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PROLOGO
Le prime scene si svolgono dinanzi alla tomba di Agamènnone, in una località del suburbio.
ORESTE
O tu che vegli, Ermète sotterraneo1,
del padre mio la sorte, a me che imploro
dà tu salvezza, al fianco mio combatti:
che a questo suolo io giungo: io sono qui.
5E lancio un bando al padre mio, sul clivo
di questa tomba, ch’ei m’oda, e m’ascolti.
L’Inaco il primo mio ricciolo s’ebbe2,
che nutrito m’avea: questo secondo,
segno di lutto, io qui recido, o padre,
10che lungi, alla tua morte, ero, e non piansi,
né le man sovra la tua spoglia io tesi. —
Che cosa scorgo? Quale accolta avanza
vêr noi di donne, in negri manti avvolte?
E quale evento io debbo indurre? Forse
15su la casa piombò nuova sciagura?
O penserò che libamenti, quali
molciscono i defunti, al padre rechino?
È questo il vero? — È questo: Elettra io vedo
che muove qui, la mia sorella, chiusa
20in luttuosa doglia. — O Giove, oh!, ch’io
vendichi il padre! E, tu benigno assistimi. —
Stiamo in disparte, o Pilade, ch’io veda
chiaro quale corteo di donne è questo.
Oreste e Pilade si rimpiattano.
- ↑ [p. 274 modifica]Ermete, fra i tanti uffici, aveva anche quello di accompagnare all’Averno le anime dei defunti. Era perciò, in qualche modo, loro protettore.
- ↑ [p. 275 modifica]I giovinetti, giunti alla soglia dell’età virile, si recidevano un ricciolo, e l’offrivano alle divinità locali: per lo piú alle fluviatili.