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L’Agamènnone è ricco di episodi, fastoso, epico. Le Coefore sono semplici, sobrie, quasi scarne. Eschilo aveva a sua disposizione tre attori di prim’ordine1 e spontanei si offrivano episodi in cui s’intrecciassero ed urtassero le passioni. Ma neppure Elettra e Clitennestra s’incontrano mai: l’azione procede rettilinea, fulminea, come una freccia, dalla corda alla meta. Tanto piú grande ne risulta però l’effetto tragico. E ci parrà cosciente e voluto, se pensiamo che le Coefore formano il centro della trilogia. Qui, secondo i cànoni d’arte che abbiamo già rilevato, si doveva raggiungere la massima intensità, dalla quale, a grado a grado, si scendeva alla calma, che doveva infine placare, purificare l’animo dello spettatore.
Di contenuto interamente umano, le Coefore non presentano alcuna difficoltà. Nella introduzione all’ Agamènnone accennai, e basta il cenno, ai caratteri di Elettra e di Oreste. Ancora una breve osservazione a proposito di quest’ultimo. Che Oreste appaia dubbioso di fronte alla inflessibile volontà di Elettra, è chiaro. Anche sul momento di uccidere la madre, esita, e deve incitarlo Pilade. Ma è certo illuso chi sente un sapore amletico nelle parole «uccise o non uccise?»2, che egli pronuncia quando mostra al popolo il mantello ancora macchiato di sangue, in cui fu ucciso Agamènnone3. Questo mantello costituisce una prova irrefragabile, e la forma interrogativa ha valore retorico. «Ha o non ha commesso il delitto?» equivale a: «Chi può dubitare che abbia commesso il delitto? Ecco la prova».
Piuttosto credo convenga illustrare un po’ la lamentazione funebre sulla tomba di Agamènnone, che, nelle versioni solite, o in versi o in prosa, nelle quali, di solito, spariscono tanto il ritmo generico, quanto le divisioni strofiche, e quindi tutto il disegno, riesce un guazzabuglio inestricabile.
E, in verità, pur conservando quegli elementi, sembra, a prima vista, una massa amorfa e confusa. Ma quanto piú si studia, tanto piú si vede, anche all’infuori della simmetria formale, sostituirsi alla confusione l’ordine, all’oscurità la luce.
Dopo l’introduzione anapestica della corifea, che ha valore di preludio, tutto il contenuto è diviso in più parti ben distinte.
La prima, che va sino dell’Antistrofe scenica IV, è piuttosto un’amorosa rievocazione del sovrano spento, nella quale guizza qua e là qualche accenno alla vendetta. Ed è costituita di quattro gruppi strofici, in ciascuno dei quali dicono una strofe, prima Oreste, poi Elettra, e la Corifea risponde rispettivamente a ciascuno dei due4.
La seconda è distinta dalla prima anche per l’azione. Qui le Coefore levano alti gemiti, si lacerano le chiome, si battono duramente il seno e le membra. È il vero e proprio kommós5. In esso, dopo la lamentazione e le percosse, si parla di Clitennestra. La invocazione si accosta all’azione. Elettra e la Corifea incitano a gara Oreste.
E con la Strofe III incomincia come un’altra parte, nella quale Oreste chiama il padre, perché torni sulla terra, ad assisterli nella lotta contro la madre malvagia. Queste preci sono partecipate anche dalla Corifea. Ma dopo la Strofe IV, la Corifea tace, il terzetto diventa duetto, e in esso Oreste ed Elettra cercano a gara le espressioni che meglio valgano a indune alla resurrezione lo spirito del padre. Una riflessione della Corifea conclude questo brano veemente, ed effettua il passaggio dalla suprema concitazione lirica alla minor vibrazione del dialogo drammatico.
L’analisi, dunque, mostrandoci il solido scheletro che regge questa rigogliosa fioritura di poesia, ci aiuta a scoprirne l’eleganza e l’agilità. Ma nessuna analisi può dare idea del prodigioso effetto che essa produce nella attuazione scenica. Recitata, cantata e danzata come fu a Siracusa (1921), la lamentazione, e tutta la prima parte della tragedia, attinge una sublimità spirituale di cui sono pallidi riflessi le piú mistiche scene di Wagner.
* * *
Ne le Coefore v’ha duplicità di luogo. La prima parte si svolge dinanzi alla tomba di Agamènnone, nel suburbio, la seconda dinanzi alla reggia. Non credo però che ci fosse vero cambiamento di scena. Costruita, da un lato dell’ampia scena, la reggia, dall’altra la tomba6, i movimenti degli attori e del coro dovevano suggerire agli spettatori, poco esigenti su questo punto, la duplicità del luogo. Oreste sarà entrato da sinistra, le coefore con Elettra7 dalla pàrodos destra.
Dopo la trama che conclude la prima parte, Oreste e Pilade saranno usciti ancora da sinistra, ed Elettra dalla pàrodos destra.
Notevole è, dal lato scenico, l’allontanarsi del coro dopo l’urlo mortale d’Egisto: arditezza che prima di Eschilo non dové certo avere esempio. Le ancelle dicono di allontanarsi per isfuggire al sospetto di aver partecipato ai tragici avvenimenti che certo si svolgono entro la reggia. Ma con ciò riesce un po’ alterato il loro carattere, che abbiamo finora veduto fiero e risoluto. La corifea, che impersona e sintetizza poi tutto il coro, ha gareggiato con Elettra nell’incitare Oreste. Perché dunque tale cangiamento?
Io credo che Eschilo abbia volontariamente accettata questa piccola incoerenza per evitare un male maggiore. Si doveva fra poco svolgere la terribile scena fra Oreste e Clitennestra. Ora, si ha un bel dire che il coro non contava, e gli spettatori antichi potevano farne piena astrazione: la presenza di quei superflui testimonî avrebbe diminuita la scena, che, per raggiungere il suo pieno effetto, deve rimanere, come rimane, in tragica solitudine.
Ad ogni modo, da Le Coefore, come già dall’Agamènnone, come da L’Eumènidi, vediamo, che come non esisterono mai, salvo nel cervello dei grammatici ignoranti, le famose convenzioni di tempo e di luogo, cosí Eschilo sapeva arditamente violare anche le convenzioni davvero esistenti, per ubbidire ai concetti naturali ed eterni della verisimiglianza e della efficacia scenica.
E a proposito di effetti scenici, non deve sfuggire lo spiegamento del mantello insanguinato dinanzi agli occhi degli spettatori. Con esso Eschilo vuole esercitare su loro una vera e propria suggestione visiva. Un effetto analogo, insuperabile, è nell’Agamènnone, quando Clitennestra fa stendere dal carro del re alla soglia della reggia fatale, i tappeti di porpora, il fiume di sangue, sul quale dovrà muovere lo sposo già sacro alla morte.
- ↑ Nell’Agamènnone si trovano in scena simultaneamente Clitennestra, Agamènnone e Cassandra.
- ↑ V. 1008: ἔδρασεν ἢ οὐκ ἔδρασεν;
- ↑ Analogo valore, ha, ne I Sette a Tebe l’espressione delle fanciulle del coro (97) Ἀκούετ᾽ ἢ οὐκ ἀκούετ᾽ ἀσπίδων κτύπον; —
- ↑ Nell’ultimo gruppo manca la risposta ad Elettra. Ma, o non ci fu, o è andata perduta; perché non può valere come risposta la strofa: Ario gemito etc., che, evidentemente, inizia un altro contesto. Circa l’andamento e il rapporto dei pensieri nelle singole strofe, si vedano le note.
- ↑ Κομμός propriamente voleva dire colpo, da κόπτω.
- ↑ O, forse, la stessa ara di Diòniso, nel centro dell’orchestra, poté figurare come tomba di Agamènnone.
- ↑ Non posso credere che Eschilo la facesse andare distinta dal coro per serbare una convenzione che poi forse a quei tempi non esisteva ancora o per lo meno non era rigorosa.