< Laude (1910) < Laude
Questo testo è completo.
LVII. Epistola seconda al prefato papa
Laude - Lauda LVI Laude - Lauda LVIII

Epistola seconda al prefato papa.          .lvij.


     LO pastor per mio peccato       posto m’à fuor de l’ouile,
     non me gioua alto belato       che m’armetta per l’ostile.
O pastor, co non te sueghi       a questo alto mio belato?
     che me tragi de sentenza       de lo tuo scomunicato,4
     de star sempre empregionato?       se esta pena non ce basta,
     puoi ferire con altra asta,       como piace al tuo sedile.
Longo tempo agio chiamato,       ancora non fui audito;
     scripsete nel mio dictato,       de quel non fui exaudito;8
     ch’io non stia sempre amannito       a toccar che me sia operto;
     non arman per mio defecto       ch’io non arentri al mio couile.
Come l cieco che clamaua       da passanti era sprobrato,
     maior uoce esso iectaua:       miserere, Dio, al cecato;12
     que adimandi che sia dato?       meser, ch’io reuegia luce,
     ch’io possa cantar a uoce       quello osanna puerile.
Seruo de centurione,       paralitico en tortura,
     non so degno ch’en mia casa       sì descenda tua figura;16
     bastame pur la scriptura       che sia dicto: absolueto;
     ché l tuo dicto m’è decreto       che me tra’ fuor del porcile.
Troppo iaccio a la piscina       al portico de Salamone;
     grandi moti sì fa l’acqua       en tanta perdonatione;20
     è passata la stagione,       prestolo che me sia decto,
     ch’io me lieui & tolla l lecto       et artorni al mio casile.
Co malsano, putulente,       deiactato so da i sane,
     né an sancto né a mensa       con hom san non mangio pane;24
     peto che tua uoce cane       et sì me dichi en uoglia sancta:
     sia mondata la tua tanta       enfermetate malsanile.
So uexato dal demonio,       muto, sordo deuentato;
     la mia enfermetate pete       ch’en un ponto sia curato,28
     che l demonio sia fugato,       et l’audito me se renna,
     et sia sciolta la mia lengua       che legata fo con: sile.
La puella che sta morta       en casa del synagogo,
     molto peio sta mia alma,       de sì dura morte mogo!32
     che porgi la man rogo       et sì me rendi a san Francesco,
     ch’esso me remetta al desco       ch’io riceua el mio pastile.

Deputato so en enferno       et so gionto già a la porta;
     la mia mate relione       fa gran pianto con sua scorta;36
     l’alta uoce udir oporta       che me dica: uechio, surge;
     ch’en cantar torni luge       che è facto del senile.
Como Lazaro soterrato       quattro dì en gran fetore,
     né Maria ce fo né Martha       che pregasse l mio Signore.40
     puolse far per suo honore       che me dica: ueni fuora;
     per l’alta uoce decora       sia remisso a star co i file.
Vn empiasto m’è nsegnato       e dictome che pò giouare,
     quel da me è delongato,       no gli posso ademandare;44
     scriuogli nel mio dictare       che me degia far l’aiuto,
     che lo mpiasto sia compiuto       per la lengua de fra Gentile.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.