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Fra l’Agamènnone e Le Coefore intercedono piú di dieci anni. Le Eumènidi, invece, fanno séguito immediato a Le Coefore. Dal lato cronologico, dunque, la simmetria dell’Orestèa non è ternaria, ma binaria.
E se gettiamo uno sguardo dall’alto su tutta la trilogia, vediamo che essa è dominata dal medesimo principio estetico che domina rispettivamente ciascuna delle tre parti, e in genere, ciascuno dei drammi eschilei: quello di collocare nel mezzo il punto della massima intensità. Principio che era stato già rilevato da antiche note alla tragedia che sembrano risalire alle migliori tradizioni della critica alessandrina1. Il punto culminante, in cui l' orrore diviene veramente insostenibile, è nel matricidio. Clitennestra non è materialmente uccisa dinanzi agli spettatori; ma la preparazione dello scempio, nella terribile scena col figlio, è quasi più raccapricciante dello scempio medesimo. Dinanzi a questo orrore, diviene quasi nulla l’uccisione di Agamènnone, di cui non si ode che un, grido. Cosí tutto l’Agamènnone, con la sua opulenza e col fasto scenico, che già abbiamo caratterizzato, è come una linea ascendente verso il terribile episodio delle Coefore. Di qui comincia la discesa. Le prime scene de Le Eumènidi sono come le ultime stanche ondate della terribile tempesta che ha imperversato ne Le Coefore. Èstua di nuovo l’orrore, sebbene non più venato di sangue, con l’apparizione delle Eumènidi, e l’inseguimento d’Oreste. Ma presto interviene il processo; e l’azione ha termine col sereno prodigioso canto delle Furie, che, dopo tanti orrori s’inarca come un cielo sereno, a coronare il capolavoro di Eschilo. E mentre bilancia, nella economia musicale, la lunga e fastosa introduzione dell’Agamènnone, compie, con la placida magnificenza del contenuto etico, la purificazione delle passioni. È la catarsi, etica ed estetica, che ritroviamo nelle somme opere del genio umano: nella Divina Commedia, nella Nona Sinfonia, nel Guglielmo Tell. Ogni opera, al suo compimento, deve ascendere al cielo. L’arte moderna ha dimenticato questo principio; e non credo che questa dimenticanza abbia giovato alla sua nobiltà. 2
Del resto, tutte Le Eumènidi hanno, di fronte alle due prime parti, carattere singolare e trascendente. Tranne Oreste, i personaggi sono sovrumani: Apollo, Atena, le Eumènidi, il fantasma di Clitennestra. E il contenuto, sebbene conduca il dramma alla soluzione attraverso parecchi episodi, è più filosofico che drammatico. Il nucleo etico, non è più germine, operatore, ma quasi invisibile: esso, massime nella seconda parte, si estende e diviene polpa e buccia versicolore. L’interesse si sposta, dal mito alla discussione di problemi teorici immanenti ed eterni. Può un figlio uccidere la madre? Può un Dio spingerlo al matricidio? E può essere assoluto, e chi lo può assolvere? — Attraverso a queste discussioni, che spesso rivestono carattere sofistico, riesce esaltato il trionfo della giuria sulla barbarica legge del taglione.
Questo trionfo di civiltà, che viene qui attribuito ad Atene, costituisce il punto capitale de Le Eumènidi, e la mèta di tutta la trilogia. Ho accennato per tratti rapidissimi, ché ognuno, leggendo il dramma, intenderà senz’altro i particolari.
Chiunque può intuire, con uno sforzo minimo d’immaginazione, la vivacità scenica della prima parte, tutta mossa e spettacolosa. Nella seconda parte, invece, non esiste azione, non c’è che un dibattito. E la prima impressione è che nell’attuazione scenica dovesse riuscire pesante. Ma l’interesse degli ateniesi vi era avvinto da mille fili che piú non avvincono il nostro. A parte ciò, la discussione giudiziaria è uno di quei motivi scenici, che interessano sempre enormemente gli spettatori. E c’è da credere che anche in una odierna rievocazione, la controversia sulla colpa d’Oreste, ad onta dei cavilli sofistici di Apollo e delle Eumènidi, riuscirebbe piacevole ed accetta.
Né c’è bisogno di rilevare la solennità della scena finale. Le ministre d’Atena, impugnate fiaccole scintillanti, si avviavano al luogo destinato alle Eumènidi. Queste le seguivano. E dietro ad esse muovevano giovinette, donne, vegliarde, tutte avvolte in manti di porpora. E dietro al luccichio delle fiaccole, e dietro questa mobile striscia vermiglia, si avviava lentamente, intonando l’inno di saluto gioioso, tutto il popolo d’Atene. Era come una visione anticipata del divino corteo che circa due decennî dopo gli Ateniesi dovevano ammirare sul fregio del Partenone, nella diamantina cristallizzazione fidiaca. Riconosciamo qui la profonda affinità elettiva che legava fra loro gli artisti attici. Né sapremmo immaginare scena che concludesse con maggiore solennità, con bellezza piú radiosa, la prodigiosa trilogia degli Atridi.
- ↑ Vedi il mio studio: Il contenuto degli scoli laurenziani di Eschilo, Atti R. Istituto Veneto, 1914-15, tomo 4, XXIV, parte seconda. Il passo piú notevole a questo riguardo è il seguente, che sarà bene riferire nel testo (Scol. Eumen., 1.): Τὰ δὲ πρῶτα εὐχαὶ καὶ ἐπικλήσεις θεῶν, ἵνα ἀπὸ τῶν εὐφημοτέρων ἄρξηται ἡ προφῆτις. οἰκονομικῶς δὲ οὐκ ἐv ἀρχῇ διώκεται Ὀρέστης, ἀλλὰ τοῦτο ἐν μέσῳ τοῦ δράματος κατατάττει, ταμιευόμενος τᾶ ἀκμαιότατα ἐν μέσῳ.
- ↑ Mi piace riferire alcune parole di Romain Rolland, non ispirate affatto all’arte greca, e perciò più significative. Dopo aver biasimato l’uso invalso di sopprimere le danze finali nell’Alcesti di Gluck, soggiunge: «Les habitudes de l’opéra moderne veulent que le spectacle finisse en pleine action. Il n’en était pas de méme dans l’opéra ancien (voir Orphée ou Iphigénie en Aulide) où, quand la tragèdie était achevée, une musique heureuse, de belles danses, des chants paisibles venaient détendre l’esprit. C’est ce qui contribue à donner à ces oeuvres leur caractère de rève bienfaisant et serein. Pourquoi ne pas revenir à cette conception dramatique? Je la crois plus haute que la notre.» Musiciem d’autrefois, pag. 204.