reliquie estreme?

Che se imitar la crudeltà non puoi
  Dell’immemore Nice, il tuo lamento
  Taci, e nascondi almen gli affanni tuoi.

145E tu cetra un dì cara, al cui concento
  Quel nome adorno di novel decoro
  Suonería forse in cento lidi e cento,

Scordalo pure, e sulle fila d’oro,
  Poiché a Nice già sei vile e negletta,
  150Meco imprendi ad ordir nuovo lavoro.

Te Melpomene mia chiama ed aspetta
  Sulla tragica scena, e a miglior pianto,
  E al deposto coturno omai t’affretta.

Felice me! se col novel tuo canto
  155Sopisco in parte le pungenti cure,
  Misero, e imparo ad obbliare intanto,

Mentre piango le altrui, le mie sventure.

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