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Serie 4a LA SCIENZA DEL POPOLO vol. 22.
Raccolta di letture scientifiche popolari fatte in Italia
BIBLIOTECA A C.i 25 IL VOLUME
PER TUTTA L’ITALIA
LE BIBLIOTECHE
CIRCOLANTI
PEL
Professor LUIGI MORANDI
LETTURA
fatta ad una società d’artisti ed operai a Spoleto.
FIRENZE
PER GLI EDITORI DELLA SCIENZA DEL POPOLO
1868.
A termini di legge viene riservata la riproduzione
o la traduzione della presente opera.
Firenze — Tip. Fodratti, via S. Zanobi, 88.
AL GIOVINETTO
BERNARDINO MASSI-BENEDETTI
Un giorno mi domandasti con ingenua curiosità che cosa fossero le biblioteche circolanti, e dopo di averlo saputo, te ne mostrasti contento.
Oggi io pongo il tuo nome in fronte a questo volumetto, nella speranza che tu, col crescer negli anni, possa diventare un caldo fautore di siffatta istituzione.
Iddio ti concesse mente capace d’intendere le cose utili e belle; la fortuna ti pose in istato di poter agevolmente operare il bene; l’indole tua mite e pieghevole, e l’amore che porti fin da ora allo studio, assicurano che
se segui tua stella,
Non puoi fallire a glorïoso porto.
Nel cuore di giovinetti simili a te io sento il palpito dell’avvenire; e vicino a voi mi sollevo dagli errori, dalle viltà presenti, e divengo migliore.
Rileggendo queste pagine, ricorderai il tuo maestro, cui fosti e sarai sempre carissimo.
Di Spoleto, li 24 novembre 1867.
L. MORANDI.
LE
BIBLIOTECHE CIRCOLANTI
«Quel che importa è, che, appreso a leggere, il popolo, abbia degni libri da leggere.» Tommasèo.
«La fondazione delle biblioteche popolari è un’opera di beneficenza e di grande utilità pubblica.» Card. La Tour d’àuvergne. (Moniteur: 29 avril 1850.)
«Il ripetere le cose della massima importanza non è mai soverchio, visto che l’errore giornalmente si riproduce.» Göthe. |
Signori!
I.
Oramai in Italia non v’è persona — sia pur dotata del solo barlume d’intelletto concesso a’ cretini — la quale non riconosca che fonte primissima di tutti i nostri malanni è l’ignoranza. Questa verità si va ripetendo da mane a sera su per le piazze, nei caffè, nelle conversazioni, sui giornali, per tutto; e si dice: «A Lissa e a Custoza fummo sconfitti, perchè eravamo ignoranti dell’arte della guerra; mentre a Sadowa più che il fucile ad ago, vinse il maestro di scuola. La nostra amministrazione va a rompicollo, pel semplice e solo motivo che non sappiamo amministrare. Le spese di polizia e il mantenimento di 60 000 infelici che languono nelle case penali perchè non furono convenientemente educati, costano all’erario 54 milioni annui1: enorme tributo, che si paga all’ignoranza!2! — Il Governo commette spropositi sopra spropositi; dacché egli, essendo il riflesso di tutta la popolazione, non può non subire l’influsso della generale ignoranza. Salvo il caso d’intervento straniero, ogni popolo è degno di quel governo che ha: dunque a popolo analfabeta, governo analfabeta!»
Tutto questo gridìo produce i suoi frutti. La goccia scava la pietra. Dàgli oggi, dàgli domani, un po’ di moto comincia a ridestarsi, e la libertà lo feconda e lo aiuta. Poiché la radice del male fu scoperta, ecco che si mette mano ai ferri; e il Governo — conviene pur dirlo a sua lode — fa poco, ma fa del suo meglio, come primo cerusico in questa difficile operazione.
Quindi è che anco negli angoli più remoti ed oscuri del nostro paese si vanno fondando asili fanzia urbani e rurali, scuole diurne e serali.
Lo scopo non potrebbe essere più nobile e santo; ma i mezzi posti in opera basteranno a raggiungerlo?
— No; francamente no!
Le scuole senza dubbio, sono il primo mezzo indispensabile per togliere l'ignoranza; ma non sono tutto quel che si vuole.
Procurerò di spiegarmi più chiaramente che posso.
II.
Anzitutto, o Signori, bisogna intendersi sul valore di questa brutta parola ignoranza.
Il popolo da noi chiama ignoranti tutti quelli che non sanno nè leggere nè scrivere; nè — com'esso aggiunge — procedere da galantuomo. Questo giudizio è vero soltanto per metà, perciocché si può benissimo esser sufficientemente colto ed educato, senza saper di lettera.
Carlomagno non sapeva nè leggere nè scrivere; eppure fu l’uomo più grande del suo tempo. Stepheilson, l’operaio inglese inventore della locomotiva, imparò tardissimo a leggere e non riuscì mai a scrivere più in là del proprio nome.
Ma lasciamo star questo, e che Dio ci liberi dal pigliare tali eccezioni per regola generale! — Ho voluto accennarle, soltanto per dimostrare che la logica non si viola mai impunemente; difatti il nostro popolo, dal primo errore scivola in un altro ben più grossolano. Esso, generalmente parlando, crede che il sapere stia tutto nel leggere e nello scrivere, o, a farla larga, nella grammatica (latina s’intende!); e dice con una semplicità veramente preadamitica: chi sa mettere el nero sul bianco, non se more de fame — Le quali parole, tradotte in buon italiano, vogliono significare: «chi sa appena leggere e scrivere, ne ha già di troppo per mettersi alla caccia d’un impiego». — A questo modo, o signori, si moltiplicano i somari di lucido pelo e di larghe groppe alla mangiatoia dello Stato. L’ho detta; perdonatemi!
Posto un principio falso, è naturale che ne derivino false conseguenze.
Io ho veduto molti buoni operai disertare le scuole serali, non appena ebbero appreso, Dio sa come! a leggere e a scrivere, contenti del proprio sapere, quasi fossero diventati tanti Salomoni.
A taluno di costoro io vorrei parlare così: — «Amico! che cosa diresti di un cieco-nato, a cui si ridonasse la luce, ed egli s’incaponisse a richiuder gli occhi per non vedere? — Certo, tu affermeresti che costui è un pazzo. Ebbene! tu sei come lui; tu che hai imparato a leggere e non leggi mai. A te pure erano stati aperti gli occhi per vedere un mondo nuovo: il mondo dello spirito che sta scritto ne’libri; e tu li richiudi per non vederlo. — I libri ti avrebbero rivelato le meraviglie del corpo umano, che tu porti con te, come un sacco inconsapevole del suo contenuto. I libri ti avrebbero appreso il meccanismo che regola il corso degli astri, le cause dei fenomeni più ammirabili della natura, i quali tu contempli stupido come il selvaggio. I libri ti avrebbero narrato le vicende gloriose di questa terra, che ti è patria, e che tu non puoi amare veracemente, perchè non la conosci abbastanza. Essi ti avrebbero procurato nelle ore del riposo gioie ineffabili, che cercherai invano nelle taverne e ne’ postriboli! Ma tu, abbandonando la scuola senza curarti di aprir mai un libro, dài ragione a que’ miserabili che vanno predicando essere impossibile l’educazione del popolo!»
In questa mia tirata ci potrà essere un po’ di rettorica; ma c’è anche molta verità.
Un popolano che ha imparato a leggere e non legge mai, resta nella primiera ignoranza. Per lui la scuola non ha giovato a nulla. Tanto valeva che non ci fosse.
III.
Qualche cosa di simile avviene per i giovani studenti.
Nelle scuole, o signori, per quante cure vengano adoperate dagli insegnanti, s’impara assai poco. Un buon maestro ha fatto tutto, quando ha saputo inspirare nell’animo dell’alunno l’amore allo studio3.
La scuola è mezzo e non fine; e i giovani, se non s’avvezzano per tempo a camminare colle proprie gambe, diventano tante macchinette incapaci di operar nulla di buono. Nelle scuole, per esempio, si mette loro in mano una ricettina di cento o dugento pagine, col pomposo titolo di Storia romana o di Storia d'Italia; e i poveretti — posto che siano diligenti — se la studiano, se la digeriscono e poi in buona fede pensano di sapere la storia, e ci tengono e se ne vantano. Per la strettezza del tempo accade così di tutte le altre materie d’insegnamento. Una sintesi prematura strozza a mezzo l’analisi;
Sicché le pecorelle che non sanno, |
(Dante, Parad., XXIX.)
A questo modo, escono dalle scuole aborti d’uomini, che ne riportano la sola presunzione del sapere; uomini che non hann’imparato di non saper niente; perchè non videro da sè la spaventosa vastità dello scibile; e che simili allo scarabeo, tengono qualche cosa di tondo sotto le mani, e credono di tenerci il globo. — Cento dotti di questa risma possono far più danno di un milione d’analfabeti; perchè non l’ignoranza, ma l’errore è sorgente di mali. Più volte, o Signori, ripensando fra me che la maggior parte di quei giovani studenti, i quali erano stati miei discepoli, si trovano appunto in questa deplorabile condizione, fui assalito da un profondo senso di tristezza, e, quasi cerusico cui venga meno la sicurezza del braccio, mancò poco che non perdessi la fede dell’opera mia, e non m’estimassi un essere inutile, anzi dannoso, nel mio ufficio di pubblico insegnante; in quell’ufficio che sempre avevo riguardato come una nobile missione per redimere l’umanità dalla peggiore delle schiavitù!
IV.
Affinchè la scuola gli sia veramente profittevole, ogni giovane studente dovrebbe avere a sua disposizione parecchie centinaia di buoni libri. Ma non tutti, anzi pochissimi, hanno i mezzi per procurarseli; ed anche avendoli, non tutti lo fanno.
E l’operaio anch’esso, supposto che abbia volontà di leggere, come troverà libri che lo possano dilettare ed istruire ad un tempo, nei nostri paesi, dove manca persino il negozio di un libraio4, e se vi capita qualche rivenditore ambulante non porta seco che libri osceni, atti soltanto a corrompere il cuore?
Tra la scuola e la vita c’è un vuoto immenso. Se non si colma, la scuola è inutile e talvolta dannosa. Il libro è l’apostolo che deve compire l’opera iniziata dal maestro. — Ma come fare, perchè tutti possano agevolmente avere dei libri? — A ciò ha provveduto il principio d’associazione; quel principio che, sorto in Italia, produsse nel Medio Evo, gli spedali, le fraternite, i monti di pietà ed altri così fatti instituti; ma che poi andò perduto insieme all’indipendenza delle nostre repubbliche, e passò i monti cooperando efficacemente al ben'essere di altri popoli più giovani, più avventurosi e forse più accorti di noi.
V.
Il principio d’associazione, o signori, ha completato la scuola colla biblioteca circolante.
La biblioteca è il vertice d’una piramide cui è base la scuola5. Ora vi accennerò alcuni dati statistici, i quali dimostrano il progresso e l’efficacia di questa istituzione presso i popoli che noi riguardiamo come i più civili.
A New-York, la sola biblioteca dei commessi di negozio ha 5000 soci, 87000 volumi, e riceve ogni anno 170 riviste ed ogni giorno 140 fogli quotidiani.
La biblioteca fondata da Franklin a Filadelfia conta oggi più di 800000 volumi.
Codeste cifre ci spiegano come negli Stati Uniti sia possibile tanta
libertà, e come l’operaio ed il negoziante di quel fortunato paese sappiano all’occorrenza essere giornalisti, oratori, uffiziali d’armata, e sempre ottimi cittadini. — Ma proseguiamo.
A Manchester, una sola biblioteca popolare; nel 1852 distribuì 61 080 volumi, e 83 846 ne distribuì nel 1862.
La biblioteca di Liegi, nel 1865, ebbe 9653 lettori, di cui 7797 uomini e 1856 donne, e per lo più operai; la biblioteca di Namur, nel 1865, distribuì 20000 volumi, mentre nel 1864 ne aveva distribuiti soltanto 7000; quella di Verviers aveva 646 lettori nel 1861; 817 nel 1862; 2481 nel 1864.
Notate, o Signori, il crescere che fa ogni anno il numero de’ leggitori. Gli è una pruova che l’utilità di questa istituzione si va facendo largo in mezzo alle moltitudini; tanto chè omai possiamo dire che gode il prestigio della verità conosciuta, e chi la impugnasse, commetterebbe peccato...... almeno contro lo Spirito Santo!
VI.
«Ma la vera patria delle biblioteche circolanti è l’Alsazia.
«I pittori di questo paese, dice il prof. Luzzatti, si compiacciono a dipingere in modeste tele il quadro della famiglia raccolta a studioso convegno; il padre, invecchiato dagli anni, ascolta intento, non sapendo leggere, la voce del figlio, che più giovane e più felice di lui, potè attingere alla scuola i primi rudimenti del sapere. Questo argomento nuovo che la società moderna offre all'immaginazione degli artisti, sarebbe ben degno di trovare il suo Raffaello, e supera per importanza le leggendarie dipinture dei santi; esso è il quadro del lavoro e della scienza; è il quadro dell’umanità redenta e santificata dalla luce del vero! Qui il libro non è soltanto un promulgatore di verità, ma adempie la missione di un apostolo, che ritempera e ringiovanisce le famiglie umane.
«Nell’Alsazia vi sono due Associazioni per diffondere le biblioteche popolari; una è quella di Mulhouse, fondata da Jean Macé e Dolfus, l’altra fu costituita a Colmar da Lefebure: la Società di Mulhouse tiene il primo posto. Giovanni Macé, di cui tutti voi conoscete il mirabile ingegno, che arieggia a Franklin per la sua semplicità, è il genio tutelare dell’Alsazia; sui suoi passi, come i fiori, pullulano le biblioteche e le scuole popolari. Egli ha trovato nel Dolfus un mecenate degno di lui. Dolfus è il più ricco fabbricante di cotone dell’Alsazia; è il sindaco, la provvidenza di Mulhouse. Un letterato apostolo ed un industriale apostolo: ecco l’augurio che noi dobbiamo rivolgere ad ogni città d’Italia. Il connubio della scienza, del capitale e del lavoro — non già quando si predica con facile verbosità nei libri dell’economia politica — ma se si sostanzia e piglia vita reale negli uomini, può rigenerare le nazioni.
«La Società di Mulhouse sorse con modesti auspicî: non ebbe l’ambizione di rigenerare tutta la Francia, di costituire un comitato accentratore delle biblioteche popolari; ma chiudendo i suoi sforzi nei brevi confini del Dipartimento dell’Alto Reno, riuscì nel suo intento. Guizot ha detto: «In fatto d’istruzione pubblica, i desiderî più modesti diventano presuntuosi» — e quei di Mulhouse fecero tesoro di questa massima sapiente. La società si propone di accendere le operosità locali, di promuovere e di venire in aiuto, non già di fare. Essa procura che i Comuni stanzino nel loro bilancio una piccola somma per la biblioteca popolare, e raccoglie intorno ad essa un primo nucleo di generosi filantropi, e con poco denaro, ma con ricchezza di buona volontà la provvida istituzione in pochi mesi sorge e fiorisce.»
In tre anni di vita, dal 1864 al 66, questa Società dell’Alto Reno, meritamente encomiata dal professore Luzzatti, ha potuto far sorgere ne tre circondari di Colmar, Mulhouse e Belfort ottantatre biblioteche, le quali ebbero un’entrata di lire 15,961, ed imprestarono a leggere 256231 volumi.
«È, come vedesi, una magnifica e meravigliosa efflorescenza di biblioteche; ma Giovanni Macé e Dolfus — dice il citato scrittore — si lagnano che il Dipartimento dell’Alto Reno noveri 481 comuni e le biblioteche non siano ancora che 83. Tuttavia è da osservarsi che le 83 comuni, dove già fiorisce la biblioteca popolare, contano 204 065 anime, cioè la metà degli abitanti dell’intero Dipartimento. Quanti altri paesi di nostra conoscenza, se potessero gloriarsi dei trionfi ottenuti in Alsazia, ne menerebbero rumoroso vanto! Ma i popoli veramente grandi non si giudicano dal bene che hanno fatto, ma da quello che dovrebbero fare. La biblioteca nell’Alsazia, non sorge soltanto nelle grosse città, ma anche nelle campagne e persino fra le Alpi, ed in alcuni luoghi dove manca la chiesa, non mancano i libri popolari. Il bibliotecario del Grand-Trait ha dovuto porre un deposito di libri nei casolari della montagna, e stata che sono letti da più di 20 000 alpigiani. Alcuni piccoli comuni industriali ed agricoli contano quasi i lettori col numero dei loro abitanti6; e questo santo contagio dello studio si diffonde dappertutto, assale i soldati delle guarnigioni, e persino quegli uomini che paiono più chiusi alle benigne influenze del vero. Nei dintorni di Thann i taglialegna, ai quali la neve vieta di lavorane, usavano raccogliersi nell’osteria dove sprecavano u loro guadagno; ora, dopo che si fondò una biblioteca, si dànno convegno nella casupola di un operaio che legge una storia ad alta voce: essi arricchiscono di sapienza e risparmiano il loro denaro.
«Cosi il libro insegue dappertutto i lettori e li coglie persino nelle aspre solitudini delle montagne nevose!
«Ogni anno a Mulhouse v’è una solenne adunanza, nella quale si premiano i migliori bibliotecari ed i più diligenti fra que’soci, che colla loro opera procacciarono allo sviluppo della provvida istituzione. Quest’anno la società inviò a sue spese i cinque migliori bibliotecari all’esposizione di Parigi. E una festa solenne codesta, la quale commuove gli spiriti; si premia l’uomo che ha passato la vita negli studi, assieme al contadino che deve al libro della biblioteca comunale la sua educazione7».
VII.
E perchè, o signori, noi saremmo da meno di quest’altri popoli? Non siamo anche noi d’ossa e di polpa com’essi? Firenze, Genova, Pisa, Venezia e cento altre città italiane non furono un tempo maestre di splendida operosità cittadina? E se dormimmo perchè non potremo ridestarci? Forse la terra dove nacque Michelangelo, tanto decantata per la versatilità non meno che per la robustezza delle menti, s’è mutata ad un tratto e non produce più altro che cretini ed oziosi?
No, Signori! Chi va seminando sfiducia è un bugiardo che mente a se stesso; è un poltrone, che simile alla volpe scodata della favola, vorrebbe neghittosi anche gli altri.
Operiamo concordi, operiamo tutti, ciascuno secondo le proprie forze, e raggiungeremo lo scopo più presto che non pensiamo.
In questa santa crociata che le genti civili bandiscono contro l’ignoranza, l’Italia non deve restare in coda, alle altre Nazioni. Se non ci muove l’utile, ci muova, almeno, la vergogna!
Già molto s’è fatto; ma subito m’affretto a dirvi che questo molto è un bel nulla in confronto al da farsi; tuttavia notiamolo perchè ci serva di sprone e d’incoraggiamento ad un tempo. Vedete! Nell’ottobre del 1861, un uomo di buona volontà, uno di quegli uomini, a’ quali dall’alto dei cieli si augura invano pace sulla terra, poiché essi fanno della vita un continuo battagliar contro il male, — l’avvocato Antonio Bruni di Prato — si propose di fondare in quella città una biblioteca circolante. Pochi eletti amici lo confortavano all’impresa.
Avvertite, o Signori, che era il primo esperimento che si faceva in Italia di questa istituzione; e perciò infiniti gli ostacoli da superarsi. — Le cose nuove sono come gli oggetti veduti da lontano la notte: mettono paura, e molti ci temono sotto l’inganno. Ma a chi vuole, nulla è difficile; e il valentuomo cominciò con un solo volumetto di sessanta pagine, e riuscì splendidamente nel suo intento.
In poco tempo, più di 50 giornali italiani parlarono favorevolmente della nuova istituzione; da tutta la penisola affluirono doni di libri; il Governo concesse in due volte un sussidio di 400 lire: la stampa estera anch’essa fece plauso alla bella idea dell’avvocato Bruni; e Giovanni Macé, l’apostolo delle biblioteche popolari nell’Alsazia, l’autore di quegli aurei libri, che sono: La storia di un boccone di pane, e I servitori dello stomaco, volle pure concorrere con un dono di 100 lire all’incremento della biblioteca pratese. Oggi essa è la prima in Italia, ed ebbe anche una menzione onorevole all’ultima esposizione di Parigi. Conta centonovanta soci8; possiede meglio di tremila volumi: e tremila volumi di una biblioteca circolante valgono bene i centomila di una biblioteca stabile. Nella biblioteca circolante, il libro non istà ad impolverarsi negli scaffali; ma cammina, cammina, come l’Ebreo della leggenda; non è cosa morta, ma un essere che vive, che si moltiplica, che si logora, e muore finalmente: e un libro che muore consumato dall’uso, è un’arma che si spezza nella ferita, è un soldato che cade combattendo l’ignoranza!
VIII.
Il bell’esempio di Prato non poteva restare senza frutti. Una nobile gara s’accese anche tra noi per diffondere le biblioteche circolanti, e a brevi intervalli si videro sorgere, come per incanto, a Vercelli, Lecco, Catanzaro, Lodi, Caltanisetta, Voghera, Milano, Ardenza (Livorno), Bologna, Palermo, Viadana, Intra, Parma, Sciolze, Vicenza, Rosate, Chiaravalle, Salò, Padova, Foggia, Venezia, Medezzano (Parma), Polesella (Rovigo), Govone, Vallo di Lucania, Codogno, Casalpusterlengo, ai Corpi Santi di Milano, e nelle carceri giudiziarie di Bergamo9.
Il comizio agrario di Voghera, presieduto dal benemerito cav. Valli sotto-prefetto, inspirandosi agl’intendimenti della società di Mulhouse, con larga generosità concorse a fondare ben settantaquattro biblioteche circolanti10 A Milano i professori Luzzatti e Amati e l’avvocato Larcher si fecero iniziatori di una Società promotrice, che s’ebbe da quel Consiglio provinciale un sussidio di seimila lire. Un’altra se n’è costituita a Siena per cura del sig. Luciano Bianchi; ed ambedue operano indefessamente alla propagazione delle biblioteche.
I Consigli provinciali di Macerata e di Napoli hanno seguito l’esempio di quel di Milano. La colonia italiana a Buenos-Ayres ha pure la sua biblioteca circolante.
Insomma, la benefica instituzione si diffonde largamente anche tra noi, e tutti le fanno buon viso. Io stesso ho potuto sperimentarlo nella vostra Spoleto. — Mi bastò mandare nel decorso aprile una circolare a stampa ai conoscenti e agli amici, per raccogliere in pochi giorni meglio di trecento volumi. Trovai anche facilmente una trentina di persone, che si obbligarono a pagare 50 centesimi al mese, coi quali, raccolti insieme, si potesse provvedere all’acquisto di nuove opere ed alla rilegatura dei libri. Dal Municipio ebbi il locale e la poca mobilia occorrente; dugento lire dette in sussidio il Governo e cento il Consiglio provinciale dell’Umbria.
Oggi la biblioteca circolante di Spoleto possiede più di 600 volumi e dai primi di agosto a tutto novembre 1867, ha imprestato a leggere circa 800 libri: cifra ben considerevole, se si ha riguardo alla popolazione della città.
IX.
Proseguendo di tal passo, se non imitiamo il trotto dell’asino, di qui a pochi anni anche in Italia non vi sarà paese, per piccolo che sia, il quale non abbia la sua biblioteca circolante. A ciò concorreranno anche, i Comuni, quando si sieno convinti che la scuola senza biblioteca è un corpo senza testa.
Allora che cosa resterà a farsi? Che voi particolarmente, studenti e operai, profittiate di così bella istituzione.
La biblioteca starà là, accusatrice terribile di tutti gl’ignoranti, di tutti gli oziosi.
Anzi, voi stessi potete diffonder per tutto le biblioteche circolanti. Non siete voi che più d’ogn’altro ne avete bisogno? — Associatevi, e con pochi centesimi al mese, in breve tempo avrete a vostra disposizione migliaia di volumi, che, disuniti, non potreste mai procurarvi. Possedete un libro che non vi serve più? Donatelo alla biblioteca e gioverà a centinaia di persone. Di questa guisa, nel mentre siete utili a voi stessi, lo siete anche agli altri. Uno per tutti, tutti per uno: ecco il prodigio dell’associazione. E nell’associarvi, non dimenticate la donna; trascinatela dolcemente con voi. Fatele intendere che dessa pure ha bisogno del libro della biblioteca; che ne hanno bisogno i suoi figli o i suoi fratelli; e che perciò ella pure è in dovere di pagare il suo obolo alla società.
Per l’amore che ho alle biblioteche circolanti, io vorrei che ognuna di esse potesse annoverare tra’ soci almeno un terzo di donne: il suo avvenire sarebbe assicurato. La donna — che noi teniamo lontana dall’ingerenza d’ogni benché minimo negozio pubblico — quando vi sia chiamata, tituba un poco, come novizia, ad intervenirvi; ma poi ci porta tutta la energia, tutta la tenacità di volere, tutto l’amor proprio, di cui è capace, e che non ha sciupato altrimenti.
Anche le Società di mutuo soccorso e i magazzini cooperativi sono far molto per le biblioteche circolanti. — Il profes. Luzzatti ci narra «che i magazzini cooperativi dell’Inghilterra, i quali ora superano gli ottocento, detraggono dall’utile netto una piccola parte assegnata al fondo di educazione per costituire la biblioteca popolare della Società; e quando i soci ed i clienti vanno a comperare le vettovaglie, richiedono ed ottengono anche il libro, che scivola quasi accartocciato col cibo nelle loro mani. Così il pane del corpo e dello spirito si distribuisce nello stesso luogo; ed il magazzino cooperativo, mentre rialza il tenore materiale della vita, eleva e sublima anche la mente! E notisi che qui i soci ed i clienti ottengono il libro gratuitamente; tuttavia la gratuità non è un dono, ma il frutto dell’istituzione fondata da loro stessi; perchè acconsentono a privarsi d’una parte degli utili, per procurarsi il diletto di buone letture11.»
In Italia c’è pur troppo il malvezzo di aspettare che tutto piova dall’alto. Il Governo è il Cireneo che deve portare tutte le croci; ed egli, forzato, ci si piega; ma in fondo in fondo sono le nostre spalle che faticano; o, per dirla com’è, alla fine dei conti siamo noi che paghiamo.
Non si considera che il danaro, per passare dalle tasche dei contribuenti, nelle casse governative, e poi da queste sopra i contribuenti, decresce per le spese di esazione e di amministrazione, che in Italia sono enormi: è come un corso di acqua, che destinato ad irrigare un terreno, debba attraversare un terreno arido; gran parte ne viene assorbita. Non si considera che sostituendo in tutto e per tutto l’azione governativa a quella individuale, si moltiplicano gl’imbarazzi al Governo e si distrugge l’individuo. — Non lo vedete? In Italia il Governo è tutto, l’individuo quasi nulla. Guardate gli Stati Uniti d’America, guardate l'Inghilterra, e troverete il rovescio: — Ma di chi è la colpa?
Il Governo ha fatto tutto il suo meglio quando ci ha concesso la libertà di manifestare le nostre idee, di poter sviluppare le nostre forze e migliorare la nostra condizione. Se noi ce ne restiamo inerti e rigettiamo al Governo quella somma di attribuzioni che spettava a ciascuno, ed egli, dopo averle raccolte le usa malamente, di chi è la colpa? — Nostra, e non sua.
Troppo spesso con puerile eloquenza imprechiamo contro il Governo, rovesciando sulle sue spalle la soma di tutti i malanni, di tutte le sventure nazionali; e ci dimentichiamo che ognuno di noi è una parte vitale della Nazione. Quanto faremmo meglio ad interrogare la nostra coscienza sul modo con cui abbiamo adempiuto questa parte, cioè i doveri che c’incombevano come liberi cittadini, per vedere se non fosse il caso di ripetere uno schietto « mea culpa!»
«La Nazione — osserva sapientemente lo Smiles — non è che l’aggregato delle condizioni individuali; e la civiltà stessa è una questione di perfezionamento personale. Il progresso nazionale è la somma delle attività, delle energie e delle virtù di tutti; come la decadenza nazionale è la somma delle viltà, degli egoismi e dei vizi di tutti. Guardandoci bene addentro, si trova che ciò che siam usi a denunciare come grandi mali sociali sono, la più parte delle volte, il frutto soltanto di una vita perversa; e quantunque ci studiamo troncarlo ed estirparlo mediante le leggi, ripullula di bel nuovo sotto altra forma, finché le condizioni della vita e del carattere umano non siano radicalmente migliorate. Se questa idea è esatta, ne segue che il più alto patriottismo e la più perfetta filantropia consistono non tanto nel rimutare le leggi e modificare le istituzioni, quanto nell’aiutare e stimolare gli uomini ad innalzare e perfezionare se stessi per mezzo della libera ed indipendente azione della loro propria volontà.»
Il Governo, o Signori, può aver le sue colpe: nessuno lo niega; ma il Governo — dice ancora lo Smiles — trovasi per solito non essere altro che il riflesso degli individui che lo compongono. Il Governo che va più innanzi del popolo è tratto infallantemente al suo livello, come il Governo che sta alla coda di esso è spinto, a lungo andare, alla pari di esso. E nell’ordine della natura che una Nazione trovi nelle sue leggi e nel suo Governo le disposizioni che convengono al suo carattere, nello stesso modo che l’acqua trova il proprio livello. Sempre un popolo nobile sarà governato nobilmente, e un popolo ignorante e corrotto, ignobilmente. La libertà è un portato morale non meno che politico — è il risultato della libertà d’azione, dell’energia e dell’indipendenza degli individui.
«Può avere conseguenze comparativamente piccole il come un uomo sia governato esteriormente, mentre tutto dipende dal modo con cui egli governa sè stesso internamente. Lo schiavo più miserabile non è colui che è signoreggiato da un despota, per quanto grande si questo male, ma colui che è mancipio della propria ignoranza, del proprio egoismo e de’ propri vizi. Ebbervi ed hannovi per avventura tutto dì de’ così detti patriotti, i quali reputano che il maggior benefizio che si possa rendere alla libertà, sia quello d’ammazzare un tiranno, dimenticando che il tiranno per solito rappresenta soltanto fedelmente i milioni di sudditi che stanno sotto di lui. Ma le Nazioni che sono schiave internamente (considerate, o signori, queste parole, che forse fanno al caso nostro), non possono essere riscattate da un semplice cambiamento di governo o di istituzioni; e fino a tanto che prevale l’illusione funesta che la libertà dipenda unicamente e consista nel Governo, siffatte rivoluzioni, per quanto possano costare, non produrranno risultati più durevoli che l’apparizione di nuove
figure in una fantasmagoria. I solidi fondamenti della libertà poggiano sulla forza dei caratteri individuali; in questa risiede la più sicura guarentigia della sicurezza sociale e del progresso nazionale; e in ciò consiste la vera forza della libertà inglese. Gl’Inglesi sentono che sono liberi, non solamente perchè vivono sotto libere istituzioni da essi laboriosamente conquistate ed assodate, ma perchè ciascun membro della società si è più o meno immedesimato lo spirito della libertà; ed eglino continuano a godere di quella libertà, non solamente col parlare liberamente, sì anco con la loro vita regolata e con la loro azione energica come uomini individualmente liberi12.»X.
Le biblioteche circolanti gioveranno non poco a questa grande opera di rigenerazione individuale, che sta per la massima parte nelle vostre mani, operai e studenti. Voi costituite le classi più numerose ed elette della società, ed in voi è l’avvenire del nostro paese. Oggi abbiamo un’Italia, ma pur troppo ci mancano gl’italiani. Il migliorarci come individui è quistione di progresso o di regresso, di vita o di morte per la nostra Nazione.
Riguardando poi ciascuno di noi come uomo, come individuo della immensa famiglia che si chiama Umanità, altri doveri c’incombono, altri problemi sociali aspettano dal nostro perfezionamento individuale la loro soluzione. Di volo, ne accennerò uno, il quale meriterebbe di esser soggetto a lungo ragionamento. — Poco fa, il re Carlo XV di Svezia e Norvegia ci ha ripetuto13 che un buon terzo delle rendite dell’Europa e delle risorse della civiltà, se ne vanno per i mezzi di distruzione, ossia per lo effettivo delle armate e per i materiali da guerra, de’ quali ogni giorno con enorme dispendio si cerca il perfezionamento. Una nuova invenzione riduce a nulla le spese colossali che tutti gli Stati si sono imposti sino ad oggi. In ciò, quel re letterato e filosofo, vede una causa costante d’impoverimento per i popoli. Ed è veramente così: noi andiamo incontro alla miseria, per trucidarci a vicenda! Può dirsi che facciamo la civilizzazione della barbarie.
Ora vi domando: se almeno due terzi degli uomini fossero convenientemente istruiti ed educati, non si avvedrebbero che la guerra è un terribile flagello, tanto pei vinti che pei vincitori? Non cercherebbero di evitarla, componendo pacificamente e secondo giustizia le loro vertenze? od almeno non eviterebbero l’altro flagello della cosidetta pace armata, non meno terribile della stessa guerra? Ma si risponde: «I popoli non lo vorrebbero questo assassinio legalizzato; i popoli amano la pace: è la diplomazia, sono i Governi che vogliono la guerra.» Buon Dio! I popoli non vogliono la guerra, ed intanto non solo permettono che si faccia, ma prestano essi stessi le loro sostanze, il loro braccio, la loro vita per farla!... Dunque son degni de’ loro Governi e della loro diplomazia. Abbiamo l’umanità, ma ci mancano gli uomini!
I Direttori della Scienza del Popolo F. GRISPIGNI, L. TREVELLINI. |
- ↑ Bellazzi: Prigioni e prigionieri.
- ↑ L’educazione va sempre di pari passo coll’istruzione. In Francia, e precisamente a Besançon capoluogo del dipartimento Doubs, che è modello a tutti gli altri per gl’istituti di pubblica istruzione, nell’aprile del 1866, la Corte d’Assisie non potè aprirsi, perchè non eranvi cause criminose a discutere!
- ↑ «Drea Francioni fu il primo ed è stato Punico che m’abbia messo nel cuore il bisogno e l'amore agli studi. Oh! meglio assai che imbottire la testa di latini, di storiucce e di favole! fate amare lo studio, anco senza insegnar nulla, questo è il busilli!» Giusti, nella sua vita, premessa all’Epistolario.
- ↑ A Spoleto, città che conta 7000 anime, non v’è libreria.
- ↑ «Negli Stati Uniti d’America, accanto ad ogni scuola primaria va annessa una biblioteca popolare, perchè que’ pratici educatori dello spirito umano compresero agevolmente che l’una è all’altra indispensabile».
Nell'Inghilterra non v’è scuola professionale senza biblioteca.
«Anche in Francia il ministro Rauland nel 1862, promosse le biblioteche scolastiche, che egli si proponeva di collocare in ogni comune, sotto la direzione dell’istitutore, in modo che servissero ad uso d’insegnamento nella scuola e di lettura nel villaggio. Al principio dell’anno 1866 ne esistevano già 10213, di cui 6000 avevano questo duplice ufficio, con più di un milione di volumi.»
(Vedi il discorso del chiarissimo prof. Luzzatti, nella Relazione della Società promotrice delle Biblioteche popolari. Milano, 1867. — Da questo pregevole lavoro ho tratto gran parte degli altri dati statistici). - ↑
Lettori in un anno Libri letti Guebwiller 550 — 4962 volumi. Ribeauvillé 200 — 2970 » S.-Croix-a.-m. 50 — 1992 » S.-Marie-a.-m. 792 — 9084 » Cernay 310 — 2153 » Giromagny 215 — 2652 » Malmerspach 203 — 1580 » Thann 326 — 1892 » Illzach 112 — 2397 » Dornach 150 — 3691 » Mulhouse 1800 — 83170 » Andolsheim 260 — 1674 » Fortschwihr 21 — 302 » Sundhoffen 105 — 1236 » Wihr-en-Plaine 39 — 295 » Oberentzen 72 — 3660 » Beblenheim 150 — 1634 » Hirtzbach 120 — 720 » Blotzheim 62 — 598 » Àspach-le-Bas 392 — 1198 » Uffholtz 93 — 598 » - ↑ Luzzatti, discorso citato.
- ↑ Tra questi soci figurano una ventina di donne, 8 sacerdoti, 42 studenti, 14 insegnanti, 10 militari.
- ↑ Le biblioteche di Lodi, dell’Ardenza, Viadana, Sciolze, Rosate, Salò, Padova, Foggia, Venezia, Govone, si devono in ispecial modo alle cure e alla iniziativa respettivamente dei signori avv. Tiziano Zalli, Narciso Giachetti, prof. Parazzi, prof. G. B. Monti, M° De Alberti, prof, ispett. Bagatta, Municipio di Padova, cav. Baricco, avv. Antonio De Pretis e prof. Biasutti, prof. Dalmasso.
- ↑ Voghera (Comizio agrario), Voghera (Società operaia), Rovescala, Cassino-Po, Rocca de’Giorgi, Montubeccaria, San Cipriano Po (comunale), Broni, Sale (Alessandria), Pontedera, Alberedo-Arnaboldi, Roccasusella, Casei Gerola, Pinarolo-Po, San Damiano al Colle, Corana, Stradella, Codevilla, Silvano Pietra, Casteggio, Calcababbio, Cornale, Staghiglione, Santa Giulietta, Verrua-Siccomaria, Cervesina, Montù de’ Gabbi, Montescano, Casatisma, Cicognola, Castana, Mornieo-Losana, Casalnocetto (Tortona), Port’Albera, Montemurlo, Gubbio (Perugia), Carcarelli (Palermo), Sestino (Arezzo), Mezzana-Bottarone, Beigioioso (Pavia), Bobbio, Borgonovo (Piacenza), Palermo, Pavia, Montesegnale, Girgenti, Gropelio (Lomellina), Nibbiano (Piacentino), Santa Cristina e Bissone (Pavia), Roggiano-Gravina (Calabria cit.), San Lussurgiù (Cagliari), Petralia-Sottana (Palermo), Cosenza, Mortara, Tromello, Caserta, Valenza, Como, Atri, Tortona, San Giovanni val d’Arno, Polignano (Piacentino), Branduzzo, Castelletto-Po, Donelasco, Montecalvo-Versiggia, Oliva-Gessi, Redavalle, Retorbido, Rivanazzano, Torricella Verzate, Argine-Po, Argine-Po (Bressano), Voghera (magistrale).
(Vedi la Continuazione delle memorie e documenti della fondazione della biblioteca circolante popolare di Prato; Prato, 1867). - ↑ Discorso citato.
- ↑ Queste auree osservazioni sono tratte dal famoso libro dello Smiles Chi s’aiuta Dio l’aiuta; libro, del quale anche in Italia si sono già fatte tre edizioni, e che vorremmo vedere nelle mani di tutti.
- ↑ Vedi l’opuscolo: Idee sui movimenti della tattica moderna; Stokolma, 1867.