< Le Eumenidi
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Eschilo - Le Eumenidi (458 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1921)
Primo canto intorno all'ara
Seconda parte Terzo episodio

PRIMO CANTO INTORNO ALL’ARA


FURIA II


Su via, dunque, la danza s’intrecci,
poiché la ferale
canzone vogliamo intonare,
e dire la sorte che agli uomini
comparte la nostra congrega.
Ci vantiam di seguire Giustizia.
Chi pure ha le mani,
nessuna vendetta
spirata da noi su lui repe,
e illeso trascorre sua vita.
Ma se un reo, come l’uomo ch’or fugge,
nasconde le mani cruente,
noi, vindici giuste a chi cadde,
dinanzi apparendogli,
del sangue il riscatto esigiamo.

Strofe I
O mia madre, o tu che m’hai
generata, Notte madre,
a punir vivi e defunti,
tu m’ascolta: ch’ora Febo
me d’ogni onore priva, e m’invola
questo fuggiasco, che la sua madre
scannò, ch’è sozzo di sangue ancora!
Sopra la vittima questa mia nenia
dissennatrice, folle, delira,
quest’inno delle Furie,
che avvince gli animi, che strugge gli uomini,
schivo di lira.

Antistrofe I
Tale a noi perenne cómpito
die’ la Parca inesorabile:
al mortale temerario
che le man’ di strage macchia,
sempre seguire le sue vestigia,
sin che la terra non lo ricopra;
né dopo morto libero è ancora.
Sopra la vittima questa mia nenia
dissennatrice, folle, delira,
quest’inno de le Furie,
che avvince gli animi, che strugge gli uomini,
schivo di lira.

Strofe II
Quando nascemmo, tal sorte per noi stabiliva il Destino:
lontane tenere le mani dai Superi: Nume non v’è
che meco la mensa partecipi.
Candide vesti indossare mi negano il Fato e la Sorte:
ch’io m’elessi la rovina
delle case, allor che Marte
entro i letti ov’ha l’amico
nido, compie amica strage.
Sopra questo ci avventiamo,
e per quanto sia gagliardo,
l’abbattiam con nuovo sangue.

Antistrofe II
Altri cosí, mercè nostra, di simile cura va sgombro.
Orecchio a le preci che a me si volgono, i Numi non prestino,
né l’opera nostra inquisiscano.
Giove di motto non degna la gente odïosa che sangue
da le man’ stilla: io rovino,
le lor case, allor che Marte
entro i letti ov’ha tranquillo
nido, compie amica strage.
Sopra questo ci avventiamo,
e per quanto sia gagliardo,
l’abbattiam con nuovo sangue.

Strofe III
Anche se giungono al cielo, la fama, la gloria degli uomini,
cadono al suolo disfatte, deserte d’onore,

quando avanziamo recinte dai lividi pepli,
e batte l’infesto mio piede la danza.
Con un gran lancio dall’alto io piombo,
e l’orma somma del mio pie’ gravo
sopra i fuggiaschi, gravo a sterminio
le membra, e infliggo la trista sorte.

Antistrofe III
Né chi rovina, nel turpe delirio, del crollo s’avvede:
come caligine attorno lo scempio gli svola;
e la lor misera fama, sovr’esse le case
addensa fra lagrime le tenebre cieche.
Con un gran lancio dall’alto io piombo,
e l’orma somma del mio pie’ gravo
sopra i fuggiaschi, gravo a sterminio
le membra, e infliggo la trista sorte.

Strofe IV
Questa è la nostra legge,
e al nostro fine agevoli
troviamo i mezzi. Memori
e severe ai mortali, e inesorabili,
senza onore né pregio,
viviam lunge dai Numi,
dove non s’apre tramite
né ai vivi, né ai defunti, ove non brillano
giammai del sole i lumi.

Strofe V
Chi mai dunque fra gli uomini
non mi venera e teme,
udendo la mia norma
fatale, a cui concede esito il Dio?
L’antico privilegio
anche oggi in me perdura;
né priva andrà d’onore,
se pur sotto la terra io mi rifugio,
ne la tènebra oscura.


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